“La vita sta versando il suo flusso estetico nei tuoi occhi, nelle tue orecchie – e tu lo ignori perché stai cercando i tuoi canoni di bellezza in una sorta di cornice, teca di vetro o tradizione”. Mina Loy navigò in gran parte dei movimenti letterari e artistici di inizio Novecento, tra dadaismo, surrealismo, futurismo, modernismo e postmodernismo, mantenendo sempre la sua identità di artista e scrittrice.

Come pittrice, riuscì a esporre a Parigi, Londra e a New York, ma molte delle sue opere restano inedite, non datate, perse o in collezioni private, rendendo la sua carriera tanto difficile da tracciare quanto affascinante da seguire.

Durante la sua vita, Mina Loy pubblicò solo due raccolte di poesie, Lunar Baedeker nel 1923 e Lunar Baedeker e Time-Tables nel 1958, oltre a dozzine di opere teatrali e saggi in piccole riviste, ma è per la vis poetica che oggi viene ricordata, purtroppo quasi solo a livello accademico. La raccolta in italiano, Per guida la luna, contiene anche la traduzione di Songs to Joannes, un lungo componimento scritto tra il 1915 e il 1917, di cui riportiamo alcuni versi.

Avremmo potuto accoppiarci
nel momentaneo monopolio di un letto
strapparci la carne l’una all’altro
al tavolo della comunione profana
dove si versa vino su labbra promiscue
avremmo potuto dar vita a una farfalla
con le notizie del giorno
stampate a sangue sulle ali

Come ben raccontato in un articolo della Penn University, l’uomo a cui si rivolge è probabilmente una figura creata da un collage di relazioni fallite, in primo luogo quella con lo scrittore italiano Giovanni Papini. “Joannes è la creatura più sbalorditiva che sia mai vissuta nella mia immaginazione”, scrisse Mina Loy in una lettera all’amico Carl Van Vechten, scrittore e fotografo. Proprio lui l’aveva esortata a scrivere meno di sesso, ricevendo la candida risposta “non conosco altro che la vita, e generalmente è riducibile al sesso”.

Chi era Mina Loy

Nata Mina Gertrude Lowy nel 1882 a Londra, da madre cristiana e padre ebreo, scelse di cambiare il suo cognome per il suo debutto come pittrice a Parigi, poco più che ventenne. Loy, riferimento alla parola francese loi (legge), era già una dichiarazione d’intenti: l’unica regola che intendeva seguire alla lettera era essere se stessa. Del resto, fin da piccola era stata la figlia problematica, quella che preferiva inventare storie e disegnare, lontana dall’idea vittoriana di donna scevra di ambizioni.

Nella capitale francese, dove giunse nel 1902 per continuare i suoi studi d’arte, le si spalancò tutto il mondo delle nuove avanguardie culturali. Poté finalmente liberarsi di quell’etichetta ottocentesca di nevrastenica che le era stata incollata addosso negli anni precedenti, quando ancora le donne che manifestavano pulsioni diverse dalla norma erano considerate malate. Nel suo caso erano le inclinazioni artistiche, intollerabili per una giovane di buona famiglia: ma Parigi era tutta un’altra storia, tutto un altro mondo da esplorare.

Proprio a Parigi Mina Loy conobbe il collega artista Stephen Haweis, che capitolò di fronte alla sua colta bellezza sfrontata. Non fu lo stesso per lei, ma nel 1903 decise comunque di sposarlo, anche perché già incinta della figlia Oda Janet. Mentre diventava moglie e madre, iniziò a plasmarsi anche la sua carriera, con un nuovo nome e l’esposizione di sei acquerelli al prestigioso Salon d’Automne.

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Una nuova vita

Mentre cominciava a farsi notare nel milieu avanguardista, la sua vita personale precipitò. Quando la figlia Oda morì di meningite nel 1905, il suo matrimonio diventò un inferno. Mina Loy cercò conforto tra le braccia dal medico che l’aveva in cura per nevrastenia, ma rimase incinta. Suo marito Stephen le propose di sistemare la situazione e assumersi la paternità del bambino, a patto che si trasferisse in Italia insieme a lui: senza i mezzi finanziari che le avrebbero permesso di divorziare, chinò il capo e seguì il coniuge a Firenze.

Mina non poteva immaginare che proprio il Belpaese avrebbe rappresentato un passaggio chiave nella sua vita di artista. Sempre più lontana dal marito, nonostante fosse diventata madre di altri due figli, coltivò le sue conoscenze in società, avvicinandosi a Gertrude Stein e al suo circolo, che la avvicinarono al movimento futurista. Mentre intratteneva relazioni amorose con Filippo Tommaso Marinetti e Giovanni Papini, intraprese anche la carriera letteraria, pubblicando poesie e opere teatrali.

Nello stesso periodo scrisse il suo Feminist Manifesto, in cui incitava le donne a rivendicare il loro ruolo nella società. Ci vollero però decenni prima della sua pubblicazione, avvenuta solo nel 1982, in occasione dell’uscita della prima vera raccolta postuma delle sue opere, The Last Lunar Baedeker.

Il movimento femminista, così come è attualmente istituito, è inadeguato. Donne, se volete realizzare voi stesse – siete alla vigilia di un devastante sconvolgimento psicologico – tutte le vostre illusioni predilette devono essere smascherate – le bugie dei secoli devono finire – siete preparate per lo Strappo? Non esiste una mezza misura: NESSUN graffio sulla superficie del mucchio di spazzatura della tradizione porterà alla riforma, l’unico metodo è la rottura completa.

La partenza per New York

Dopo un’esperienza come infermiera per la Croce Rossa italiana durante la Prima guerra mondiale, nel 1917 lasciò i suoi figli con la loro bambinaia italiana e salpò per New York, determinata a reinventarsi come artista. A New York, Loy conobbe Marcel Duchamp, Man Ray e soprattutto Arthur Cravan, pugile, poeta dadaista e nipote di Oscar Wilde, di cui si innamorò perdutamente.

Ottenuto il divorzio da Hawais, partì per il Messico con Cravan e lì si sposarono, ma una nuova tragedia si stava preparando all’orizzonte. Incinta, decise con il marito di partire per l’Argentina e da lì tornare poi in Europa, ma su barche diverse: l’imbarcazione su cui viaggiava Cravan scomparve al largo delle coste del Messico e di lui non si seppe più nulla.

Con il cuore spezzato, Loy tornò a Londra e diede alla luce la figlia Jemima Fabienne, per poi spostarsi senza pace tra Ginevra, Firenze, New York e Parigi, dove fino al 1936 gestì un negozio di lampade finanziato da Peggy Guggenheim. Tornata a New York nel 1936, dieci anni dopo divenne ufficialmente una cittadina americana e per diversi anni visse in una sorta di comune, creando assemblaggi artistici da rifiuti e oggetti trovati per strada.

Nel 1953 si trasferì ad Aspen, in Colorado, per stare vicino alle sue figlie e lì morì nel 1966, completamente dimenticata dal mondo artistico e culturale. Restano le sue parole, inaspettate e vive, come gli Aforismi sul futurismo pubblicati per la prima volta nella rivista Camera Work del fotografo Alfred Stieglitz nel gennaio 1914.

AMATE l’orrendo per trovarne il nucleo sublime.
APRITE le braccia a tutto ciò che va in rovina per restituirgli dignità.
VOI preferite osservare il passato sul quale gli occhi sono già spalancati.
MA il Futuro è oscuro solo dal di fuori.
Saltateci dentro – e lui ESPLODERÀ di Luce.

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