Laurie Penny e gli uomini (soggetto) che scop**o le donne (oggetto)

È una delle penne più dissacranti della saggistica e del giornalismo femminista 2.0. Laurie Penny non le manda certo a dire e, fra la rivisitazione necessaria della cultura del consenso e le sue "teorie della stronza", auspica un nuovo empowerment femminile.

Ha molte cose da dire, e non si vergogna a dirle.

Laurie Penny è una delle voci più dissacranti, schiette e dirette del giornalismo inglese, firma di punta del New Statesman e collaboratrice del Guardian. Tanto che il Daily Telegraph l’ha definita “la voce femminile più controversa del panorama della sinistra radicale”.

Politicamente impegnata, Laurie rientra appieno in quella definizione di femminismo 2.0, quello, per intenderci, che ha una visione totalizzante, globale, dell’impegno da portare avanti rispetto al ruolo femminile, e che non va vissuto come “moda” ma come vera e propria ragione di vita, anche attraverso l’uso dei nuovi mezzi mediatici e degli strumenti forniti, perché no, anche dal mondo social.

Il femminismo è un movimento politico, non uno stile di vita che va di moda.

Ha detto in un’intervista per Il Libraio in cui ha presentato anche il suo lavoro più recente, Bitch Doctrine, del 2017, una sorta di corollario delle teorie portate avanti dalla Penny in tutte le sue pubblicazioni precedenti, sei saggi purtroppo ancora mai tradotti in Italia.

Cosa fa parte di questa “dottrina della stronza”? Anzitutto il desiderio, chiaro e forte, di staccarsi completamente e definitivamente da quell’immaginario collettivo che vorrebbe le donne sempre preoccupate di piacere e compiacere la controparte maschile, e di conseguenza dalla considerazione dell’insulto a livello fisico come il più degradante che si possa ricevere (e l’apprezzamento, anche sgarbato, quindi, come la più alta manifestazione di gradimento). Un’esperienza che ogni donna dovrebbe provare, afferma Laurie, è

Vivere per qualche giorno senza preoccuparsi di quello che dicono gli uomini e scoprire quanto è liberatorio!

Intrinsecamente connesso alla visione di una donna costantemente sottoposta al giudizio maschile, e quindi soppesata più per le qualità fisiche che per le doti umane si accompagna, di pari passo, il concetto del consenso sessuale, troppo spesso vissuto secondo una logica disparitaria e con un dislivello culturale e sociologico degradante.

Come da lei stesso citato in un suo articolo per Longreads, intitolato The Horizon of Desire

Un uomo scopa una donna. Un uomo: soggetto. Una donna: oggetto.

Questa frase, spiega Laurie, racchiude nella sua essenza quasi brutale tutto l’intero concetto del rapporto basato su quello che si presume essere “il consenso sessuale”, in un’accezione che è tuttavia errata, claudicante, incompleta; quello per cui, per parafrasare le sue parole, se una donna “non è in uno stato incosciente, non ti sta dicendo di no o non cerca di cacciarti via, probabilmente è tutto a posto”.

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Il consenso, afferma Laurie, presuppone invece uno scambio equo, reciproco, fra due entità assolutamente paritarie, “è un’interazione tra due creature umane”. Solo che oggi, in virtù di un imperante patriarcato che ha involontariamente prodotto una passiva accettazione anche nelle donne stesse, queste ultime vivono una sorta di alienazione dai propri corpi, giudicando sconveniente la propria sessualità – perché questo è quello che la società ci ha imposto – e soffocando così tanto il diritto al desiderio da non essere più in grado di cogliere la sottile differenza tra il volere e l’essere volute.

Che dovrebbe, invece, essere il punto cardinale del consenso, troppo spesso banalizzato dalla concezione per cui, per dirla con Laurie

Gli uomini vogliono sesso e le donne sono sesso. Gli uomini prendono, e le donne hanno bisogno di essere persuase a dare. Gli uomini scopano le donne; le donne permettono loro di essere scopate. Le donne sono responsabili per aver costruito questi limiti, e se gli uomini li oltrepassano, non è colpa loro: in fondo sono ragazzi!

Concezione che ha come terribile conseguenza la normalizzazione dello stupro, ma anche della molestia. La stessa che per anni ha permesso di perpetrare la banalizzazione di atti viscidi nei confronti delle donne, come palpeggiamenti, avances sgradite, o di costruire scenari in cui il corpo della donna è considerato alla stregua di merce di scambio.

