Clarice Lispector, quel "soffio di vita" prima che la vita ci abbandoni
Clarice Lispector è stata una delle voci più importanti della letteratura brasiliana contemporanea. Tanto che c'è chi ha scritto che esiste un tempo prima e dopo Clarice.
Clarice Lispector è stata una delle voci più importanti della letteratura brasiliana contemporanea. Tanto che c'è chi ha scritto che esiste un tempo prima e dopo Clarice.
Scriveva come Virginia Woolf e aveva la grazia di Greta Garbo. Così si potrebbe definire Clarice Lispector, una vita avventurosa e dedicata alla scrittura interrotta però troppo presto, a 57 anni appena.
Nata in Ucraina e naturalizzata brasiliana – amava definirsi “pernambucana”- Clarice ha cambiato, con l’arrivo nel nuovo Paese, anche il proprio nome, che era Chaya. Nella nazione sudamericana in cui la famiglia si era rifugiata per sfuggire ai pogrom lei è cresciuta, arrivandoci ad appena due anni, ed è diventata una delle più importanti scrittrici brasiliane del XX secolo, nonché la più importante scrittrice ebrea dai tempi di Franz Kafka.
Nei suoi scritti abbondano scene di semplice quotidianità in cui si assiste spesso a un’epifania di personaggi comuni, unite a un sottile lavoro psicologico ricamato sul flusso di coscienza tanto caro a Joyce e, appunto, alla Woolf.
Nata in una famiglia ebrea russa, la sua famiglia emigrò in Brasile nel 1922 a causa della persecuzione degli ebrei durante la Guerra civile. Dato che aveva solo due anni, Clarice Lispector più di una volta affermerà di non sentire alcun legame con l’Ucraina.
Su quella terra non ho letteralmente mai messo piede: mi hanno portata in braccio.
Cresciuta a Recife, nello stato di Pernambuco, rimase orfana di madre a nove anni, prima che i parenti decidessero di trasferirsi nella più caotica Rio de Janeiro. Qui Clarice studiò legge all’Università Federale di Rio de Janeiro, ma nel contempo iniziò a pubblicare i suoi primi articoli giornalistici e racconti.
La fama, per lei, arrivò davvero presto: a soli 23 anni, infatti, Vicino al cuore selvaggio (Perto do coração selvagem), il suo primo romanzo scritto sotto forma di monologo interiore, fu un clamoroso successo editoriale che la consacrò a voce nuova della letteratura brasiliana.
Dopo il matrimonio con un diplomatico brasiliano, Maury Gurgel Valente, Clarice lasciò il Brasile nel 1944, trascorrendo all’incirca quindici anni in Europa e negli Stati Uniti. Ma fu solo con il ritorno nella sua Rio, nel 1959, che la Lispector produsse le sue opere più famosa, da Legami famigliari (Laços de família), al grande romanzo mistico La passione secondo G.H. (A paixão segundo G.H.), fino a quello che è unanimemente considerato il suo capolavoro, Água viva.
Ricoverata nel 1977 per un cancro all’utero, nel taxi verso l’ospedale la scrittrice pare disse alle sue amiche:
Fate finta che non stiamo andando in ospedale, che non sono malata e che ce ne stiamo andando a Parigi.
Clarice non ha mai saputo il nome della sua malattia, ma immaginava di cosa si trattasse. Per sua stessa volontà, nove giorni dopo la sua morte, avvenuta il 9 dicembre, la TV cultura mandò in onda la sua intervista a Julio Lerner , l’unica televisiva, in cui lei disse:
Intervistatore: – Ma lei non rinasce e si rinnova a ogni nuovo lavoro?
Clarice: (Sospiro profondo.) – Ecco, io ora sono morta… Vediamo se resuscito di nuovo. Per il momento sono morta… Sto parlando dalla mia tomba.
È difficile dare un nome allo stile narrativo di Clarice, che ha segnato comunque un’epoca tanto che la scrittrice e critica francese Hélène Cixous arrivò ad affermare che nella letteratura brasiliana vi è uno stile A.C. (Antes de Clarice – prima di Clarice) e D.C. (Depois de Clarice – dopo Clarice).
