Dacia Maraini è tornata, con un romanzo breve, Trio, che racconta un’amicizia fra donne; sorprendente, inaspettata, e non solo perché la sorellanza sembra essere merce rara, ma perché le due si contendono il medesimo uomo.

Trio

Trio

L'ultimo romanzo di Dacia Maraini è un romanzo breve incentrato sul legame tra due donne siciliane del Settecento durante un'epidemia di peste, il cui rapporto resiste nonostante si contendano lo stesso uomo.
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Ma la scrittrice fiorentina crede fortemente nel legame tra donne, al punto che vorrebbe farne un’eredità, come da lei stesso confidato in una recente intervista per Vanity Fair:

Vorrei avere messo qualche piccolo seme nella terra della consapevolezza femminile. Se alcuni di questi semi crescessero e diventassero alberi, ne sarei felice […] Se posso dare un suggerimento, chiederei per favore solidarietà, e ancora solidarietà. Le donne da sole non possono cambiare niente. Hanno bisogno di essere unite e solidali.

Lei, che in tempi di pandemia ha riscoperto, racconta, il “piacere delle finestre” – ” Prima uscivo, non c’ero quasi mai e mi ci avvicinavo poco, giusto il necessario. In questi giorni, invece, forse anche perché sono da sola, sono diventate importantissime”, ha detto -, crede molto nei rapporti umani in generale, da sempre, per questo giudica il periodo di “reclusione forzata” il più duro non solo per se stessa, ma per tutti.

Sto capendo – ha detto – sempre di più che siamo tutti – io per prima – persone legate agli altri, alle amicizie, agli incontri. Oggi mancano. La solitudine, quando è imposta, è più faticosa e quando è forzata può diventare terribile. Nel mio caso, terribile non lo è, perché mi dedico – come le dicevo – alla lettura e alla scrittura, però mi manca una mano da stringere, una persona con cui parlare, il poter vedere degli amici. La vita sociale è più importante di quello che pensiamo. L’isolamento è una ferita, ma io la accetto, perché penso che sia momentanea e per rispetto verso quei poveretti che soffrono negli ospedali, per i medici e le tante infermiere che rischiano la vita. Certamente, però, non è piacevole.

Oltre che di rapporti umani, però, Maraini si interessa moltissimo anche alla libertà di scelta, la stessa di cui ha parlato nel libro Il diritto di morire, edito da SEM e uscito nel maggio 2018, in cui si avventura in un dialogo con il giovane giurista siciliano Claudio Volpe per parlare di fine vita.

Il diritto di morire

Il diritto di morire

Dacia Maraini si avventura in un dialogo con il giovane giurista Claudio Volpe per esplorare la tematica del fine vita.
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La questione del fine vita è senz’altro una delle più delicate e controverse del nostro tempo; casi come quelli di Piergiorgio Welbi o, più recentemente, di dj Fabo irrimediabilmente hanno spaccato l’opinione pubblica, dividendo la morale delle persone e imponendo una riflessione doverosa su dove e se sia possibile stabilire un limite al diritto individuale a vivere una vita piena e dignitosa, comprendendo in esso anche la libertà di scegliere quando e come rinunciare alla vita stessa.

È ammissibile che una persona decida di morire, a prescindere dalla sua condizione fisica e di salute, perché non giudica più la sua vita degna di essere vissuta come la vorrebbe? La libertà di togliersi la vita può essere considerata legittima, un diritto, seppur estremo, che la legge dovrebbe garantire e tutelare, anche in virtù di quanto afferma la nostra Costituzione (che vieta l’obbligo a trattamenti sanitari non voluti dal soggetto e pone limiti importanti alla violazione degli altrui diritti) oppure dobbiamo aspettarci un’ingerenza di carattere statale, politico ma anche religioso in quella che, a tutti gli effetti, è una situazione che attiene alla sfera più intima della persona stessa? Infine, quanta è davvero la differenza tra chi per togliersi la vita sceglie di lanciarsi nel vuoto e chi chiede, invece, di essere almeno accompagnato in maniera legale in questa volontà, fermo restando che se qualcuno vuol porre termine alla sua esistenza comunque lo farà?

Dacia Maraini si è posta proprio questo interrogativo, nell’intervista-saggio che, partendo proprio dai casi di cronaca più recenti, indaga sulle ragioni giuridiche, morali, psicologiche, sociologiche e politiche di una situazione che frammenta le opinioni; anche alla luce della perdita del compagno, ucciso dalla leucemia, la Maraini si interroga sull’opportunità di lasciare sempre più campo a macchine e tecnologia anche in situazioni in cui invece, a prevalere, dovrebbe essere solo il senso di dignità umana.

Il diritto di morire

C’è ancora qualcuno che si preoccupa della dignità della persona umana, prima che del potere fine a se stesso? – si legge nel libro, come riportato da Repubblica – Quella di tenere vivo un corpo morto con agenti chimici e macchine evolute può sembrare una vittoria dell’uomo sul suo destino mortale ma può costituire invece una prigionia crudele e alla fine una sconfitta della collettività nel suo complesso. Fra l’altro c’è una contraddizione logica in chi sostiene le ragioni ideologiche e religiose della vita a tutti i costi e l’idea che è Dio a decidere quando un uomo deve vivere o morire: se deleghiamo a una macchina la sopravvivenza di un uomo, dove sta la volontà di Dio?

E ancora, esplorando il lato giuridico della recente vicenda di Fabo e del conseguente processo a Marco Cappato:

Siamo di fronte a una volontà da rispettare o a un atto illecito da condannare? Secondo la religione cattolica un uomo non ha il diritto di togliersi la vita, che è un dono di Dio e solo il Santissimo può decidere di toglierla o lasciarla. Il suicidio viene interpretato come un atto di disobbediente arroganza.

In Belgio, Olanda e in buona parte dei paesi del Nord Europa la possibilità di porre fine alla propria vita, se giudicata non più degna di essere vissuta, è legalmente garantita; pochi mesi orsono l’atleta paralimpica Marieke Vervoort ha scelto l’eutanasia per non dover più lottare con la sua malattia degenerativa.

Ma l’Italia si dimostra sempre un passo più indietro rispetto a questa tematica, vedasi anche la legge sul testamento biologico, approvata solo recentemente e proprio alla luce del caso di dj Fabo.

Prometto di perderti

Dacia Marani è, naturalmente, favorevole alla legge, che anzi allargherebbe a chi vorrebbe semplicemente esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione, indipendentemente dall’essere malato o no.

Di certo, la scrittrice ha le idee decisamente chiare sulle contraddizioni statali in merito:

La Chiesa proibisce il suicidio ma lo Stato no. Però l’istituzione pubblica, come pentendosi di questa scelta coraggiosa, ha deciso di assolvere il suicida ma condannare chi in qualche modo assiste, aiuta, incoraggia o partecipa anche solo come testimone a questo suicidio. Non si tratta di una ipocrisia? Non è umano che chi si appresta a lasciare questa vita senta il bisogno di una compagnia che faccia da testimone, gli tenga la mano per l’ultimo salto, gli dica una parola di conforto prima di andarsene? E che senso ha non condannare il suicida e denunciare colui o colei che gli dà l’ultimo saluto?

Il diritto di morire fornisce importanti spunti, giuridici ma anche sociali ed etici, su un tema che certamente non può essere riassunto né, tantomeno, esaurito in poche pagine, e Dacia Maraini, accompagnata da Volpe, riesce a trattarlo con tutto il riguardo che la delicatezza che esso richiede, senza sfociare in estremismi fin troppo facili, rimanendo però al contempo schietta e onesta come di consuetudine.

 

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