"Qua l'ignoranza ci mangia tutti": Eleonora Pimentel Fonseca, l'eroina di Napoli

“Forse un giorno ci farà piacere ricordare anche queste cose”. Queste le parole pronunciate dalla patriota Eleonora Pimentel Fonseca prima di essere barbaramente giustiziata a Napoli. Direttrice del “Monitore napoletano” credeva nelle idee della Repubblica Napoletana.

“Forsan et haec olim meminisse iuvabit”. (Forse un giorno ci farà piacere ricordare anche queste cose). Queste le parole con cui Enea incoraggiò i suoi compagni pronti a combattere contro le avversità e la sorte. La stessa frase venne poi ripetuta nel 1799 dalla giornalista, poetessa e patriota giacobina e repubblicana Eleonora Pimentel Finseca. Prima che venisse impiccata a soli 47 anni per amore della patria e della libertà.

Una vita suggestiva ma dolorosa

Su Eleonora Pimentel Fonseca aleggia da sempre un’aurea di mistero: per la letteratura giacobina una martire da santificare, per i filo borbonici un esempio negativo di donna. In quanto ha sacrificato la propria vita in nome degli ideali rivoluzionari. Tra le altre cose, dissacrando con un divorzio i canoni della donna onorabile del 1700: marito, chiesa e famiglia.

Eleonora, marchesa di Pimentel, nacque a Roma nel 1752 da una famiglia nobile di origine portoghese, che poco dopo la sua nascita, si trasferì da Roma a Napoli. Incline alle lettere, compose versi arcadici molto apprezzati, che le permisero di entrare a contatto con gli ambienti più vivaci – a livello culturale – di Napoli. Da annoverare sono i rapporti epistolari che intrattenne con Pietro Metastasio o addirittura con Voltaire che tanto la ammirava. Acuta e intellettualmente vivace, fece parte anche dell’Accademia dei Filateti e dell’Arcadia.

La produzione di sonetti ebbe inizio nel 1768 e durò fino al 1798. Tra questi: Il Tempio della Gloria, composto da Eleonora a soli 16 anni, in occasione delle nozze di Ferdinando e Carolina (i reali Borbone). Proprio coloro che anni più tardi la portarono al patibolo.  Nonostante il pregio intellettuale, molti furono gli avvenimenti drammatici che segnarono inevitabilmente la vita della rivoluzionaria partenopea.

Il divorzio e il desiderio di essere libera

Nel 1779, sposò Pasquale Tria de Solis – tenente del reggimento del Sannio – con cui andò a vivere nella zona della Pignasecca a Napoli. Una vita coniugale davvero infelice e costellata – tra l’altro – da numerose violenze fisiche da parte del marito. Infatti, nel 1784, il padre della Pimentel diede inizio a una causa di separazione della figlia dal Tria Solis, le cui percosse furono così atroci da causarle l’interruzione di ben due gravidanze.

Durante il processo, il marito cercò di screditarla in tutti modi: presentò alla giuria lo scambio epistolare tra Eleonora Pimentel Fonseca e il geologo veneziano Alberto Fortis. La corrispondenza tra i due era di natura intellettuale anche se Fortis le manifestò molta tenerezza, perché a conoscenza del dolore recatole dal marito. A ingrigire quel momento: la perdita dell’unico figlio Francesco, di soli 8 mesi. A cui la donna dedicò gli struggenti Sonetti di Altidora Esperetusa. Nel 1785 finalmente il divorzio.

Fu proprio in quegli anni, però, che la Pimentel iniziò a nutrire molta sfiducia nella Corona e a maturare nuove idee sulla libertà e sull’indipendenza. In una piccola casa iniziò a ricevere amici, scambiare idee, ripensare alla vita attraverso le virtù dell’istruzione. Diete vita a un vero e proprio “salotto dei patrioti” in cui l’indagine umana e intellettuale si concentrava sulla liberazione di un popolo poco istruito e oppresso; lo stesso che senza pietà, la tradì e festeggiò poi la sua esecuzione in Piazza Mercato, alcuni anni dopo.

