Miriam Mafai: "Le conquiste delle donne sono troppo recenti per abbassare la guardia"
Vita e opere della grande giornalista e scrittrice italiana, sempre in prima linea per difendere i diritti delle donne
Vita e opere della grande giornalista e scrittrice italiana, sempre in prima linea per difendere i diritti delle donne
“A me la cosa che piace di più è andare a vedere, a parlare, andare a scoprire delle realtà”: così, in un’intervista del 1996 a Wuz, Miriam Mafai descriveva la sua passione più grande, il giornalismo.
Tra i fondatori de La Repubblica, scrittrice e grande osservatrice del reale, ha attraversato quasi un secolo di storia italiana, lasciandoci nel 2012. Donna tenace e preparata, negli ultimi anni della sua vita aveva incontrato diverse giovani donne, per invogliarle a farsi coraggio e dimostrare il proprio valore nel lavoro e nella vita.
Una serie di studi e di analisi ci dicono che l’avvenire dovrebbe premiare le doti di flessibilità, cioè la capacità di cambiare, di saper affrontare lavori nuovi e in genere da un punto di vista psicologico le donne sono più atte a questo, se non altro perché nella loro vita sono meno rigide, devono saper fare il lavoro esterno, quello domestico, familiare, ecc. Certo una delle cose che le donne più giovani devono sapere è che certi corsi di studio oggi devono essere abbandonati. Bisogna orientarsi a corsi di studio di carattere tecnico-scientifico che oggi danno più possibilità. L’uso delle macchine più sofisticate, saper navigare su Internet, oggi è fondamentale per non essere votati alla disoccupazione.
A quel tempo internet era ancora una novità, oltre che una possibilità da sfruttare, soprattutto per le donne. Lei, però, aveva già compreso quanto fosse importante per garantire più diritti e per favorire l’emancipazione.
Direi che può essere uno strumento privilegiato per le donne, perché consente di viaggiare, di prendere contatti, di fare conoscenze e di parlare con tanta gente pur stando a casa propria, per cui supera tante difficoltà di tempo e di spazio che delle volte hanno impedito alle donne queste manifestazioni esterne.
Del resto, Miriam Mafai è sempre stata un passo avanti. Nata nel 1926 a Firenze, era figlia di due artisti, il pittore Mario Mafai e la pittrice e scultrice Antonietta Raphaël. Nel salotto di casa passarono grandi intellettuali, da Giuseppe Ungaretti a Fausto Pirandello, pittore e figlio dello scrittore siciliano. Gli stimoli artistici e culturali contribuirono a formarla, ma fu il contesto storico a cambiarla per sempre: dato che sua madre era di origine ebraica, fu vittima della persecuzione razziale insieme alle sorelle Simona e Giulia.
Aveva solo diciassette anni quando, nel settembre del 1943, decise di andare a Roma per far parte della Liberazione. Si adoperò come staffetta, distribuendo volantini contro i tedeschi, e proprio in quel periodo conobbe Gian Carlo Pajetta, membro del Comitato di Liberazione Nazionale, a cui poi rimase legata sentimentalmente dagli anni Sessanta fino alla morte di lui, nel 1990.
Subito dopo il conflitto, Miram Mafai divenne funzionario del Partito Comunista, si sposò con Umberto Scalia e diventò madre di due figli. Oltre all’attività politica e al ruolo di moglie e madre, era il giornalismo a chiamarla. Dopo essere stata corrispondente da Parigi, affiancò al lavoro di giornalista quello della scrittura di saggi, ponendo grande attenzione alla questione femminile.
In Pane nero, uno dei suoi libri più celebrati e amati dai lettori, raccontò le storie delle donne che avevano vissuto la guerra e che non avevano avuto paura di prendersi un ruolo, qualunque esso fosse. C’era Luciana, che aveva partorito in un basso di Napoli nell’intervallo tra due bombardamenti, Sofia che da Milano si era rifugiata con le sue provviste di tè e la sua biblioteca in un paesino al confine con la Svizzera. E poi ancora Zita, la mondina di Cavriago con il fratello partigiano e il fidanzato nell’esercito repubblichino e Lucia, la tramviera milanese. Donne che avevano visto la loro vita cambiare da un giorno all’altro.
Roma era felice, quel 10 giugno 1940, com’erano felici Milano, Torino, Cosenza, Bari, Palermo, Bologna, Firenze. La guerra sarebbe durata poche settimane e la vittoria era sicura. Parigi stava per cadere. Presto sarebbe caduta anche Londra. Milioni di donne preparavano la cena a milioni di uomini, mentre alle otto in punto, annunciate dall’uccellino della radio, nelle case italiane tornavano a farsi sentire le parole di Mussolini: “L’ora della decisione suprema è scoccata…”
Soprattutto negli ultimi anni di attività, continuò a ripetere alle ragazze di non dare mai per scontati i propri diritti e di non aver paura di esporre le proprie idee. La libertà è una cosa fragile, che non va sottovalutata, anche in tempi di pace apparente.
Alle giovani dico sempre di non abbassare la guardia, non si sa mai. Le conquiste delle donne sono ancora troppo recenti.
Con la forza evocativa di un maestro neorealista, in Pane nero Miriam Mafai ricostruisce la vita quotidiana delle donne che, durante la Seconda guerra mondiale, combatterono la più lunga battaglia della loro vita: contro la fame, contro le bombe, contro una guerra la cui fine si allontanava di giorno in giorno, sempre di più. Madri, mogli, ragazze, operaie, mondine, borghesi e principesse, ebree e gentili, fasciste e partigiane, “pescecane” e borsare nere. Ne nasce un’epopea che ha come scenario le città bombardate, le campagne percorse dalle fanterie di tutti gli eserciti, Roma, città aperta.
“Sono nata sotto il segno felice del disordine”: è l’incipit di una vita, quella di Miriam Mafai, che avrebbe conosciuto molti colpi di scena, in decenni tormentati della storia europea: le persecuzioni razziali, la guerra mondiale, la Resistenza, la parabola grandiosa e tragica del comunismo fino allo sgretolarsi di quella potente illusione. Una vita, quasi due è l’autobiografia che per anni Miriam si era rifiutata di scrivere, e a cui aveva messo mano solo negli ultimi tempi, con impegno crescente e incalzata dalla malattia, non sarà mai terminata. La morte le ha impedito di narrarci la sua seconda vita, quella da giornalista.
La storia raccontata in Diario italiano inizia il 14 gennaio del 1976 e arriva quasi fino a oggi, non ha la pretesa di rappresentare un compendio della vita politica di questi anni. Si propone di offrire al lettore una raccolta d immagini, fotografie di uomini e donne che in modi diversi sono stati, magari per un giorno soltanto, protagonisti della storia o della cronaca. Pagine di diario, dunque, che registrano, sia pure con la rapidità e l’approssimazione di una istantanea, trent’anni della nostra vita. Sempre con la fretta imposta dal nostro lavoro ma sempre, mi sembra di poter dire, con onestà.
Nelle lettere che compongono Il silenzio dei comunisti, Miriam Mafai ci offre un racconto suggestivo sulla sua vita di militante così ricca di speranze e di delusioni. Alfredo Reichlin ci offre una impegnata analisi della sua esperienza di dirigente politico, e punta deciso sulla gravità dell’oggi. Foa sollecita il confronto.
Web content writer e traduttrice. Parlo poco, scrivo tanto e cito spesso Yeats.
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