Secondo Jonathan Franzen, l’immagine letteraria di Edith Wharton è vittima di un pregiudizio di fondo. In un articolo di qualche tempo fa, apparso sul New Yorker, lo scrittore ha analizzato la percezione diffusa riguardo alla vita e alle opere della celebre autrice di L’età dell’innocenza.

Possiamo separare il suo talento dalla condizione privilegiata in cui è nata? Esistono due Edith Wharton, una geniale e l’altra insopportabile?

Nessuna romanziera americana di rilievo ha avuto una vita privilegiata come quella di Edith Wharton. Nata a New York nel 1862, apparteneva a una ricca famiglia di Manhattan. Figlia unica, studiò nelle migliori scuole della città ed ebbe tutto ciò che desiderava a disposizione. Non aveva nulla di cui preoccuparsi, almeno dal punto di vista economico: comprava case, si dedicava ai giardini e alla decorazione d’interni, faceva crociere in Europa e aveva sempre un autista al suo servizio.

Era fortemente conservatrice, contraria al socialismo, ai sindacati e al suffragio femminile. Franzen sottolinea anche quanto fosse ostile a ogni forma di cambiamento: per lei la nuova America, quella delle riforme, era rumorosa e volgare. Ecco perché, a partire dal 1914, si stabilì in Francia. Era il tipo di donna facile da detestare, quella che si scandalizzava quando non le veniva concesso un favore, capace di scrivere lettere infuocate per far licenziare un commesso di negozio che si era rifiutato di passarle un ombrello.

Edith Newbold Jones, nome da nubile dell’autrice, aveva un solo grande svantaggio nella vita: non era abbastanza carina. L’uomo che avrebbe voluto sposare, l’amico Walter Berry, non aveva una passione per il matrimonio. Così, alla fine si sposò con il banchiere Teddy Wharton, un uomo dalla salute mentale fragile con cui restò sposata formalmente per ventotto anni. L’unico vero ardore fu quello per il giornalista Morton Fullerton, che sfuggiva puntualmente al suo corteggiamento.

E poi c’era l’altra donna, la scrittrice geniale. Certo, Edith Wharton scriveva solo a letto accanto ai suoi cagnolini, dopo la colazione, buttando per terra i fogli che poi la segretaria avrebbe battuto a macchina. I critici del tempo riconobbero però immediatamente il suo talento, definendola come una versione femminile di Henry James. Diventata una scrittrice di successo, ormai quarantenne, non era una persona affascinante e piacevole con cui passare del tempo, ma era certamente piena di energia e curiosità.

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La cosa strana della bellezza, scrive Franzen, è che l’assenza di tale qualità non ci suscita lo stesso senso di compassione e simpatia della mancanza di altre doti. “Forse oggi Edith Wharton ci piacerebbe di più se, oltre agli altri vantaggi, avesse anche avuto l’aspetto di Grace Kelly o Jacqueline Kennedy. Nessuno più di lei era consapevole della capacità della bellezza di annullare il senso di insofferenza per i suoi privilegi”. Ed è per questo che la scrittrice mise al centro dei suoi romanzi più celebri una donna di eccezionale bellezza, scelta per complicare il problema della simpatia per la protagonista.

Eppure abbiamo un motivo per sentirci più vicini all’altra Edith, quella non insopportabile. Pur essendo la socialite per eccellenza, rimase emarginata dalla società. Una scrittrice nata. La donna cresciuta per occuparsi solo di abiti, case e viaggi, che invece continuò a serbare nel cuore il desiderio di raccontare storie. L’esclusa di mezza età che aveva vissuto nelle case dei ricchi per tutta la sua vita, imparando a distruggere i privilegiati con le loro stesse parole. La donna che non avrebbe voluto essere triste.

Anni fa mi sono detta: “Non esiste la vecchiaia; c’è soltanto la tristezza”.
Col passare del tempo ho imparato che, sebbene questo sia vero, non lo è del tutto. Anche l’abitudine contribuisce a far diventare vecchi; il processo mortale di fare la stessa cosa allo stesso modo alla stessa ora giorno dopo giorno, prima per trascuratezza, poi per inclinazione, e infine per codardia o inerzia. Fortunatamente, la vita incongruente non è l’unica alternativa; infatti il capriccio è dannoso come la routine. L’abitudine è necessaria; è l’abitudine di avere delle abitudini, di fare di una traccia un solco, che è necessario combattere, se si vuole rimanere vivi.

