Dimenticate la canzone che Beyoncé ha scritto ispirandosi alle sue parole. Dimenticate la maglietta di cotone firmata che ha usato il titolo del suo saggio più famoso come slogan. Dimenticate l’idea di Chimamanda Ngozi Adichie come scrittrice imprescindibile che tutte le femministe di oggi dovrebbero leggere. Perché lei è molto di più di un nome da citare nell’inevitabile discorso su cosa significhi essere una donna in questo momento storico.

Il breve pamphlet Dovremmo essere tutti femministi, nato dopo il successo di un suo intervento per Ted, è solo una piccola e luminosa porzione del mondo personale e politico della scrittrice nigeriana.

Dovremmo essere tutti femministi

Il genere, per come funziona oggi, è una grave ingiustizia. Io sono arrabbiata. Dovremmo tutti essere arrabbiati. La rabbia ha una lunga storia di cambiamenti positivi; ma, oltre a essere arrabbiata, sono anche speranzosa. Perché credo profondamente nelle abilità degli esseri umani di inventare e reinventarsi per migliorare.

Nata il 15 settembre 1977 a Enugu, in Nigeria, e cresciuta nella cittadina universitaria di Nsukka, Chimamanda Ngozi Adichie fa parte di a una famiglia di etnia igbo, uno dei maggiori gruppi etnici africani. Suo padre era professore di statistica, mentre sua madre è stata la prima donna a diventare direttrice della stessa università in cui lavorava il marito.

Studentessa brillante, dopo un paio di anni alla facoltà di Medicina locale, Chimamanda decise di cambiare strada e andare a studiare Comunicazione negli Stati Uniti, a Filadelfia. E da lì la sua vita cambiò, in tutti i sensi. Mentre si specializzava in scrittura creativa, pubblicò il suo primo romanzo, L’Ibisco viola. Tradotto in tutto il mondo e premiato con l’Orange Prize, svelò la sua voce al grande pubblico: aveva molto da dire, sulla sua vita e sul femminismo, un argomento che aveva iniziato ad appassionarla da diversi anni.

Nel 2003 ho scritto un romanzo intitolato L’Ibisco viola. Parla di un uomo che, tra le altre cose, picchia la moglie, e la sua storia non finisce molto bene. Mentre stavo promuovendo il libro in Nigeria, un giornalista, un uomo gentile e ben intenzionato, ha detto che voleva darmi un consiglio. E chi è nigeriano qui, sono sicura che sa bene quanto è veloce la nostra gente a dare consigli non richiesti.

Mi ha detto che la gente diceva che il mio romanzo è femminista e il suo consiglio per me – e lo ha detto scuotendo la testa con tristezza – era che non avrei mai dovuto darmi della femminista perché le femministe sono donne infelici perché non riescono a trovarsi un marito.

In molti provarono a farle cambiare idea sul femminismo, perché lo associavano a una concezione stralunata e troppo occidentale. Voleva essere una donna arrabbiata con il mondo? In breve tempo comprese che secondo l’opinione comune non poteva essere femminista perché africana, perché l’avrebbe resa infelice e senza un marito, oltre che arrabbiata con il genere maschile, trascurata dal punto di vista estetico e molte altre cose.

Allora decise di essere “una femminista felice africana che non odia gli uomini e che ama mettere il rossetto e i tacchi alti per sé e non per gli uomini”. E forse proprio in quel momento si formò come la scrittrice che oggi viene letta e celebrata a livello internazionale.

In un’intervento nel 2015, durante la cerimonia di laurea per le studentesse del Wellesley College, Chimamanda ha raccontato alle ragazze presenti come molte cose siano (e debbano) cambiare rispetto alle generazioni precedenti. E ha preso come esempio sua madre, ancora legata a un’idea femminile inculcata durante secoli di patriarcato.

Mia madre e io non siamo d’accordo su molte cose riguardo all’uguaglianza di genere. Ci sono alcune che cose che mia madre pensa una persona debba fare, per l’unico motivo che quella persona è una donna. Come per esempio annuire o sorridere di tanto in tanto anche se è l’ultima cosa che vuoi fare. O rinunciare appositamente a discutere di certe cose con qualcuno che non è una donna. Sposarsi e avere figli.

Mi vengono in mente molte buone ragioni per fare qualsiasi di queste cose. Ma “perché sei una donna” non è tra queste. Quindi, classe del 2015, non accettate mai “perché sei una donna” come ragione per fare o non fare qualcosa.

Chimamanda Ngozi Adichie ha poi concluso il suo discorso parlando di amore, ma in un modo diverso da come siamo abituati a vederlo.

Le ragazze sono spesso educate a vedere l’amore solamente come qualcosa da dare. Le donne sono lodate per il loro amore quando quell’amore è un atto di donazione. Ma l’amore è dare E prendere. Per favore, amate dando e prendendo. Date e fatevi dare. Vi accorgerete se state solo dando e non prendendo. Lo saprete da quella vocina della verità dentro di voi che noi donne siamo così spesso educate a zittire. Non zittite quella voce. Osate prendere.

1. Chimamanda Ngozi Adichie, "Dovremmo essere tutti femministi"

 

Dovremmo essere tutti femministi

Dovremmo essere tutti femministi

Nel saggio Dovremmo essere tutti femministi Chimamanda Ngozi Adichie offre ai lettori una definizione originale del femminismo per il XXI secolo.
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Nel saggio Dovremmo essere tutti femministi Chimamanda Ngozi Adichie offre ai lettori una definizione originale del femminismo per il XXI secolo. Attingendo in grande misura dalle proprie esperienze e riflessioni sull’attualità, presenta il suo pensiero personale su ciò che significa essere una donna oggi, un appello di grande attualità sulle ragioni per cui dovremmo essere tutti femministi.

