20 novembre 1926: Antonio Gramsci, segretario del Partito Comunista d’Italia, si trova in carcere.

Inviso al regime fascista per via della sua attività politica, ancora non sa che la sua vita finirà proprio dietro le sbarre, perché fuori c’è qualcuno che ha fatto di tutto per “impedire a questo cervello di funzionare per venti anni”. Parole pronunciate dal pubblico ministero Michele Isgrò, suo principale accusatore: condannato per attività cospirativa, istigazione alla guerra civile, apologia di reato e incitamento all’odio di classe, il politico e intellettuale non riuscirà nemmeno a scontare tutta la pena, morendo quarantenne nel 1937.

La speranza di riuscire a riprendersi la sua vita privata e politica è ancora forte, almeno all’inizio della detenzione, quando scrive questa struggente lettera alla moglie Giulia Schucht, detta Julca, violinista russa conosciuta a Mosca nel 1921 e sposata due anni dopo. Dal loro amore travolgente sono nati i figli Delio, nel 1924, e Giuliano, nel 1926, poco prima dell’arresto di Gramsci.

Mia carissima Julca,

ricordi una della tue ultime lettere? (era almeno l’ultima lettera che io ho ricevuto e letto). Mi scrivevi che noi due siamo ancora abbastanza giovani per poter sperare di vedere insieme crescere i nostri bambini. Occorre che tu ora ricordi fortemente questo, che tu ci pensi fortemente ogni volta che pensi a me e mi associ ai bambini. Io sono sicuro che tu sarai forte e coraggiosa, come sempre sei stata.

Dovrai esserlo ancora di più che nel passato, perché i bambini crescano bene e siano in tutto degni di te. Ho pensato molto, molto, in questi giorni. Ho cercato di immaginare come si svolgerà tutta la vostra vita avvenire, perché rimarrò certamente a lungo senza vostre notizie; e ho ripensato al passato, traendone ragione di forza e di fiducia infinita. Io sono e sarò forte; ti voglio tanto bene e voglio rivedere e vedere i nostri piccoli bambini.

Mi preoccupa un po’ la questione materiale: potrà il tuo lavoro bastare a tutto? Penso che non sarebbe né meno degno di noi né troppo, domandare un po’ di aiuti. Vorrei convincerti di ciò, perché tu mi dia retta e ti rivolga ai miei amici. Sarei più tranquillo e più forte, sapendoti al riparo da ogni brutta evenienza. Le mie responsabilità di genitore serio mi tormentano ancora, come vedi.

Carissima mia, non vorrei in modo alcuno turbarti: sono un po’ stanco, perché dormo pochissimo, e non riesco perciò a scrivere tutto ciò che vorrei e come vorrei. Voglio farti sentire forte forte tutto il mio amore e la mia fiducia. Abbraccia tutti di casa tua; ti stringo con la più grande tenerezza insieme coi bambini.

Nato ad Ales, in Sardegna, il 22 gennaio del 1891, Antonio Gramsci è una delle figure più influenti del Novecento. Costretto a lavorare fin da bambino, a causa delle gravi condizioni economiche della famiglia, riesce comunque a frequentare il liceo classico, dimostrando fin da subito intelligenza e curiosità. Grazie ai suoi voti, ottiene una borsa di studio per l’Università di Torino, dove si iscrive a Lettere. Vive in condizioni di estrema povertà, ma può studiare e conoscere le migliori menti del capoluogo piemontese.

Si avvicina alla politica, spinto dalla volontà di azzerare il divario tra classi privilegiate e proletariato: dopo la sua iscrizione al partito socialista, nel 1913, sembra migliorare anche la sua vita personale. Partecipa alle riunioni e frequenta i compagni di partito: con l’entrata in guerra dell’Italia, nel 1915, il suo impegno si intensifica.

Nel 1924 diventa segretario del Partito Comunista d’Italia e deputato, impegnandosi in particolar modo per risolvere la questione meridionale. Nello stesso anno fonda il quotidiano l’Unità, da cui sfida la dura linea politica del governo fascista, fondata sulla repressione. Ed è subito chiaro quanto la sua voce possa essere pericolosa per il futuro di Mussolini: da qui la decisione di procedere contro di lui, mettendolo a tacere.

Il carcere non spegne la passione politica e lo spirito di Antonio Gramsci, che continua a esprimersi su carta, come dimostra questa lettera scritta per la madre Giuseppina Marcias il 10 maggio 1928, poco prima della condanna definitiva.

Carissima mamma,

sto per partire per Roma. Oramai è certo. Questa lettera mi è stata data appunto per annunziarti il trasloco. Perciò scrivimi a Roma d’ora innanzi e finché io non ti abbia avvertito di un altro trasloco.

Ieri ho ricevuto un’assicurata di Carlo del 5 maggio. Mi scrive che mi manderà la tua fotografia: sarò molto contento. A quest’ora ti deve essere giunta la fotografia di Delio che ti ho spedito una decina di giorni fa, raccomandata.

Carissima mamma, non ti vorrei ripetere ciò che ti ho spesso scritto per rassicurarti sulle mie condizioni fisiche e morali. Vorrei, per essere proprio tranquillo, che tu non ti spaventassi o ti turbassi troppo qualunque condanna siano per darmi.

Che tu comprendessi bene, anche col sentimento, che io sono un detenuto politico e sarò un condannato politico, che non ho e non avrò mai da vergognarmi di questa situazione.

Che, in fondo, la detenzione e la condanna le ho volute io stesso, in certo modo, perché non ho mai voluto mutare le mie opinioni, per le quali sarei disposto a dare la vita e non solo a stare in prigione.