1. Edith Wharton, "L'età dell'innocenza"

Nel 1920 L’età dell’innocenza valse alla sua autrice il premio Pulitzer: fu la prima donna a vederselo assegnare. Il libro è una critica spietata alla convenzionalità dell’alta società newyorchese: una vera aristocrazia immobiliare in cui le famiglie sono le stesse da generazioni, le donne un ornamento e gli uomini non fanno nulla neppure quando fingono di andare in ufficio.

2. Edith Wharton, "La casa della gioia"

Nella New York dei primi anni del secolo scorso, Lily Bart vive tra i sontuosi ricevimenti dell’alta società, i viaggi all’estero e i soggiorni nelle residenze degli amici. Le sue uniche doti sono la bellezza e l’intelligenza, che usa per muoversi in un ambiente ipocrita di cui vuole ostinatamente far parte e nel quale spera di trovare marito. Con una scrittura moderna e implacabile nell’indagare l’anima e la psiche dei suoi personaggi, in La casa della gioia Edith Wharton costruisce un romanzo dall’architettura narrativa perfetta, ritraendo impietosamente l’alta società newyorchese dei primi del Novecento, in un contesto di splendori e miserie umane attuale anche a distanza di un secolo, e dando vita a una delle figure femminili più luminose della letteratura.

3. Edith Wharton, "Estate"

La giovane Charity trascorre una vita noiosa a North Dormer, nel New England. Arrivata in città dalla “Montagna”, dove viveva in misere condizioni in una comunità di reietti, era stata adottata da bambina dall’avvocato Royall, ora rimasto vedovo. Un giorno nella biblioteca in cui lavora appare l’affascinante architetto Lucius Harney, il quale mostra subito un interesse particolare per la ragazza. Il patrigno, che ha già fatto delle avance a Charity chiedendole di sposarlo, fiuta una complicità tra i due e cerca di ostacolarli. Nonostante i suoi tentativi, Charity e Lucius diventano amanti ma, con la fine dell’estate, anche quell’amore si avvia verso l’autunno, portando con sé le conseguenze della scandalosa relazione. Pubblicato nel 1917, Estate fu considerato un romanzo estremamente provocatorio e venne presto dimenticato, per essere riscoperto solo a partire dagli anni Sessanta come una delle opere più moderne dell’autrice americana.

4. Edith Wharton, "I ragazzi"

Durante una crociera nel Mediterraneo, Martin Boyne, un americano di mezza età, fa la conoscenza di un gruppo di ragazzi in giro per l’Europa senza genitori, che nel frattempo trascorrono le vacanze a Venezia tra grandi alberghi, feste ed eventi mondani. Presto l’uomo si affeziona alla banda, guidata dalla quindicenne Judith, alla quale è stata affidata la responsabilità dei più piccoli. Anche Martin cercherà di proteggerli dalla superficialità degli adulti, che non sembrano curarsi affatto delle necessità di amore e stabilità dei propri figli. Ma l’iniziale sentimento di affetto si trasforma lentamente in qualcosa di imprevisto e la sua morale borghese si intreccia con la mentalità fiera e audace dei giovani. I ragazzi è un romanzo in cui Wharton tocca temi scottanti e difficili, gettandosi con estrema sensibilità nella narrazione di sentimenti e scelte al di fuori delle convenzioni sociali.

5. Edith Wharton, "Uno sguardo indietro"

Uno sguardo indietro, autobiografia di Edith Wharton, è il racconto della vita intensa di una donna impetuosa, segnata da un’educazione rigida, ma capace di ironizzare sull’ipocrisia che reggeva il mondo in cui era cresciuta. Il ritratto di una figura letteraria forte, carismatica, che seppe interessarsi ai grandi temi del suo tempo ma fece tesoro anche dei piccoli eventi e dei dettagli della vita, riportandoli fedelmente nei suoi celebri romanzi.

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