2. Chimamanda Ngozi Adichie, "Americanah"

 

Americanah

Americanah

La protagonista di Americanah è Ifemelu, una giovane che lascia la sua Nigeria per andare negli Stati Unisti. Arrivata in America, deve imparare un’altra volta a parlare e comportarsi.
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La protagonista di Americanah è Ifemelu, una giovane che lascia la sua Nigeria per andare negli Stati Unisti. Arrivata in America, deve imparare un’altra volta a parlare e comportarsi. Diverso è l’accento, ma anche il significato delle parole. Ciò che era normale viene guardato con sospetto. Ciò che era un lusso viene dato per scontato. La nuova realtà, inclemente e fatta di conti da pagare, impone scelte estreme. A complicare tutto c’è la questione della pelle. Ifemelu non aveva mai saputo di essere nera: lo scopre negli Stati Uniti, dove la società sembra stratificata in base al colore. Esasperata, Ifemelu decide di dare voce al proprio scontento dalle pagine di un blog che diventa un successo.

3. Chimamanda Ngozi Adichie, "Cara Ijeawele ovvero Quindici consigli per crescere una bambina femminista"

 

Cara Ijeawele ovvero Quindici consigli per crescere una bambina femminista

Cara Ijeawele ovvero Quindici consigli per crescere una bambina femminista

Cara Ijeawele ovvero Quindici consigli per crescere una bambina femminista è un intenso pamphlet sotto forma di lettera, con uno sguardo confidenziale eppure politico.
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Essere femminista oggi significa anche mostrare a una figlia le trappole tese da chi la vuole ingabbiare per mezzo della violenza, fisica o psicologica, in un ruolo predefinito, e spiegarle che quel ruolo non ha nessun valore reale e che potrà scegliere di essere ciò che vorrà. Farle capire che la sua dignità non dipende dallo sguardo e dal giudizio degli altri e che la sua realizzazione non dipenderà dal compiacere quello sguardo.

E significa soprattutto insegnarle che l’amore è la cosa più importante, ma che bisogna anche capire quando è il caso di battersi contro l’ingiustizia. Cara Ijeawele ovvero Quindici consigli per crescere una bambina femminista è un intenso pamphlet sotto forma di lettera, con uno sguardo confidenziale eppure politico. La sua voce, che sa essere intima e allo stesso tempo universale, ha saputo dare vita a un manifesto necessario in un presente in cui dobbiamo imparare a vivere la differenza per poterci ancora dire umani.

4. Chimamanda Ngozi Adichie, "L'ibisco viola"

 

L'ibisco viola

L'ibisco viola

L’ibisco viola racconta le trasformazioni civili e politiche del post colonialismo, ma è anche una storia sulla sottile linea che divide l’adolescenza dall’età adulta, l’amore e l’odio, le vecchie religioni e le nuove, in una prima prova che già unisce talento e saggezza.
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Kambili ha quindici anni. Vive a Enugu, in Nigeria, con i genitori e il fratello Jaja. Suo padre Eugene, proprietario dell’unico giornale indipendente del Paese, è agli occhi della comunità un modello di generosità e coraggio politico. In un Paese sull’orlo della guerra civile, conduce una battaglia incessante per la legalità, i diritti civili, la democrazia.

Ma, nel chiuso delle mura domestiche, il suo fanatismo cattolico lo trasforma in un padre-padrone che non disdegna la violenza. Cosi Kambili e Jaja crescono in un clima di dolorose contraddizioni fino a che, dopo un colpo di Stato, vanno a vivere dalla zia Ifeoma. E nella nuova casa, tra musica e allegria, i due ragazzi scoprono una vita fatta di indipendenza, amore e libertà. Una rivelazione che cambierà il loro futuro. L’ibisco viola racconta le trasformazioni civili e politiche del post colonialismo, ma è anche una storia sulla sottile linea che divide l’adolescenza dall’età adulta, l’amore e l’odio, le vecchie religioni e le nuove, in una prima prova che già unisce talento e saggezza.

5. Chimamanda Ngozi Adichie, "Quella cosa intorno al collo "

 

Quella cosa intorno al collo

Quella cosa intorno al collo

Nei racconti contenuti in Quella cosa intorno al collo, Chimamanda Ngozi Adichie delinea lucidamente e senza reticenze patriottiche gli aspetti più problematici della società nigeriana, attraversata da scontri religiosi, omicidi politici, corruzione, brutalità nelle carceri e maschilismo
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Nei racconti contenuti in Quella cosa intorno al collo, Chimamanda Ngozi Adichie delinea lucidamente e senza reticenze patriottiche gli aspetti più problematici della società nigeriana, attraversata da scontri religiosi, omicidi politici, corruzione, brutalità nelle carceri e maschilismo. Tra senso di smarrimento e più concreti problemi di soldi e di documenti, risulta però altrettanto chiaro che neppure l’emigrazione assicura una vita felice, nello specifico in quell’America che, seppure tanto vagheggiata, vista da vicino è ben diversa dal paradiso di ordinate villette unifamiliari dipinto nei film di Hollywood.

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