“Può forse sembrare disdicevole parlare di se stessi scrivendo di un’altra persona, ma mi chiedo proprio che ne sarebbe stato di me senza Albertine”: folgorata quando aveva solo ventidue anni dalla scrittura di un’autrice oggi quasi completamente sconosciuta, Patti Smith ha un grosso debito nei confronti di Albertine Sarrazin.

Nell’introduzione alla più recente edizione de L’Astragalo, intenso romanzo nato durante il periodo trascorso in carcere dalla scrittrice franco-algerina, la cantautrice ha spiegato perché la sua vita non sarebbe stata la stessa, senza quel libro.

L’ho scoperta per caso girando per il Greenwhich Village il giorno di Ognissanti del 1968, come ho annotato poi nel mio diario. Benché avessi fame e voglia di un caffè, ero andata prima a dare un’occhiata alle promozioni della libreria sull’Ottava Strada. Sui tavoli si accatastavano copie dell’Evergreen Review e traduzioni oscure pubblicate dall’Olympia e dalla Grove Press, nuovi testi sacri rifiutati dalla plebaglia.

Cercavo qualcosa che avrei dovuto assolutamente possedere: un libro che fosse più di un libro, pieno di indizi in grado di orientarmi verso un cammino ignoto. Fui attirata dal volto singolare (un’ombra viola su uno sfondo nero) sulla copertina polverosa del romanzo di questo “Genet al femminile”. Costava 99 centesimi, il prezzo di un toast con prosciutto e formaggio e un caffè al Waverly Diner, sulla Sesta Avenue, di fronte. Avevo in tasca un dollaro e un biglietto della metropolitana, ma mi bastò leggere le prime righe per innamorarmi… una fame ne scacciò un’altra e comprai il libro.

Iniziò così l’amore folle e smisurato di Patti Smith per L’Astragalo. Continuando a leggere, scoprì che Albertine Sarrazin era morta solo un anno prima, a pochi mesi dal suo trentesimo compleanno, dopo una vita tutt’altro che semplice. Un po’ come la sua, a New York, lontana dall’amico fotografo Robert Mapplethorpe e con un nuovo amore che andava e veniva, sparendo per settimane. Notti tumultuose, che necessitavano della presenza silenziosa e forte di una musa letteraria, oltre che di ispirazione per le sue poesie.

Le parole le ho trovate nell’Astragalo, un romanzo scritto da una ragazza più grande di me di otto anni e già morta. Il suo nome non figurava nei dizionari di letteratura, toccava dunque a me rincollare i pezzi della sua vita attraverso ogni sillaba […] ben consapevole che la verità di un poeta si scopre al di là delle sue menzogne.

Scoprì così che Albertine Sarrazin era nata ad Algeri, in Algeria, il 17 settembre del 1937. Abbandonata dalla madre subito dopo la nascita, nel brefotrofio le affibbiarono il nome di fantasia Albertine Damien.

A diciassette anni la sua identità cambiò nuovamente, in seguito all’adozione da parte dell’anziana coppia che si era presa cura di lei per quasi tutta l’infanzia e l’adolescenza. Divenne così Anne-Marie Renoux, come ricorda il sito a lei dedicato. Poche sono le certezze biografiche relative alla sua vita, ma certo è che fin da piccola dimostrò una spiccata vena artistica, poco compresa dalla famiglia adottiva. Ribelle e talvolta aggressiva, più volte si allontanò dalla casa dei Renoux, cercando uno scampolo di libertà fuori dalle mura domestiche.

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Esasperato, il padre adottivo arrivò persino a chiedere l’intervento della polizia per farla rinchiudere in un riformatorio a Marsiglia, dove nel frattempo si erano trasferiti a vivere. Dopo otto mesi, nel 1953, Albertine riuscì a scappare e raggiunse Parigi in autostop.

Per tirare a campare, iniziò a prostituirsi e compiere piccole rapine, ma qualcosa andò storto: il 18 dicembre del 1953, insieme a un’amica, tentò una rapina a mano armata in un negozio di abbigliamento e ferì la proprietaria. Arrestata, due anni dopo venne condannata a sette anni di prigione: ebbe però modo di continuare i suoi studi classici e proprio durante la detenzione coltivò la passione per la scrittura.

In La Cavale, pluripremiato romanzo scritto negli anni passati fuori e dentro le sbarre, disse che “la libertà e il carcere sono per me come due vestiti portati in alternanza”. Durante una delle sue evasioni, nel 1957, si ruppe un osso del tarso nel piede, l’astragalo. Un uomo si fermò a soccorrerla: era Julien Sarrazin, appena uscito dal carcere, che si prese cura di lei e due anni dopo divenne suo marito. Ed eccola, rinata, Albertine Sarrazin, ripudiata dai genitori adottivi e con un nuovo nome. Da quella vicenda nacque poi L’Astragalo, il suo romanzo più celebrato.

Prima di morire il 10 luglio del 1967, in seguito a un’operazione al rene finita male, Albertine Sarrazin riuscì a completare cinque opere. Finalmente ce la stava facendo, per la prima volta nella sua vita era riuscita a mettere da parte qualcosa grazie alle vendite dei suoi libri. Ma il riscatto non giunse mai. Dopo la sua morte, il marito lottò per essere risarcito dall’ospedale e con i soldi ottenuti fondò la casa editrice Sarrazin, che pubblicò tutti i libri della moglie.

1. Albertine Sarrazin, "L'astragalo"

 

L'astragalo

L'astragalo

Introdotto da un testo di Patti Smith, che aveva solo vent’anni quando scoprì questo libro a New York, L’Astragalo racconta la storia di Anne: in fuga dalla prigione, si lascia cadere da un muro e si frattura il piede. A salvarla è Julien, anche lui in fuga dalla giustizia per reati di poco conto, e insieme partono lasciandosi il mondo alle spalle.
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Introdotto da un testo di Patti Smith, che aveva solo vent’anni quando scoprì questo libro a New York, L’Astragalo racconta la storia di Anne: in fuga dalla prigione, si lascia cadere da un muro e si frattura il piede. A salvarla è Julien, anche lui in fuga dalla giustizia per reati di poco conto, e insieme partono lasciandosi il mondo alle spalle. La paura di essere catturati, il ricordo dei giorni passati in cella, la claustrofobia dei rifugi improvvisati, l’orizzonte che si contrae: ogni dettaglio viene descritto con violenta precisione. Apparso per la prima volta in Francia nel 1965, L’Astragalo una uno stile intenso e feroce ed è un piccolo classico dimenticato del Novecento.

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