[…] il messaggio che ci bombardano dal marketing, dalla cultura pop e dalla pornografia mainstream insiste sul fatto che l’unico desiderio accettabile va in una unica direzione: dall’uomo verso la donna. Si tratta di un’omogenea e disumanizzante visione del sesso eterosessuale, una semplice storia dove solo gli uomini agiscono e dove le donne sono dei punti passivi in uno spettro di ‘scopabilità’. Questa è licenza sessuale, non liberazione.

È tuttora difficile pensare alle donne come esseri con lo stesso diritto a praticare e a godere del sesso come gli uomini, così come è complicato immaginare una femminilità in grado di eludere i complessi legati all’aspetto fisico e al lato estetico di sé.

Sono arrabbiata con questa cultura che ha così paura della carne femminile, della fame femminile, delle donne che vogliono qualsiasi cosa e non solo quello per cui gli dicono di essere grate, che insegna ancora alle ragazzine a farsi più piccole, a tagliarsi a fette, a restringere i loro corpi e umiliare le loro ambizioni finché il loro spazio nel mondo si riduce.

Scrive la Penny in un articolo per Internazionale, in cui affronta il tema dei disturbi alimentari come bisogno delle donne, soprattutto giovani, di rispondere alle aspettative di una società che le premia solo se attraenti e magre. Solo se “trasparenti”, in sostanza, sia fisicamente che emotivamente e ideologicamente.

Trasparente, Laurie Penny, non lo è di certo; anzi è arrabbiata, e ha tutta l’aria di una che non intende demordere fino a quando non avrà raggiunto l’obiettivo. Che è quello di insegnare alle donne ma soprattutto agli uomini la cultura non solo del consenso – vero – ma prima ancora del rispetto. Quello per l’essere umano, a prescindere dal sesso.

Ci riuscirà? Non lo sappiamo. Ma andrà avanti, di questo siamo assolutamente certe.

1. Bitch Doctrine

Bitch Doctrine: Essays for Dissenting Adults

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Nel suo saggio più famoso Laurie Penny si sofferma sui problemi definitivi della nostra epoca, dallo shock dell'elezione di Donald Trump e dalle vittorie dell'estremo diritto alle molestie online e al movimento per i diritti dei transgender.
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La giornalista inglese ha le idee molto chiare su cosa significhi femminismo, e su come debba essere portato avanti.
Soprattutto, come tiene a sottolineare nel suo ultimo libro, Bitch Doctrine, uno degli aspetti su cui le femministe dovrebbero battersi maggiormente è quello che mira a svalutare le donne esclusivamente dal punto di vista fisico.
Sembra che per alcuni uomini il peggior insulto che si possa fare a una donna sia definirla poco attraente e non desiderabile: questo non fa altro che dimostrare come troppo spesso siamo definite come oggetti sessuali.

2. Meat market. Carne femminile sul banco del capitalismo

Meat market. Carne femminile sul banco del capitalismo

Meat market. Carne femminile sul banco del capitalismo

Laurie Penny nei quattro capitoli del libro su sessualità, disordini alimentari, capitale di genere e lavoro domestico, svela le azioni di mercificazione del corpo sopravvissute a decenni di battaglie culturali per l'emancipazione femminile, con la sagacia che la contraddistingue.
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L’idea di una battaglia dei sessi, combattuta nelle camere da letto e nelle cucine, attorno ai tavoli dei ristoranti in giro per il mondo, nasconde la verità che, o tutti vincono o nessuno vince.

Se vogliamo mutare radicalmente questa battaglia, dobbiamo ripensare alla nostra concezione del consenso. Dobbiamo fare i conti con l’idea del consenso come qualcosa di continuo e negoziabile, piuttosto che del consenso come un oggetto, un contratto temporaneo che può essere falsificato e discusso in corte.

3. Unspeakable Things: Sex, Lies and Revolution

Unspeakable Things: Sex, Lies and Revolution

Unspeakable Things: Sex, Lies and Revolution

Questo saggio è uno sguardo fresco verso le tematiche di genere e di potere del ventunesimo secolo, che pone domande difficili su dissenso e desiderio, denaro e mascolinità, violenza sessuale, lavoro, salute mentale, politica queer e Internet.
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Dunque, ho questo amico con un passato oscuro. È una persona intelligente e coscienziosa, cresciuta nel patriarcato, e sa di aver fatto cose che, pur non essendo state criminali, hanno ferito alcune persone, e per persone intende donne. Il mio amico ha ferito delle donne e ora non sa cosa fare a riguardo, e ogni tanto ne parliamo. È così che è successo che, un po’ di settimane fa, nel bel mezzo di una esuberante confessione in un caffè, le seguenti parole sono uscite dalla sua bocca: ‘Tecnicamente, non ho violentato nessuna’.

