Paola Masino, la scrittrice odiata dai fascisti che sognava la libertà per le donne
Troppo spesso ingiustamente dimenticata, Paola Masino è in realtà una delle penne femminili più importanti della letteratura italiana.
Troppo spesso ingiustamente dimenticata, Paola Masino è in realtà una delle penne femminili più importanti della letteratura italiana.
La critica fascista la definì, per sminuirla, “una scribacchina”, e Mussolini arrivò persino a mandare un telegramma di congratulazioni al critico Leandro Gellona che, nel 1933, ne aveva stroncato il romanzo Periferia, ma in realtà Paola Masino è stata una delle figure femminili e, in generale, della letteratura italiana più influenti e rilevanti della sua epoca, tanto da risultare perfettamente contemporanea ancora oggi.
La sua scrittura è talmente attuale che il 7 ottobre, a ottant’anni esatti dalla sua prima pubblicazione, Rina Edizioni ha fatto uscire Racconto grosso, una raccolta di dieci racconti scritti tra il 1935 e il 1938, in pieno periodo fascista, in cui si intrecciano i concetti di vita, morte, male e miseria della parabola umana.
Masino interpreta alla perfezione la tragicità e lo sforzo vitale dell’uomo nelle sue ribellioni e metamorfosi, in cui prevalgono il senso di inquietudine, l’oppressione, crudeltà e spietatezza.
Intellettuale eclettica, pur rimanendo per sempre una “sorvegliata speciale” dal fascismo Masino ebbe una fiorente carriera, in cui diede vita a racconti, poesie, romanzi e libretti d’epoca, oltre a collaborare con svariate riviste e giornali e a condurre diversi programmi radiofonici.
Figlia di un’aristocratica, Luisa Sforza, e di un funzionario del Ministero dell’Agricoltura, Enrico Masino, Paola è cresciuta in un ambiente familiare in cui si respiravano la passione per la musica e la letteratura, e fin dall’infanzia spesso accompagnava il padre nei circoli letterari, o negli studi degli amici pittori per appassionarla a quell’arte. Era appena bambina quando iniziò ad accostarsi alla lettura della Bibbia, del Corano, ma anche di Dostoevskij e di Shakespeare, ascoltando la musica di Beethoven, Mozart e Wagner.
Aveva solo 16 quando scrisse il dramma Le tre Marie, in cui un uomo geniale ma sadico tiene soggiogate una madre, una sorella e una moglie. Quando, al secondo anni di liceo, venne rimandata in fisica ed in matematica, decise di interrompere gli studi, ma non la sua formazione da autodidatta.
Si mise contro la famiglia per Massimo Bontempelli, conosciuto nel 1927 e più grande di lei di ben 30 anni, con cui intrecciò non solo una relazione, ma anche una proficua collaborazione letteraria per la rivista 900, diretta proprio dall’uomo. Con lui Paola viaggiò per l’Europa ed ebbe modo di entrare in contatto con molti artisti e intellettuali del suo tempo, da Moravia a De Chirico, passando per Marinetti e Pirandello, riuscendo a vivere una vita che per molte sue contemporanee era solo una chimera. Senza contare la fitta corrispondenza che tenne con altre prestigiose autrici italiane, come Alba De Cespedes, Anna Maria Ortese, Maria Bellonci, Sibilla Aleramo, Ada Negri, Natalia Ginzburg e Gianna Manzini.
I suoi scritti migliori uscirono fra gli anni ’30 e ’40, e, nonostante le critiche ad alcuni dei suoi lavori – oltre al già citato Periferia anche il romanzo parzialmente autobiografico Monte Ignoso, stroncato in particolare da Carlo Emilio Gadda – Paola Masino andò sempre dritta per la sua strada, benché non resistette alla tentazione, come molte sue contemporanee, di firmarsi con un nome maschile, come accadde nel 1927, quando pubblicò il sonetto Aspirazione, firmandolo semplicemente Paolo Masino.
Nel 1944 fondò il settimanale Città, su cui teneva la rubrica fissa Dragon, dove si occupava principalmente di politica con interventi a favore della Repubblica, e sostenendo che gli intellettuali dovessero avere autonomia di espressione, anche se questa era in contrasto con la “politica culturale” dei partiti dell’epoca.
Il suo successo si affievolì lentamente negli anni ’50, quando si occupò soprattutto di fare la curatrice delle opere di Bontempelli; per tutta la sua vita, del resto, era stata intrappolata in quell’enorme aut aut che era comune a molte donne della sua epoca: perseguire l’ambizione della carriera di artista ed essere donna in un tempo in cui questo significava avere poca voce in capitolo.
Il perenne conflitto femminile traspare pienamente in uno dei suoi capolavori, Nascita e morte della massaia, la cui protagonista è una ragazzina cresciuta all’interno di un baule per uscirne solo al compimento del diciottesimo anno per essere fagocitata dagli obblighi del suo tempo, sposarsi e avere dei figli, e che troverà il suo riscatto sociale solo con la morte. Una splendida allegoria sulla condizione femminile, estremamente moderno ma, in generale, senza tempo, che Paola Masino, troppo spesso dimenticata senza gloria, ci ha lasciato come preziosa eredità.
Giornalista, rockettara, animalista, book addicted, vivo il "qui e ora" come il Wing Chun mi insegna, scrivo da quando ho memoria, amo Barcellona e la Union Jack.
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