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A cura di Grazia Teresella Berva

“Sei comparsa al portone / in un vestito rosso / per dirmi che sei fuoco / che consuma e riaccende”: con queste parole, affidate alla poesia 12 settembre 1966, Giuseppe Ungaretti cristallizzò eternamente il sentimento provato fin dal primo incontro con il suo ultimo amore. Era l’estate del 1966, lei si chiamava Bruna Bianco e aveva 26 anni, cinquantadue in meno di lui. Accadde tutto a San Paolo, la città dove lei viveva da diversi anni con la famiglia e dove il poeta si recava spesso, per andare a far visita alla tomba del figlio Antonietto, morto nel 1939 a soli nove anni. Come raccontato da La Stampa, fu proprio la ragazza ad avvicinarlo, in un albergo, per sottoporgli alcune poesie.
“Lo stavo aspettando nella hall. Come entrò, non capii che cosa mi stesse accadendo. Parlammo per un’ora, mi invitò a colazione, mi chiese il numero di telefono”, ha raccontato Bruna Bianco al quotidiano, che in quell’occasione rifiutò l’invito. “Mi abbracciò e mi accompagnò con un lungo gesto delle mani. Tutto il mio corpo fu solcato da una lunga, intima vibrazione, da un piacere sensoriale che non avevo mai provato”. Iniziò così una passione vissuta in pochi incontri, tre in Italia e tre in Brasile, ma consumata su carta. Solo molti decenni dopo la morte di Giuseppe Ungaretti, la destinataria delle brucianti missive ha deciso di renderle pubbliche, pubblicandole nella raccolta Lettere a Bruna.
Mi stringo con le due mani il viso, e l’accarezzo e nel mio viso rinasce il Tuo nelle mie mani, la più cara cosa, la sola che amo su tutte, l’anima della mia anima, sei l’anima della mia anima, l’ultima forza che mi resta, l’ultima mia poesia, la vera, l’unica vera.
Una musicalità sublime e una grande dolcezza si intrecciavano con l’entusiasmo fanciullesco e la malinconia per il tempo che stava sfuggendo inesorabilmente dalle dita di Ungaretti.
Angelo mio, luce mia, amorissimo mio, piccolina mia, graziosa mia sovrana, intrepido amore. Ti amo tanto, tanto tanto e ti bacio fino all’oblio di me e di tutto.

Nell’inarrestabile furore epistolare, il poeta non frenava nulla. Si sentiva vecchio, “oltre misura vecchio, quasi un antenato”, ma per lei ringiovanì, smettendo di camminare curvo e con il bastone, iniziando a vestirsi da gentleman. Pensarono addirittura al matrimonio, tanto da far preparare le fedi, ma qualcuno o qualcosa si mise in mezzo al loro ardore. O forse fu il timore che la relazione gli facesse perdere il Nobel, che comunque non arrivò mai. Ma Ungà, come lo chiamava lei, non ebbe mai alcun dubbio su di lei.
Perché dubiti di me? Perché non hai fede in me? Perché sei turbata? Sii serena. Non penso che a trascorrere la mia vita con Te, non ardo che del desiderio di esserti sempre vicino, di continuo vicino, di continuo con il grido strozzato del mio amore sulle Tue labbra, carissime, le tue labbra amorose, amore, vivificanti labbra, bacio che mi fa credere giovane, un giovane Dio, immortale. Illusione? Certo. Ma sublime. Ti amo.
In seguito alla morte di Giuseppe Ungaretti, nel 1970, Bruna non scrisse più nulla. “Dopo un amore così grande, l’unica scelta era ricominciare da zero, essere normale”. Nel corso del tempo, però, giunse la decisione di rendere pubbliche le lettere, che aveva persino pensato di bruciare. “Adesso posso dirlo con certezza: l’età in amore non conta, ho un vigore che mi farebbe accettare qualsiasi sfida, come lui allora. Questo è l’insegnamento che mi ha lasciato Ungà con le sue lettere destinate non più soltanto a me, ma a tutti”.
La sensualità ipnotica dell’amore senile di Giuseppe Ungaretti per Bruna



Web content writer e traduttrice. Parlo poco, scrivo tanto e cito spesso Yeats.
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12 Settembre 2019 alle 18:22