Non solo Anna Frank: il diario di Etty Hillesum, che scelse di non salvarsi

Come Anna Frank, anche Etty Hillesum lasciò un diario, pubblicato solo molti anni dopo la sua morte, in cui raccontava l'orrore dei campi di concentramento, ma anche il suo viaggio dentro se stessa, il rapporto con Dio e con gli altri. Morì, neppure trentenne, ad Auschwitz.

Il diario di Anna Fank è passato alla storia, diventando uno dei capolavori mondiali della letteratura, per essere una delle testimonianze più veritiere ed emozionanti dell’orrore della persecuzione nazista ai danni degli ebrei.

Ma le pagine lasciate dall’adolescente morta nel campo di concentramento di Bergen-Belsen non sono le sole che raccontano lo strazio di uno sterminio assurdo che ha posto fine alle vite di milioni di innocenti, le cui uniche colpe erano di avere origini ebraiche, o di essere parte di quella società di cui il Reich voleva liberarsi.

Anche Etty Hillesum, nei suoi soli 29 anni di vita, ha lasciato in eredità un diario denso non solo dello smarrimento per quel dramma vissuto incolpevolmente, ma anche di tutti i pensieri e i sentimenti di una giovane donna con sogni, dubbi, speranze e aspettative.

Diario 1941-1943

Diario 1941-1943

Non solo Anna Frank, anche Etty Hillesum ha vissuto l'orrore dei campi di concentramento, lasciando un diario.
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Abbiamo lasciato il campo cantando, papà e mamma molto forti e calmi, e così Misha. Viaggeremo per tre giorni. Arrivederci da noi quattro.

Così recitava l’ultima cartolina postale, indirizzata all’amica Christine van Nooten, come riporta il sito doppiozero; è datata 7 settembre 1943, ed Etty, diminutivo di Esther – nome di un’eroina ebraica citata nella Bibbia – la lascia cadere dal treno che la sta portando ad Auschwitz assieme ai genitori e al fratello Misha (mentre l’altro, Japp, ebbe un destino diverso). Lì la ragazza morirà due mesi dopo l’arrivo, il 30 novembre del 1943.

E dire che, in un primo momento, nonostante le origini ebraiche, a Etty era stato risparmiato il campo di concentramento, per via del suo impiego come segretaria  presso il Consiglio Ebraico, ad Amsterdam, dove si era trasferita nel 1932. È proprio lei a chiedere di essere mandata nel campo di Westerbrock, dove ogni martedì partono treni stracolmi di donne, uomini, bambini, tutti destinatari di un viaggio di sola andata verso Auschwitz, per occuparsi dei malati nelle baracche dell’ospedale.

Mi sento in grado di sopportare il pezzo di storia che stiamo vivendo“, dice lei.

Un giorno, il 21 giugno del 1943, Etty scrive una pagina particolare, quella che racconta l’arrivo dei suoi genitori al campo. Lì la disperazione per l’inevitabilità del loro destino prende pienamente corpo, unitamente all’infelicità per la consapevolezza di non poterli salvare.

Io non posso fare nulla, non l’ho mai potuto, posso solo prendere le cose su di me e soffrire. In questo sta la mia forza ed è una grande forza, ma per me stessa non per gli altri. Io mi sento all’altezza del mio destino, ma non mi sento in grado di sopportare quello dei miei genitori.

Ma il suo diario non racconta solo dell’inferno sulla terra che la ragazza viveva ogni giorno con i propri occhi, soprattutto è un viaggio introspettivo dentro se stessa, teso a indagare i propri demoni in quel percorso culminato nella rinascita tramite l’ “altruismo radicale” di cui Jan Geurt Gaarlandt, curatore del diario stesso, parla nell’introduzione.

Altruismo che trova la sua ragione nell’aiutare Dio, abbandonandosi a esso, senza però identificarsi in una fede specifica; già, a proposito di Dio: a quello trascendente, esterno, quello – per capirci – inteso dall’ebraismo tradizionale, Etty oppone un Dio interiore, trovato nelle profondità di sé. Il Dio di Etty diventa una guida e un interlocutore, un nome da cercare eternamente, ma vacillante, immanente nel cuore umano, ma anche nella miseria.

L’amore di Etty Hillesum per il mentore

Etty inizia a scrivere il suo diario probabilmente dietro consiglio dello psico-chirologo ebreo-tedesco Julius Spier, che diventerà non solo un mentore, ma anche un amante, un’ossessione: lui l’avvicina alla psicologia analitica di Junger, ma anche a Sant’Agostino e alla lettura delle Sacre Scritture, a Rilke e Dostoevskij. Etty ne è completamente rapita, estasiata, si lascia liberare da quella “costipazione spirituale” di cui soffre riversando nelle pagine del diario tutta la sua passione di donna, la sua sensualità, i suoi tormenti interiori.

Spier la ammalia dal punto di vista culturale, spirituale, sessuale, gli incontri con il dottore si ripercuotono inevitabilmente anche sul suo rapporto con Han Wegerif, il contabile con cui vive. Capisce che non ha bisogno di uomini più grandi che si prendano cura di lei, ma che lei stessa può darsi la forza di cui ha bisogno.

Nel 1941 Etty ha un aborto, nel diario scrive: “ti sbarrerò l’ingresso a questa vita e non dovrai lamentartene“, come se volesse preservare il suo bambino dall’orrore di una vita che non poteva regalare altro che tristezza e dolore.

Etty, invece, visse fino a quando la follia nazista non tolse la vita a tutta la sua famiglia. Non aveva ancora trent’anni.

A differenza del diario di Anna Frank, i suoi scritti furono stampati solo a partire dal 1981 ma, ancora oggi, rimangono una testimonianza vivida e fresca di una donna che ha combattuto non solo contro la sua epoca e la tragedia nazista, ma anche – e soprattutto – contro se stessa.

 

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