Anne Sexton è stata un creatura strana della cultura americana degli Anni Sessanta e Settanta. Sbocciata in un periodo in cui la poesia cercava un impatto sociale e immediato, attraverso letture pubbliche, aveva tutte le caratteristiche giuste per stregare chi andava ad ascoltarla. Vestita con abiti lunghi, prima di salire sul palco si toglieva le scarpe e si accendeva una sigaretta. Poi iniziava a leggere le sue poesie con una voce profonda e seducente, svelando il suo piccolo mondo incrinato.

Parlava di aborto, di salute mentale, di adulterio e di sesso, dando vita a un immaginario intimo e potente, come nel caso della descrizione dell’orgasmo nella poesia Quando un uomo entra nella donna, contenuta nella raccolta L’estrosa abbondanza, edita da Crocetti, che recentemente ha pubblicato anche La zavorra dell’eterno.

La zavorra dell'eterno. Testo inglese a fronte

La zavorra dell'eterno. Testo inglese a fronte

La raccolta di poesie di Anne Sexton, che ha attraversato come una meteora il mondo della poesia americana, esercitando un'influenza su artisti che nei suoi versi hanno ritrovato la tragicità del quotidiano e la forza drammatica dei sogni.
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Quando l’uomo
entra nella donna
come l’onda scava la riva,
ripetutamente,
e la donna, godendo, apre la bocca
e i denti le luccicano
come un alfabeto,
il Logos appare mungendo una stella,
e l’uomo
dentro la donna
stringe un nodo
perché mai più loro due
si separino
e la donna si fa fiore
che inghiotte il suo gambo
e il Logos appare
e sguinzaglia i loro fiumi.

Quest’uomo e questa donna
con la loro duplice fame
hanno cercato di spingersi oltre
la cortina di Dio, e ci sono
riusciti per un momento,
anche se poi Dio
nella sua perversione
scioglie il nodo.

Nata Anne Gray Harvey a Newton (Massachusetts) il 9 novembre 1928, suo padre era un agiato imprenditore nel settore della lana, che aveva fatto fortuna producendo coperte e uniformi per i soldati della Seconda Guerra Mondiale, mentre sua madre era figlia di un editore. Ciò le consentì di vivere in un ambiente privilegiato, in case eleganti e servita da una schiera di camerieri.

Nonostante l’agio, crebbe senza amici e passando tutto il suo tempo con la sua unica confidente, una giovane prozia che lei chiamava Nana. Quando la donna venne ricoverata in un istituto psichiatrico, a causa di problemi mentali, Anne Sexton ne soffrì molto. A pesare, secondo la biografa della poetessa, forse furono anche gli abusi sessuali subiti nel contesto familiare.

Dopo gli studi in un collegio femminile e in una scuola professionale, dove avrebbe dovuto diventare una “moglie perfetta”, a diciannove anni scappò con Alfred Muller Sexton II e lo sposò. Si trasferirono a Boston, dove lavorò brevemente come modella, prima di diventare madre di due figlie. Dopo la seconda gravidanza, proprio mentre iniziavano a manifestarsi preoccupanti segnali negativi per la sua salute mentale, Anne cominciò a frequentare un laboratorio di poesia, su suggerimento di un medico. In quel periodo conobbe Sylvia Plath, che divenne sua amica e che con lei condivise anche una fine tragica.

Anne Sexton soffriva infatti di disturbo bipolare, un male con cui lottò per tutta la sua vita. Nonostante l’apparente idillio familiare, quando le figlie iniziarono a crescere lei si sentì sempre più sola, abbandonata ai suoi fantasmi e alle sue paure. L’unica sua certezza sembrava essere la poesia, che usava per scandagliare la sua anima e i suoi pensieri. Così raccontò il suo malessere in un’intervista:

Fino ai ventotto anni avevo una specie di sé sepolto che non sapeva di potersi occupare di qualunque cosa, ma che passava il tempo a rimescolare besciamella e badare ai bambini. Non sapevo di avere alcuna profondità creativa. Ero una vittima del Sogno Americano, il sogno borghese della classe media. Tutto quello che volevo era un pezzettino di vita, essere sposata, avere dei bambini. Pensavo che gli incubi, le visioni, i demoni, sarebbero scomparsi se io vi avessi messo abbastanza amore nello scacciarli. Mi stavo dannando l’anima nel condurre una vita convenzionale, perché era quello per il quale ero stata educata, ed era quello che mio marito si aspettava da me… Questa vita di facciata andò in pezzi quando a ventotto anni ebbi un crollo psichico e tentai di uccidermi.

Fu, come detto, la poesia a salvarla: il suo nome cominciò a essere conosciuto a partire dagli Anni Sessanta. Esponente di quella che viene chiamata la scuola confessionale, raccontava la sua stessa vita, seppur con uno stile impeccabile, come dimostra questo passaggio di Giovane:

e io, nel mio corpo nuovo di zecca,
non ancora donna,
raccontavo alle stelle i miei problemi
e credevo che Dio potesse veramente vedere
il calore e la luce colorata,
i gomiti, le ginocchia, i sogni, la buonanotte

In particolare, l’eros è un elemento fondamentale della sua lirica, come nel componimento Le tue mani ostinate:

Poi a letto penso a te,
la tua lingua metà oceano, metà cioccolata,
alle case dove entri con disinvoltura,
ai tuoi capelli di lana d’acciaio,
alle tue mani ostinate
e come rosicchiamo la barriera
perché siamo due.
Come vieni e afferri la coppa di sangue,
mi ricompatti e bevi la mia acqua salata.
Siamo nudi.
Ci siamo denudati fino all’osso
e insieme nuotando risaliamo il fiume,
l’identico fiume chiamato Possesso
e vi sprofondiamo insieme. Nessuno è solo.

Quando tornava a casa, però, era tutta un’altra storia. Se di fronte al pubblico era la miglior interprete possibile delle sue poesie, sofisticata e affascinante, nel privato Anne Sexton combatteva con istinti suicidi, ricoveri in ospedali psichiatrici e una lunga storia di dipendenza dagli psicofarmaci.

Più volte, durante la sua vita, disse che era la poesia a tenerla in vita. Il suo Dio, come le aveva spiegato un prete cattolico, era nella macchina da scrivere. Comporre poesie le concedeva un po’ di tempo in più per analizzare se stessa e comprendere l’origine dei suoi problemi, ma alla fine non bastò più nemmeno quello. Dopo diversi tentativi falliti, riuscì a togliersi la vita: aveva solo quarantacinque anni.

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