Quali sono le motivazioni dei ragazzi? Perché un giovinetto intelligente, di famiglia agiata, lasciato solo e libero a studiare nella meravigliosa città, invece di godersela, la vita, in una Napoli così bella, profumata, preferisce chiudersi nei salotti fumosi, sciupare il tempo in discussioni oziose? Giocare alla politica, per cambiare un mondo che nessuno sa se potrà mai diventare nuovo?
Certi ragazzi sono come Dio, generosi e sciocchi. Si costruiscono in testa le immagini orgogliose d’un mondo, s’incapricciano a dargli vita: appagano, in ciò, brame d’infinito amore?

Queste le parole del noto giornalista Enzo Striano, nonché autore del celebre romanzo (incentrato sulla Pimentel), Il resto di niente.

L’adesione alle idee repubblicane

Ma è proprio in quei salotti fumosi che crebbe sempre di più in Eleonora la passione ardente per la politica, quella che dovrebbe tutelare la giustizia nella sua interezza. Così tanto, al tal punto da accogliere completamente le idee repubblicane e giacobine.  Nel 1793, però, la monarchia francese iniziò a sgretolarsi – è il periodo del “Terrore” – diventando indirettamente un problema anche per Napoli. In quanto la regina Maria Antonietta –  sorella della sovrana Carolina (d’Asburgo-Lorena) – venne assassinata proprio dai giacobini francesi.

Iniziò così un vero e proprio calvario per molti intellettuali meridionali. Eleonora fu addirittura la bibliotecaria della regina Carolina con cui – prima della Rivoluzione francese e la morte di Maria Antonietta – frequentò i salotti degli illuministi napoletani (in un primo momento sostenuti dalla stessa sovrana). Forte fu il legame tra le due donne, che culminò poi nell’allontanamento più totale. Non sappiamo con esattezza quando e perché la Pimentel iniziò a serbare disgusto per la monarchia. Sicuro è che i giacobini furono considerati una vera e propria minaccia per i Borbone, in quanto promotori della Repubblica.

Fu proprio per i motivi concitati, che la patriota venne incarcerata nel 1798 con l’accusa di voler sovvertire la Corona. Nel gennaio 1799, venne poi liberata dai lazzari (giovani dei ceti popolari) che aiutarono a far scappare anche molti delinquenti comuni e alcuni detenuti politici. In abiti maschili aspettava che le truppe francesi giungessero a Napoli, esortando la Repubblica Napoletana. Pur essendo ovviamente giacobina, non esitò a scontrarsi con i francesi in occasione di comportamenti da lei ritenuti poco corretti. 

“Solo il popolo è sovrano”: gli ideali della Repubblica napoletana

La mia colpa? Scrollare un mondo addormentato, svegliare le coscienze, combattere il dispotismo, essere cittadini e non sudditi, servi. Non si è mai capito che la cosa più importante è educare il popolo anche se è difficile; è stata questa la battaglia principale del mio giornale: il Monitore napoletano. (…) Il popolo rimane ignorante. Semplicemente è cambiato il padrone. Se lo vuoi educare, gli devi insegnare a leggere a scrivere. (…) Come prima cosa: scuole obbligatorie per tutti. (…) Qua l’ignoranza ci mangia tutti. 

Queste le parole pronunciate durante uno spettacolo teatrale al Teatro Tordinona, per sottolineare lo spessore ideologico di Eleonora Pimentel Fonseca; una rivoluzionaria che credeva nel popolo. Non la sola. La Pimentel venne accompagnata in questo breve ma avventuroso viaggio, da quella che Benedetto Croce definì “il fiore dell’intelligenza meridionale“.

Tra gli intellettuali – quasi tutti condannati a morte –  anche volti noti della nobiltà e borghesia napoletana: Ercole D’Agnese, Nicola Pacifico, Pasquale Baffi, Mario Pagano, Cristoforo Grossi. E ancora: Vincenzo Cuoco, Luisa Sanfelice, Domenico Cirillo, Francesco Caracciolo, Ettore Carafa, Matteo Angelo Galdi.

Direttrice del “Il Monitore napoletano”

Il 23 gennaio 1799 – con l’approvazione e l’appoggio del comandante dell’esercito francese – venne proclamata la Repubblica Napoletana; un governo provvisorio di venti membri, tra cui figurò il nome di Carlo Lauberg che con la Pimentel fondò il 2 febbraio dello stesso anno, il Monitore napoletano (inizialmente Monitore napolitano) :

Siamo liberi in fine, ed è giunto anche per noi il giorno, in cui possiamo pronunciare i sacri nomi di libertà e uguaglianza, ed annunciarci alla repubblica Madre come suoi degni figliuoli; a’ popoli liberi d’Italia ed Europa, come loro degni confratelli.

