A 21 anni Elizabeth Wurtzel fu una delle prime pazienti ad assumere il Prozac, noto antidepressivo: fu un disastro.

Decise così di scrivere le sue memorie dal vortice di dipendenza da sostanze chimiche in cui era finita, a partire dai primi segnali della depressione infantile, passando per la prima overdose a 11 anni e l’autolesionismo a 12. Quando Prozac Nation uscì in libreria, nel 1994, divenne subito un bestseller, seguito poi da un film omonimo interpretato da Christina Ricci.

Dopo una lunga malattia, il 7 gennaio 2020 Elizabeth Wurtzel è scomparsa a soli 52 anni per un cancro al seno, l’ultimo dei “mostri” ad averla divorata da dentro. Ne aveva parlato pubblicamente, così come aveva già fatto ai tempi del suo debutto letterario, spiegando al New York Times l’importanza di sottoporsi ai test genetici. “Avrei potuto avere una mastectomia con ricostruzione e saltare la parte in cui ho avuto il cancro”, ha detto. “Mi sento una vera idiota per non averlo fatto”.

Nata nel 1967 a Manhattan, da una famiglia di origine ebraica, Elizabeth Wurtzel iniziò a mostrare i primi segnali preoccupanti dopo il divorzio dei genitori. La depressione si manifestò tra i dieci e i dodici anni, spingendola verso un’adolescenza intrisa di rabbia, droga e relazioni sbagliate. Iniziò così a plasmarsi il personaggio perfetto per la cultura pop degli anni Novanta: giovane, carina e molto problematica.

Il successo del suo memoir, che ripercorreva gli anni della laurea in Legge ad Harvard, tra salute mentale vacillante e abuso di prescrizioni mediche, la proiettò nello star system della letteratura. A soli 27 anni Prozac Nation divenne un caso editoriale, non apprezzato da tutti. “Fa solo pallidi tentativi di tracciare parallelismi tra se stessa e la sua generazione e incolpa casualmente i suoi genitori, i suoi terapisti, i suoi amici, il tasso di divorzi, le droghe e i tempi per i suoi problemi”, scrisse il Newsweek. Il New York Times, invece, la paragonò a Joan Didion e disse che era “Sylvia Plath con l’ego di Madonna”.

“Ho fatto successo grazie alle mie emozioni”, raccontò anni dopo la scrittrice, che in realtà era molto consapevole del fatto che ci fossero destini peggiori del suo (bianca, privilegiata e bella) e ammettendo la componente narcisistica. Era il simbolo perfetto della generazione X, schiacciata dal fallimento del sogno americano e dalla disillusione, e e il prototipo della futura millennial, ipersensibile, drammatica e autoreferenziale. E, nonostante i privilegi, restava comunque un’emarginata.

In alcune email personali riportate del Guardian, Elizabeth Wurtzel affidò riflessioni sulla sua nuova vita “adulta”: la professione di avvocato (sebbene non avesse mai ottenuto l’abilitazione), la scrittura, il matrimonio, il ruolo delle donne nella società e persino la scoperta di non essere figlia dell’uomo che per quasi tutta la sua vita aveva creduto essere suo padre. Era in realtà figlia del fotografo Bob Adelman e non di Donald Wurtzel, che se n’era andato di casa quando lei aveva solo due anni. E pensare che aveva passato gran parte dell’infanzia facendo terapia per superare l’abbandono da parte del “falso” papà.

Oltre al tumore al seno, scoperto nel 2015, la fine del suo matrimonio complicò ulteriormente la situazione. Credeva che il fatto di essere sposata contribuisse in qualche modo a organizzare la sua vita. “È come un flusso. C’è il caffè ogni mattina. Game of Thrones di sera. Forse è solo quello. Ma è già molto. Ora sono ridotta uno straccio. Dimentico appuntamenti e cancello incontri. Sono il riflesso delle cose che ho dimenticato di fare. Mi tengono insieme solo lo shampoo secco e le salviettine struccanti”.

1. Elizabeth Wurtzel, "Prozac Nation"

In attesa della ripubblicazione della traduzione italiana del bestseller di Elizabeth Wurtzel, è possibile leggere Prozac Nation in versione originale. Autobiografia semi-seria sull’orlo della nevrosi, diventò il ritratto di una generazione, tra perdita dell’innocenza e illusioni infrante.

2. Elizabeth Wurtzel, "Sono una ragazza meravigliosa"

In Sono una ragazza meravigliosa, seguito ideale del suo fenomenale debutto letterario, Elizabeth Wurtzel sosteneva di aver trovato il vero segreto della vita: godersi i propri errori, sentirsi forti, mangiare sempre i dolci, avere le proprie opinioni, essere femministe dentro, dire le preghierine, far lavare i piatti al proprio uomo e godersi gli anni da single senza pensare che sia solo un apprendistato in attesa del matrimonio.

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