Ciò che accadde a Irène Némirovsky potrebbe succedere anche a noi
La tragica storia di Irène Némirovsky, grandissima scrittice del Novecento: morì ad Auschwitz, nonostante il disperato tentativo del marito di salvarla.
La tragica storia di Irène Némirovsky, grandissima scrittice del Novecento: morì ad Auschwitz, nonostante il disperato tentativo del marito di salvarla.
Nel 2004 il mondo letterario riscoprì un nome che sembrava ormai smarrito nelle nebbie del Novecento, un secolo complesso, ingombrante e nefasto. Grazie alla pubblicazione postuma del romanzo Suite francese, la sua ultima opera, Irène Némirovsky divenne per la seconda volta un’autrice celebrata e premiata, a distanza di oltre mezzo secolo dalla sua morte.
Il successo del romanzo spinse gli editori a ripubblicare anche gli altri suoi libri, primo tra tutti David Golder, il suo esordio del 1929. La qualità della sua scrittura, l’humus struggente delle sue storie e le vicende biografiche dell’autrice fecero il resto: era “rinata” una grande protagonista della letteratura, sebbene con colpevole ritardo.
Ma chi era Irène Némirovsky? Appartenente a una famiglia borghese di origine ebrea, nacque a Kiev il 24 febbraio 1903, nel bel mezzo di un periodo di devastante atrocità per l’Ucraina. In seguito a due violenti pogrom, nel 1914 i Némirovsky decisero di lasciare il paese per andare a vivere a San Pietroburgo, ma anche lì furono testimoni dei primi fuochi della Rivoluzione Russa.
Scapparono quindi in Finlandia, dove la guerra civile era in pieno corso, ma dovettero riparare prima in Svezia e poi, nel 1919, a Parigi. A sedici anni, Irène aveva già assistito con i suoi occhi ad alcuni tra gli eventi più tragici del ventesimo secolo. Ancora non poteva sapere, però, che il peggio non era ancora arrivato.
Trascurata dalla madre e accudita gelosamente dalla balia francese, Irène Némirovsky si sentì subito a suo agio nella capitale francese. Si iscrisse alla facoltà di letteratura della Sorbona e si abbandonò ben volentieri al clima frizzante e vitale della città. Desiderosa di liberarsi della morsa familiare, nel 1926 sposò Michel Epstein, anche lui ebreo e banchiere, come suo padre. E poi c’era la scrittura, la sua passione più grande. Nel 1929 decise di inviare il suo primo manoscritto all’editore Bernard Grasset, che ne rimase rapito. Il romanzo, intitolato David Golder, venne subito pubblicato: fu un trionfo.
Fino al 1940, Irène Némirovsky continuò a pubblicare diversi romanzi e racconti, vendendo bene, ma la catastrofe era imminente. Le leggi antisemite del Governo di Vichy impedirono a lei, al marito e alle due figlie di continuare a vivere una vita normale. Inspiegabilmente, la famiglia non scappò, andando incontro a un destino tragico. In alcune pagine del suo diario, proposte nell’edizione edita da Adelphi di Suite francese, la scrittrice commentò con amarezza quello che stava succedendo.
Mio Dio, cosa mi combina questo Paese? Dal momento che mi respinge, osserviamolo freddamente, guardiamolo mentre perde l’onore e la vita. E gli altri, come considerarli? Gli imperi muoiono. Niente ha importanza. Che le si osservi dal punto di vista mistico o da quello personale, le cose non cambiano – è un tutt’uno. Manteniamo la mente fredda. Tempriamo il nostro cuore. Aspettiamo.
La sua attesa, però, venne brutalmente interrotta. Il 16 luglio 1942 Irène venne arrestata e il giorno dopo mandata ad Auschwitz. Insieme a molte altre donne, la spogliarono di abiti e gioielli, le rasarono i capelli e la marchiarono. Sopravvisse solo un mese: nel certificato redatto nel campo, il decesso è attestato alle 15 e 20 del 19 agosto 1942 a causa di un’influenza, anche se forse si era trattato di tifo.