Così scrisse sul primo numero del periodico napoletano; un messaggio di esultanza per quella che diventerà dopo poco la Repubblica napoletana, che duro – ahimè – solo pochi mesi. Eleonora lo diresse, dall’inizio fino all’ultimo numero. Purtroppo la sua firma comparve solo alla stampa n.26 con la sigla di “E.F.P.”. Suo estimatore, nonché fervido sostenitore degli ideali repubblicani, fu Vincenzo Cuoco, che nel cogliere le sue doti intellettuali e di scrittura, disse nel Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli:

Audet viris concurrere virgo. Ma essa si spinse nella rivoluzione, come Camilla nella guerra, per solo amor della patria. Giovinetta ancora, questa donna avea meritata l’approvazione di Metastasio per i suoi versi. Ma la poesia formava una piccola parte delle tante cognizioni che l’adornavano. Nell’epoca della repubblica scrisse il Monitore napolitano, da cui spira il più puro ed il più ardente amor di patria. Questo foglio le costò la vita, ed essa affrontò la morte con un’indifferenza eguale al suo coraggio.

Col numero 35 dell’8 giugno successivo, il giornale non venne mai più pubblicato. In quanto, da lì a poco, le bande del cardinale Fabrizio Ruffo – braccio destro del Re Ferdinando – entrarono a Napoli. Di ritorno anche da Palermo i sovrani Borbone, che con tutta la ferocia inumana che in pochi posseggono, iniziarono a ufficializzare la carneficina anti repubblicana.

Il patibolo

Prima di avviarsi al patibolo, volle bere il caffè, e le sue parole furono: – Forsan haec olim meminisse iuvabit.

Così continua Vincenzo Cuoco nel verso che abbiamo riportato prima. Era il 20 agosto 1799  e in quel giorno morì colei che grazie a penna, intelletto e coraggio, gettò il seme del Risorgimento italiano e femminile. Eleonora, l’ante litteram per eccellenza, che “imparò a morire per disimparare a servire”.

E la parabola della speranza conclude il suo tragitto.
Ma rimane molto di più del resto di niente.

Questa la morte di Lènor, immaginata da Striano nel romanzo Nel resto di niente.

1. "Il monitore napoletano"di M. Battaglini

Il monitore napoletano

Il monitore napoletano

Il volume curato da Battaglini e pubblicato dalla casa editrice napoletana "Guida" mette in evidenza i momenti di vita di Eleonora Pimentel Fonseca, direttrice del periodico "Il Monitore Napoletano". Il libro riassume i 35 numeri del giornale scritti durante la Repubblica Napoletana.
Compra su Amazon

2. "Il resto di niente" di Enzo Striano

Il resto di niente

Il resto di niente

Romanzo storico italiano del giornalista e poeta Enzo Striano, il libro è stato pubblicato per la prima volta nel 1986. L’autore racconta la vita di Eleonora de Fonseca Pimentel sullo sfondo della Rivoluzione napoletana del 1799. Nel 2004 ne viene realizzata l’omonima opera cinematografica.
13 € su Amazon
14 € risparmi 1 €

3. "Sonetti in morte del figlio" di Eleonora Pimentel Fonseca

Sonetti in morte del figlio

Sonetti in morte del figlio

Appartenente alla collana "La Repubblica del 1799" - promossa dall'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici - e curata dal Professore Antonio Gargano. Nei sonetti la Pimentel racconta il suo dolore struggente per morte del figlio Francesco.
6 € su Amazon

4. "Eleonora Pimentel Fonseca. L'eroina della Repubblica napoletana 1799" di Antonella Orefice

Eleonora Pimentel Fonseca. L'eroina della Repubblica napoletana 1799

Eleonora Pimentel Fonseca. L'eroina della Repubblica napoletana 1799

Incentrato sulla vita e sulle idee della Pimentel Fonseca, l’autrice ripercorre le tappe fondamentali che determinarono le scelte dell'eroina rivoluzionaria e il drammatico epilogo della sua esistenza.
16 € su Amazon
22 € risparmi 6 €
La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!