Che perciò io non posso che essere tranquillo e contento di me stesso. Cara mamma, vorrei proprio abbracciarti stretta stretta perché sentissi quanto ti voglio bene e come vorrei consolarti di questo dispiacere che ti ho dato: ma non potevo fare diversamente.

La vita è così, molto dura, e i figli qualche volta devono dare dei grandi dolori alle loro mamme, se vogliono conservare il loro onore e la loro dignità di uomini.

Ti abbraccio teneramente.
Nino
Ti scriverò subito da Roma. Di’ a Carlo che stia allegro e che lo ringrazio infinitamente.
Baci a tutti.

Diversi anni dopo, il 15 giugno del 1932, dal carcere di Turi, in Puglia, scrive ancora alla madre, una donna colta e tenace, che ha già sofferto tanto nella vita. Le sue parole si aggrappano a un ricordo tenero della sua infanzia e sembrano già congedarsi dalla figura materna. Antonio Gramsci morirà cinque anni, dopo lunghi anni di malattia e un ultimo periodo di ricovero in ospedale.

Carissima mamma,

ho ricevuto la lettera che mi hai scritto con la mano di Teresina [la sorella amatissima di Antonio Gramsci, NdR]. Mi pare che devi spesso scrivermi così; io ho sentito nella lettera tutto il tuo spirito e il tuo modo di ragionare; era proprio una tua lettera e non una lettera di Teresina. Sai cosa mi è tornato alla memoria? Proprio mi è riapparso chiaramente il ricordo quando ero in prima o in seconda elementare e tu mi correggevi i compiti: ricordo perfettamente che non riuscivo mai a ricordare che “uccello” si scrive con due c e questo errore tu me lo hai corretto almeno dieci volte.

Dunque se ci hai aiutato a imparare a scrivere (e prima ci avevi insegnato molte poesie a memoria; io ricordo ancora Rataplan e l’altra “Lungo i clivi della Loira – che quel nastro argentato – corre via per cento miglia – un bel suolo avventurato”) è giusto che uno di noi ti serva da mano per scrivere quando non sei abbastanza forte. Scommetto che il ricordo di Rataplan e della canzone della Loira ti fanno sorridere. Eppure ricordo anche quanto ammirassi (dovevo avere quattro o cinque anni) la tua abilità nell’imitare sul tavolo il rullo del tamburo, quando declamavi Rataplan.

Del resto tu non puoi immaginare quante cose io ricordo in cui tu appari sempre come una forza benefica e piena di tenerezza per noi. Se ci pensi bene tutte le questioni dell’anima e dell’immortalità dell’anima e del paradiso e dell’inferno non sono poi in fondo che un modo di vedere questo semplice fatto: che ogni nostra azione si trasmette negli altri secondo il suo valore, di bene e di male, passa di padre in figlio, da una generazione all’altra in un movimento perpetuo. Poiché tutti i ricordi che noi abbiamo di te sono di bontà e di forza e tu hai dato le tue forze per tirarci su, ciò significa che tu sei già da allora, nell’unico paradiso reale che esista, che per una madre penso sia il cuore dei propri figli. Vedi cosa ti ho scritto? Del resto non devi pensare che io voglia offendere le tue opinioni religiose e poi penso che tu sei d’accordo con me più di quanto non pare.
Dì a Teresina che aspetto l’altra lettera che mi ha promesso.

Ti abbraccio teneramente con tutti di casa.

Antonio

1. Antonio Gramsci, "Quaderni del carcere"

Dalla prefazione de I quaderni del carcere:

I Quaderni costituiscono un classico del pensiero politico del Novecento. Gramsci fu un uomo politico e nella politica è da cercare l’unità della sua opera. Anche negli anni del carcere fascista, che ne logorò irrimediabilmente la fibra e ne spense prematuramente la vita, Gramsci fu “un combattente politico”, un grande italiano e un riformatore europeo. Nel movimento comunista egli fu l’iniziatore della critica più pregnante dello stalinismo e del marxismo sovietico. Ma il suo pensiero trascende l’orizzonte storico-politico del suo tempo e, quando più passano gli anni e le sue opere si diffondono in contesti culturali lontani da quello in cui furono originariamente concepite, tanto più la sua ricerca si afferma come un “crocevia” delle maggiori “questioni” del nostro tempo: i dilemmi della modernità, la soggettività dei popoli, le prospettive dell’industrialismo, la crisi dello Stato-nazione, il fondamento morale della politica.

2. Antonio Gramsci, "Lettere dal carcere"

Parlando delle Lettere dal carcere, Benedetto Croce disse che “il libro appartiene anche chi è di altro o opposto partito politico” e di Gramsci disse che “come uomo di pensiero Gramsci fu dei nostri, di quelli che nei primi decenni del secolo in Italia attesero a formarsi una mente filosofica e storica adeguata ai problemi del presente”. Monumento umano e letterario, documento di un rovello intellettuale, di una esperienza culturale e politica vitale per la nostra cultura, le lettere sono entrate a far parte della coscienza degli italiani.

3. Giuseppe Vacca, "Vita e pensieri di Antonio Gramsci"

La vita di Gramsci prigioniero del fascismo fu tormentata dall’angoscia e dai sospetti: l’angoscia per essere stato “messo da parte” politicamente e “dimenticato” anche dalla moglie; i sospetti che Togliatti e il Pcd’I ne sabotassero la liberazione. Nella sua condizione Gramsci vede riflessi i drammi della “grande storia” ed elabora una revisione profonda dei fondamenti del bolscevismo: la concezione della politica e dello Stato, l’analisi della situazione mondiale, la teoria delle crisi e la dottrina della guerra.

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!