“Gli ebrei sono responsabili di tutto. La lotta era necessaria per scongiurare un destino peggiore e salvare il mondo”: questa è solo una delle tante agghiaccianti frasi che l’allora giovane Traudl Junge si trovò a battere a macchina, dettate dal suo capo per redarre il suo testamento politico. Lei era una segretaria venticinquenne e lui Adolf Hitler, una delle peggiori menti criminali di tutta la storia umana, ma anche l’uomo per cui lavorava da tre anni. La sua storia è un’implicita risposta a chiunque si sia posto la domanda su come il popolo tedesco (e non solo) sia potuto arrivare a quel punto: semplicemente voltando la testa dall’altra parte, perché assecondare l’odio era più semplice. Ingenuità, per qualcuno, consapevole accettazione della banalità del male, per qualcun altro.

Nelle memorie di Traudl Junge, scritte subito dopo la fine della guerra e pubblicate solo molto tempo dopo, emerge un ritratto ingenuo e infantile del dittatore, dai gesti banali di ogni giorno fino agli ultimi drammatici momenti. Ma sono soprattutto le conversazioni apparentemente banali a inquietare di più.

Un giorno, si parlava ancora di matrimonio e di nozze e domandai: “Perché non si è sposato, mio Führer?”. Sapevo bene quanto gli piacesse combinare matrimoni. La risposta fu alquanto strabiliante: “Non sarei un buon padre di famiglia e ritengo irresponsabile formare una famiglia se non posso dedicarmi a mia moglie come si deve. Inoltre non vorrei avere dei figli miei. Credo che, di solito, i discendenti dei geni abbiano una vita molto difficile. Da loro ci si aspetta la stessa grandezza del famoso genitore e non se ne perdona la mediocrità. E poi, spesso diventano dei cretini”.

Ma chi era Traudl? Nata nel 1920, Gertraud Humps (questo era il nome da nubile), era figlia di un produttore di birra di Monaco di Baviera. Dopo aver perso il suo lavoro, il padre aveva aderito a un’organizzazione politica di destra di cui faceva parte anche Adolf Hitler: tale decisione, insieme all’opposizione alla repubblica di Weimar, lo portò a essere bandito dal suo Paese e a emigrare in Turchia con la famiglia. Sua moglie decise quindi di chiedere il divorzio e tornare in Germania con le figlie, Traudl (che aveva cinque anni) e la più piccola Inge.

Pur sognando un futuro da ballerina, a causa delle condizioni economiche della famiglia nel 1936, Traudl fu costretta a iscriversi in una scuola per segretarie. Raggiunta la sorella a Berlino, nel 1942, riuscì a ottenere un lavoro nella Cancelleria del Reich, occupandosi della corrispondenza del Führer. Quando una delle segretarie personali di Hitler decise di lasciare il posto, la giovane si candidò senza particolare interesse, visto che in realtà sperava di poter tornare nel mondo della danza. Nel novembre dello stesso anno ricevette la notizia: era stata scelta per affiancare l’uomo più potente della Germania.

In qualità di sua segretaria, Traudl seguiva Hitler nei suoi spostamenti e anche nella sua residenza montana di Berghof, restando sempre a stretto contatto anche con le altre tre segretarie Johanna Wolf, Christa Schröder e Gerda Christian. Nel 1943 sposò l’ufficiale Hans Hermann Junge, che lavorava per il dittatore e da cui prese il cognome. Tuttavia, l’uomo morì un anno dopo, combattendo in Normandia. Prematuramente vedova, all’inizio del 1945 Traudl Junge seguì Hitler nel suo bunker sotto la Cancelleria del Reich e vi rimase fino alla morte del dittatore. La sera del 28 aprile, dopo avere sposato Eva Braun, Hitler dettò alla Junge il suo testamento politico e personale e il giorno dopo si tolse la vita.

Dopo un breve periodo da fuggiasca, Traudl venne catturata dagli alleati e liberata poco dopo. Continuando a lavorare come semplice impiegata, tra il 1946 e il 1947 scrisse le sue memorie e cercò di farle pubblicare, senza ottenere alcuna risposta positiva dagli editori. Non si sposò e non ebbe figli, portando avanti una vita nell’anonimato, tra una forte depressione e un’esperienza come volontaria per le persone non vedenti. Alcuni brani del suo manoscritto vennero pubblicati per la prima volta nel 1989, all’interno di un altro libro.

L’esperienza della ragazza, che riportò nel suo diario ciò che per lei era la normalità, è stata poi ripresa qualche anno fa per il film La Caduta e per un documentario girato da Andrè Heller e Othmar Schmiderer, intitolato L’angolo buio. Nel documentario, premiato al Festival di Berlino e al Festival di Chicago, Traudl Junge raccontò come Hitler odiasse il contatto fisico, perché “non gli piaceva essere toccato, nemmeno dal massaggiatore, ed era fissato con l’igiene. Si lavava le mani ogni volta che accarezzava il suo cane”. Nonostante i continui discorsi populisti, secondo la sua ex segretaria “non considerava mai i singoli individui e, anche se affermava di volere la felicità delle persone, non dava mai a essa la minima importanza”.

Era quindi cambiata la posizione di Traudl Jung, a distanza di tanti decenni? Sì e no: se da un lato affermava “trovo difficile perdonarmi per quanto è accaduto”, nella sua ultima testimonianza sembrava anche scusarsi dicendo che “nel profondo del cuore, nutrivo dei dubbi” “Credo che ora comincerò a perdonarmi”. Il giorno dopo la prima proiezione ufficiale, il 10 febbraio del 2002, la Junge morì di cancro. Quello stesso anno anche le sue memorie vennero pubblicate integralmente per la prima volta.

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