Anche suo marito, che aveva tentato di farla liberare, venne deportato nel novembre dello stesso anno. All’arrivo, nello stesso campo di concentramento dove sua moglie era morta pochi mesi prima, venne subito mandato nella camera a gas. Le bambine, invece, si salvarono grazie all’aiuto di alcuni conoscenti.
Così Irène scriveva sul suo taccuino, senza presagire il triste epilogo della sua vita, solo pochi giorni prima di essere portata via dai suoi cari:
I pini intorno a me. Sono seduta sul mio maglione blu come su una zattera in mezzo a un oceano di foglie putride inzuppate dal temporale della notte scorsa, con le gambe ripiegate sotto di me! Ho messo nella borsa il secondo volume di Anna Karenina, il Diario di Katherine Mansfield e un’arancia. I miei amici calabroni, insetti deliziosi, sembrano contenti di sé e il loro ronzio ha note gravi e profonde. Mi piacciono i toni bassi e gravi nelle voci e nella natura. Lo stridulo “cip cip” degli uccellini sui rami mi irrita… Tra poco cercherò di ritrovare quello stagno isolato.
Olivier Philipponnat e Patrick Lienhardt hanno scritto La vita di Irène Némirovsky affiancati dalla figlia della scrittrice, Denise Epstein, partendo dalle carte inedite della scrittrice: la corrispondenza con gli editori come gli appunti presi a margine dei manoscritti, i diari come i taccuini di lavoro.
Un’opera che non solo fa risorgere dall’oblio con una vividezza sorprendente le diverse fasi dell’esistenza di Irène (l’infanzia nella Russia prima imperiale e poi rivoluzionaria, la fuga prima in Finlandia e poi in Svezia, la giovinezza dorata in Francia, i rapporti con la società letteraria degli anni Trenta, gli sconvolgimenti della guerra, gli ultimi mesi di vita nel paesino dell’Isère dove si è rifugiata con la famiglia), ma coglie e restituisce tutte le sfaccettature di una personalità complessa, affrontandone senza remore di alcun tipo anche gli aspetti più discussi e contraddittori.
Suite francese è sicuramente il romanzo più celebre di Irène Némirovsky, diventato anche film. Pubblicato postumo nel 2004, è il racconto della passione, ambigua e tormentata, che nasce tra una giovane donna il cui marito è disperso al fronte e un ufficiale tedesco.
Nel breve romanzo Il ballo, Irène Némirovsky racconta la storia della quattordicenne Antoinette, che decide di gettare nella Senna tutti gli inviti che la madre, volgare e arcigna parvenue, ha stilato per il ballo destinato a segnare il suo ingresso nella brillante società parigina. È una vendetta, che la ragazza consuma nei confronti della madre. In poche pagine, con una scrittura scarna ed essenziale, l’autrice riesce a raccontare un dramma dell’amore, del risentimento e dell’ambizione.
La preda è ambientato nella Parigi della metà degli anni Trenta e ha come protagonista un uomo arrivato dalla periferia alla ricerca del proprio posto nel mondo, ansioso di un riscatto che intende guadagnare a qualsiasi prezzo. Alla fine, il suo sogno di una vita di ricchezze e di lusso si rivela per quello che è: nient’altro che un sogno.
L’orchessa è uno dei racconti che compongono questa raccolta. Nove narrazioni in cui la Némirovsky ripercorre ancora una volta i temi che le sono cari: il destino di rassegnazione e di attesa che segna la vita di molte donne, la solitudine astiosa in cui invecchiano molte altre, gli oltraggi che il tempo infligge alla bellezza, la nostalgia del passato, il rapporto tra madri e figlie.
Web content writer e traduttrice. Parlo poco, scrivo tanto e cito spesso Yeats.
Cosa ne pensi?