“Tutti dicono che il sesso è osceno. L’unica cosa davvero oscena è la guerra”: così scriveva Henry Miller nel suo romanzo più celebre, Tropico del Cancro, scritto nel 1934. In parte autobiografico e per quasi trent’anni bloccato dalla censura statunitense, racconta le vicissitudini di uno scrittore americano a Parigi, tra prostitute e artisti. Quasi privo di trama, è un viaggio nella vita del suo autore, senza limiti e senza controllo, in cui nessuna miseria viene risparmiata, accompagnata però da attimi di fulgente bellezza. Non a caso, il libro si apre con Henry impegnato a radere le ascelle al coinquilino e scrittore Boris, con un volo filosofico che si schianta grottescamente nel rinvenimento di pulci sull’uomo, per poi riprendere quota e librarsi.

Abito a villa Borghese. Non un granello di polvere, non una sedia fuori posto. Siamo soli, e siamo morti.

Ieri sera Boris si è accorto di avere i pidocchi. Gli ho dovuto radere le ascelle, ma il prurito non ha smesso. Come si fa a prendere i pidocchi in un posto bello come questo? Ma non pensiamoci. Non ci si sarebbe mai conosciuti così intimamente, Boris e io, se non fosse stato per i pidocchi.

Boris mi ha fornito poco fa un compendio di come la vede. È un profeta del tempo. Farà brutto ancora, dice. Ci saranno ancora calamità, ancora morte, disperazione. Non c’è il minimo indizio di cambiamento. Il cancro del tempo ci divora. I nostri eroi si sono uccisi, o s’uccidono. Protagonista, dunque, non è il Tempo, ma l’atemporalità. Dobbiamo metterci al passo, passo serrato, verso la prigione della morte. Non c’è scampo. Non cambierà stagione.

E poi il sesso. L’America disse che Tropico del Cancro era pornografico: lo si poteva leggere solo a Parigi, mentre negli Stati Uniti venne pubblicato per la prima volta nel 1961. La pubblicazione portò a un processo per oscenità che spinse a rivedere le leggi americane sulla pornografia degli Anni Sessanta.

Nato a Manhattan nel 1891 da due immigrati tedeschi, Henry Valentine Miller ne sapeva qualcosa di miserie. Dopo aver dilapidato la somma di denaro che suo padre aveva messo da parte per mandarlo all’università, scappò con una donna che aveva il doppio dei suoi anni, vagabondando per il paese e mantenendosi con lavoretti da quattro soldi. Tornò a casa solo nel 1914 e si arrese a una vita borghese, lavorando nella sartoria del padre e sposando quasi per gioco Beatrice Sylaus Wickens, da cui ebbe una bambina. La fiamma della scrittura ardeva già dentro di lui, pronta a esplodere.

Nel 1923 si innamorò della ballerina June Mansfield, che sposò l’anno seguente dopo aver ottenuto il divorzio. Fu lei la prima a incoraggiarlo a scrivere, mantenendolo e permettendogli di pubblicare a sue spese. Dopo un breve soggiorno a Parigi, nel 1930 decise di trasferirsi definitivamente nella capitale francese, dove rimase da solo fino agli Anni Quaranta. Complice la relazione con la scrittrice Anaïs Nin, che ebbe rapporti anche con sua moglie, Henry Miller non ebbe più alcun dubbio su quale fosse il suo ruolo nella società.

Tornato negli Stati Uniti, dopo il successo dei suoi primi libri a Parigi, era diventato un’icona, nonostante il divieto di pubblicazione di Tropico del Cancro e del romanzo gemello Tropico del Capricorno, che i lettori facevano arrivare di contrabbando dalla Francia. Idolatrato dalla Beat Generation, visse in disparte e rilasciando poche interviste fino al 1980, anno della sua morte. Tra i suoi passaggi più belli, quello del Tropico del Capricorno racconta meglio di tutti la vitalità e visceralità della sua scrittura.

Volevo essere quella notte che illuminava l’occhio senza rimorso, una notte trapunta di stelle e di traccianti comete. Appartenere a una notte così terribilmente tacita, così totalmente incomprensibile ed eloquente al tempo stesso. Mai più parlare o ascoltare o pensare… Essere umano solo terrestramente, come una pianta, un verme o un ruscello. Essere decomposto, destituito di pietra o di luce, variabile come la molecola, durevole come l’atomo, spietato come la terra medesima.

1. Henry Miller, "Tropico del Cancro"

Pubblicato nel 1934, Tropico del Cancro fu la miccia di uno scandalo morale e di un’insurrezione letteraria che attraverserà tutto il secolo. Uno dei grandi capolavori della letteratura novecentesca, è un romanzo autobiografico in cui lo stesso Miller ci parla di sé in prima persona, di ubriachezza in ubriachezza, di donna in donna, di rissa in rissa, di illuminazione in illuminazione.

2. Henry Miller, "Tropico del Capricorno"

In Tropico del Capricorno, romanzo gemello del Tropico del Cancro Henry Miller racconta in prima persona i suoi anni spesi a vivere, scrivere, bere e godere la New York di inizio Novecento.

3. Henry Miller, "Sexus"

In Sexus, Henry Miller abbandona ogni freno e ci narra gli incontri ardenti e tumultuosi con le molteplici donne della sua vita, nella cornice di una società americana messa provocatoriamente a nudo.

4. Henry Miller, "Plexus"

Plexus è un’opera autobiografica in cui Miller racconta gli anni del suo soggiorno newyorkese e del suo incontro con la sua seconda futura moglie. È un romanzo dove il sesso torna utile per contestualizzare anche riflessioni filosofiche e psicologiche, con cui Miller critica con forza il modello di vita americano: una vera e propria pietra dello scandalo messa al bando per quindici anni negli Usa.

5. Henry Miller, "Nexus"

Nexus contiene elementi autobiografici e racconta di come Miller si sia trovato a poco a poco fuori gioco dal proprio matrimonio, chiuso tra due donne.

6. Henry Miller, "Opus pistorum"

In Opus pistorum, scritto nel 1941 su istigazione dell’amico libraio Milton Luboviski, Miller racconta un mondo di felicità erotica intesa quale unica speranza di salvezza e via d’uscita per i disperati, i falliti e diseredati che lo popolano.

7. Henry Miller, "Giorni tranquilli a Clichy"

Giorni tranquilli a Clichy segue i rapporti crudi fra i due protagonisti del libro, Carl e Joey, e le professioniste del quartiere, e fra Carl e Colette, la vagabonda quindicenne che lui invita a vivere con loro. Sono pagine, quelle di Miller, che forse davvero oggi nessuno oserebbe più scrivere: ma che, per fortuna, possiamo ancora leggere.

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