Fin dagli anni della gioventù, in cui la sua bellezza ispirerà nientemeno che il pittore Giorgio De Chirico, che la immortalerà in un quadro nella primavera del 1945 durante un suo soggiorno in Italia, Clarice appariva come prigioniera di un’intensità che andava oltre l’essere umano, e che la spingeva al limite di un abisso interiore che aveva il sapore della mancanza e del fallimento continuo.
Il pregio principale di Clarice è la capacità di raccontare “da dentro” i personaggi e il mondo che la circonda, e Vicino al cuore selvaggio può essere considerato uno dei primi romanzi in grado di raccontare, nel Sud America, una donna in maniera così intima, nonostante la Lispector non sia mai stata vicina ai movimenti femministi.
Grande e importante, invece, è stata senza dubbio l’influenza di James Joyce, che le ispirò il titolo del suo primo lavoro e venne perciò citato in esergo (“Era solo. Era abbandonato, felice, vicino al cuore selvaggio della vita“). Nei suoi scritti la prima e la terza persona si accavallano creando prospettive multiple, e si passa facilmente dai monologhi nati dall’intimità più profonda allo sguardo onnisciente di una voce dall’alto.
I suoi personaggi sono persone nel vero senso della parola, con sfumature e caratteri ben delineati, come Joana, protagonista di Vicino al cuore selvaggio, che denota irrimediabilmente l’assenza di moralità, mentre Dio viene privato degli attributi antropomorfi dati dalle religioni, compresi volontà e giudizio, per ergersi a pura immagine grandiosa.
Tutta l’opera di Clarice Lispector è pervasa dal senso di unicità della vita, e il male di vivere di tutti i suoi personaggi è sempre e solo una variabile momentanea di un dolore più ampio, universale. Più del flusso di coscienza, allora, a contare è il passaggio stesso di quella coscienza, da un individuo all’altro.
Dopo la morte di Clarice, la sua assistente, Olga Borelli, che le è stata vicina per otto anni, annotando i suoi pensieri e battendo a macchina i suoi manoscritti, decise di raccogliere i frammenti di quella che sarebbe poi diventata la sua opera postuma, Un soffio di vita (Um Sopro de Vida) uscita nel 1978. Il sottotitolo di questo libro è Pulsazioni, a sottolineare l’andamento ondivago della scrittura, mentre il romanzo si costruire in una sorta di dialogo tra l’Autore e un personaggio femminile di nome Angela.
La trama è quasi inesistente, in favore di una sorta di riflessione sul ruolo della scrittura. I suoi dialoghi sono infatti un continuo interrogarsi sulla forza della parola e sulla sua possibilità di narrare, descrivere, tanto che uno dei suo passi recita:
Mi esprimo meglio con il silenzio. Esprimermi con le parole è una sfida. Ma non sono all’altezza della sfida. Fuoriescono misere parole. E qual è davvero la parola segreta? Non la so, e perché osare dirla? Se non la so è soltanto perché non osa dirla?
Un soffio di vita può, da questa prospettiva, essere considerato il continuum di Acqua viva, in cui ancora Clarice cercava di indagare sul linguaggio, che occupa i luoghi del pensiero, con la parola considerata come unica via per tentare di afferrare “l’istante adesso” che ha caratterizzato la vita e l’opera di Lispector.
Il libro d’esordio di Clarice Lispector.
Virginia è la protagonista di questo romanzo, che seguiamo crescere negli anni, fino alla morte violenta già annunciatale da una vecchia contadina visionaria che sarà il momento della rivelazione dolorosamente cercata nella vita.
In un mattino simile a tanti altri G.H., donna sicura della propria identità e delle proprie scelte, vive un evento mostruoso, che avrà sulla sua vita un effetto traumatico. In un lungo, minuzioso monologo G.H. parla del suo viaggio allucinato all’interno di una stanza. È una dolorosa interrogazione sul senso di vivere e la ricerca continua della faccia nascosta della realtà.
Attraverso uno sregolato e impetuoso flusso di coscienza Clarence Lispector ci fa percepire, in modo quasi fisico, impressioni e visioni di travolgente intensità, usando una lingua che sembra inventarsi sempre.
Il libro postumo di Clarice che è anche un testamento.
Giornalista, rockettara, animalista, book addicted, vivo il "qui e ora" come il Wing Chun mi insegna, scrivo da quando ho memoria, amo Barcellona e la Union Jack.
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