Tecnicamente. Tecnicamente, il mio amico non pensa di essere uno stupratore. Quel tecnicamente mi ha perseguitata per giorni. Non perché non ci credo, ma perché ci credo. Non è la prima volta che sento una frase del genere, o qualcosa di simile, uscire dalla bocca di amici maschi ben intenzionati che freneticamente riesaminano la loro storia sessuale alla luce del fatto scomodo che la vergogna non è più sufficiente a impedire alle donne di nominare i loro molestatori.

4. Springtime: The New Student Rebellions

Springtime: The New Student Rebellions

Springtime: The New Student Rebellions

Da Atene a Roma, da San Francisco a Londra e, più recentemente, a Tunisi, il libro di Laurie Penny guarda a come le nuove proteste studentesche si sono sviluppate in un movimento forte, che richiede un altro modo di gestire il mondo, costituito in gran parte dalle voci che hanno partecipato alla lotta
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Nell’ottica di un più ampio concetto di battaglie civili, Laurie parla anche di temi importanti come il bullismo, legandolo fortemente a quello sulla violenza di genere.

In Gran Bretagna i dati riguardanti il bullismo nelle scuole e la violenza di genere sono allarmanti, e i più giovani stanno vivendo una continua battaglia culturale che potrebbe portare a un rinnovamento auspicabile.

Banale, ma non inutile, sottolineare il forte impatto sociale di Internet.

Oggi nulla succede senza la sua influenza.

5. Penny Red: Notes from the New Age of Dissent

Penny Red: Notes from the New Age of Dissent

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Laurie Penny dà il meglio di sé in questo libro in cui, trascrivendo sul suo Blackberry le voci delle proteste dalla prima linea, dà voce a una generazione già alla fine della sua catena.
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Laurie punta il dito contro quegli stereotipi sociali che impongono alle donne di essere “trasparenti”, e di assecondare i dettami dati da modelli estetici irraggiungibili e pericolosi per spingere le più giovani verso i disturbi alimentari.

Come ha scritto Naomi Wolf in Il mito della bellezza, ‘una cultura fissata con la magrezza femminile non rappresenta un’ossessione per la bellezza femminile, bensì per l’obbedienza femminile. La dieta è il più potente sedativo politico della storia delle donne: una popolazione placidamente folle è più facile da gestire.

Gli aperti e sinceri elogi che le ragazze ottengono per il loro uccidersi lentamente in pubblico è direttamente proporzionale alla quantità di vergogna e stigmatizzazione che si riversa sulle donne perfettamente in salute che si trovano a essere anche solo leggermente sovrappeso.

Laurie cita alcuni dati:

Uno studio pubblicato dal Journal of Applied Psychology nell’autunno 2010 mostrava che le donne “molto magre” guadagnano circa 22mila dollari più delle loro omologhe di peso medio, mentre l’essere appena sei chili sovrappeso mina seriamente le possibilità di promozione o la sicurezza dell’impiego di una donna.

Uno studio più recente ha rivelato che solo il 15 per cento dei dirigenti incaricati di un’assunzione, messo di fronte a fotografie di donne di peso diverso, valuterebbe la possibilità di assumere quella più in carne per un ruolo di responsabilità. Statistiche come questa rendono evidente quel che quasi tutte le donne sanno nel loro intimo: che il mondo vuole che siano sempre più piccole, sempre più magre, che il mondo vuole che esse desiderino meno, che valgano meno.

Tutto questo, sostiene, non può non avere a che fare con l’idea che la società sia ancora fortemente connotata in chiave maschilista.

Diciamo alle ragazze che non hanno il diritto di conquistarsi i loro spazi nel mondo e poi siamo confusi quando smettono di mangiare. Facciamo crescere i nostri figli in una cultura totalmente ossessionata dal controllo dei corpi femminili e poi ci stupiamo quando vogliono riprendersi parte di questo controllo tramite atti privati e violenti di ribellione passiva-aggressiva.

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