Nemmeno lo sceneggiatore più ardito avrebbe potuto immaginare una storia come quella di Liliana Manfredi. La sua l’ha raccontata lei stessa nel libro La nazista e la bambina, in cui non solo ha ricordato quello che le è successo quel giugno del 1944, ma anche “il sogno che ci sia un limite oltre al quale l’uomo ritorna in sé e trova la forza di cambiare non solo se stesso ma tutto il mondo”.

Tempo fa, durante un incontro con gli studenti di una scuola a Reggio Emilia riportato da Il resto del Carlino, ha ripercorso i suoi ricordi di bambina costretta a crescere troppo in fretta. Era solo uno dei tanti incontri di cui da tempo Liliana Manfredi è protagonista nelle scuole di tutta Italia, per parlare ai giovani di un tempo doloroso e difficile.

Sono nata due volte, la prima a casa di mia nonna, il 29 aprile 1933, la seconda in un campo di erba alta, in una notte di estate, il 24 giugno 1944, quando un soldato tedesco delle truppe che avevano sparato a me e a tutta la mia famiglia la sera prima, mi preservò da morte certa portandomi sul ciglio della strada.

Il nazista e la bambina

Il nazista e la bambina

La storia di Liliana Manfredi, sopravvissuta miracolosamente all'eccidio della Bettola il 24 giugno 1949, per mano dei nazisti. Ancora bambina, fu salvata da un soldato tedesco.
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La prima vita di Liliana inizia proprio nel 1933, quando nasce a San Pellegrino di Reggio Emilia. Passa però l’infanzia insieme ai genitori nella vicina Albinea, dove sua mamma lavora come custode. Ha solo dieci anni quando la prima tragedia sconvolge la sua esistenza di bambina: nell’estate del 1943 suo padre muore in un incidente e lei e la madre si trasferiscono dai nonni materni nella frazione Bettola di Vezzano sul Crostolo.

Ed è proprio lì che, esattamente un anno dopo, la sua prima vita finisce, in quello che poi passerà alla storia come l’eccidio della Bettola. Nella notte del 24 giugno del 1944 Liliana ha solo 11 anni ed è testimone di un evento drammatico che cambierà per sempre il resto dei suoi giorni.

Dopo un tentativo dei partigiani di bloccare l’avanzata nazista sull’Appennino reggiano, facendo esplodere un ponte, durante la notte parte la scellerata e inumana rappresaglia dei tedeschi. È una strage: muoiono 32 civili e la cui unica “colpa” è quella di trovarsi sulla stessa strada del nemico.

Alcuni soldati tedeschi irrompono nell’abitazione di Liliana e uccidono a colpi di mitra la sua mamma, in piedi contro il muro, e i suoi nonni, nel letto. Colpiscono anche lei che è nascosta sotto le lenzuola, ma tre pallottole non sono abbastanza per finirla. Senza nemmeno pensarci, lei si getta ferita dalla finestra e si rompe una caviglia. Mentre si trascina verso il torrente Crostolo, vede i nazisti dare fuoco alla sua casa.

La mia casa era cenere e fumo. La mia famiglia era cenere e fumo. Ma non era dolore ciò che provavo. Era stupore, incredulità. Anzi proprio perché avevo visto e vissuto tutto, e tutto si stagliava davanti a me con tragica evidenza, continuavo a non credere che una cosa simile potesse essere successa davvero. Non solo a me, ma all’umanità intera.

Liliana si nasconde tra le foglie, impaurita e dolorante, e lentamente perde conoscenza. Quando si risveglia è quasi mattina: qualcuno si è accorto di lei, ma si tratta di un tedesco a cui molto probabilmente era stato dato l’incarico di controllare che non ci fossero altri superstiti. Lui, però, la solleva delicatamente e la porta verso la strada principale, dove poi viene ritrovata e portata da altre persone all’ospedale di Rivalta a Reggio Emilia. Un gesto di pietà che Liliana non si è mai spiegata, visto che non ha più rivisto quell’uomo.

Ricomincia così un’altra vita per Liliana Manfredi. Dopo la guarigione, la affidano prima a una famiglia piacentina e poi allo zio Galileo, nominato suo tutore. Si sposa, ha figli e nipoti, ma non dimentica quella notte del 24 giugno 1944.

Sono scampata a una strage nazista, è vero, ma la mia vera impresa è stata quella di essere felice dopo. Quella notte non si è mai allontanata da me. È una zanzara fastidiosa che ronza nelle orecchie, suono improvviso che viene e va prima di poterlo localizzare.

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