Eva Giusti e Il Frutto della passione: "Nulla può fermare l'incedere della vita"

Nel corso degli anni, sul suo blog e sul profilo Instagram @Ilfruttodellapassione, Eva Giusti ha raccontato le sfide della maternità e quelle della malattia. Oggi la sua storia è un libro che parla di forza, speranza e vita. E in questa intervista ci ha raccontato come è nato e come si è evoluto questo bellissimo progetto editoriale.

Quella frase che ogni tanto si dice –  “Non ti conosco di persona, ma è come se fossimo amici da sempre” –  non è un solo un esercizio verbale lanciato lì per compiacere: in alcuni casi la si può considerare la descrizione più calzante di un rapporto che non fonda la sua forza su un incontro a tu per tu, un abbraccio, una conoscenza decennale eppure esiste, è tangibile, aiuta, consola. Come una vera amicizia.

Dare e ricevere in egual modo, in questo scambio di emozioni e racconti di vita atipico, è una capacità niente male, che a volte fa la differenza. Ed Eva Giusti, ovvero @IlFruttodellaPassione, ce l’ha sul serio. L’ho sentita in un pomeriggio di aprile, mentre da lei a Porto Seguro in Brasile il mondo si stava risvegliando. Un’ora di chiacchierata sul suo libro – che si chiama come lei, Il frutto della passione (Fabbri Editori, uscito il 13 aprile 2021, costa 16 euro), e come sennò – che poi è diventata un’ora di chiacchierata sulle cose del mondo, sulla maternità, sulla malattia e sul futuro.

Rivederla abbracciare suo nonno Ivano durante un desiderato viaggio in Italia (e nel cuore delle sue origini) insieme ai suoi bambini Nina Flor e Noah Enzo è stato emozionante quasi come sentirla raccontare al telefono la sua storia. Il viaggio, organizzato per rivedere la sua famiglia e presentare il libro, è un modo per Eva di svelare a chi la segue da anni cosa vuol dire avere speranza in un mondo in cui sembra non essercene mai abbastanza. L’abbraccio tra lei e nonno Ivano, 101 anni, vale da solo la visione di questo video ad alto tasso di emozione. Che, prima di essere un post tra tanti sui social, è un pezzo della storia personale di questa donna che non smette di stupirci, anche nella narrazione di questi attimi così privati e genuini. Proprio come quelli in cui ha raccontato (e continua a raccontare) la sua malattia.

Il frutto della passione

Il frutto della passione

Il frutto della passione" è un inno alla rinascita, alla gioia, alla vita, scritto con la consapevolezza che, se anche non si ha alcuna scelta sul proprio destino, certamente si può scegliere come affrontarlo.
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La malattia di Eva, un tumore al cervello con il quale convive da diverso tempo, è tutta concentrata nell’hashtag #naotemnada. Non c’è niente. Pulita da metastasi e complicazioni. Le parole che i suoi followers – forse dovremmo dire amici? – aspettano ogni volta che Eva si assenta per i controlli necessari e periodici nel Cancer Center di San Paolo nel quale si cura.
Questa frase ricorre spesso anche nel suo libro, che è un vorticoso e bellissimo viaggio nella sua vita, una sorta di seduta di psicoterapia estesa e lucida che parte dal giorno in cui è venuta al mondo in un contesto familiare a dir poco complicato, passa per la dolorosa diagnosi di infertilità (che si è evoluta nell’adozione di Noah Enzo nel 2012 e nella nascita della piccola Nina Flor, arrivata con la procreazione assistita) e approda alla convivenza con il tumore.

Eva mi ha detto che lavorare al libro è stato un grosso “unisci i puntini“, una sorta di puzzle in cui ha messo insieme pezzi della sua vita che negli anni ha raccontato sul suo blog prima e su Instagram poi. Nonostante questo, non è stato affatto facile.

Molte parti del libro sono state scritte mentre le vivevo: l’attesa per l’adozione, la ricerca di un bambino con la PMA le ho raccontate proprio mentre succedevano, sul mio blog. Il rapporto con mio padre che apre il racconto invece è inedito, quello sulla malattia è un capitolo ancora aperto. Forse sono state queste le parti più difficile da buttare giù mentre lavoravo.

In una raccolta di video pubblicato su Instagram, Eva spiega bene cosa vuol dire scrivere e vivere, contemporaneamente. Pagine scritte mentre era in ospedale. Lacrime e parole insieme. “Questo intendo quando affermo che in questo libro non c’è solo una storia di rinascita, ma soprattutto anima, cuore, lacrime, impegno, notti in bianco e certamente tanta felicità“, ha scritto nella didascalia per descrivere il frutto della sua passione.

Il marito Roberto, con il quale è sposata dal 2009 e ha iniziato parecchie avventure nel corso degli anni (il matrimonio a Las Vegas, il trasferimento in Brasile, la strada dell’adozione e poi ancora la procreazione assistita e la lotta alla malattia) è una figura sempre presente sul suo profilo Instagram. Ha scoperto il libro di Eva a una settimana dall’uscita.

Questo è un progetto molto personale, scritto e costruito negli anni sulla base di ciò che provavo, sentivo, desideravo. Ma è capitato diverse volte, mentre lavoravo al libro, che chiedessi a Roberto cosa provava lui in quel dato momento. Ho ascoltato il suo racconto pieno di paure ed emozioni di quando ho avuto la mia prima crisi convulsiva, dei concitati momenti in cui mi ha cercato e trovata in ospedale subito dopo. È stato spiazzante ma anche utile, perché quando nel libro racconto i sentimenti di Roberto non c’è il mio filtro a spiegarli.

Dentro il libro si parla di temi duri con una naturalezza disarmante: rapporti familiari difficili, aborto, cancro, infertilità e genitorialità. Eva mi ha detto che questa apertura è il suo marchio di fabbrica, affinato in anni di scrittura, ma anche grazie allo scambio di chi si è aperto con lei, alle connessioni che sono nate da quando ha deciso di raccontare senza fronzoli ciò che le stava succedendo.

Sono sempre stata molto aperta. Ho cominciato nel 2012 aprendo il blog: all’inizio non avevo tanto seguito e quindi nei miei racconti rimanevo molto sul vago. Poi però ho visto che mi leggevano tante donne, e che queste donne si ritrovavano nelle mie parole. Ed è stato questo a spingermi, negli anni, a raccontare sempre di più.

Eva Giusti in un passo del suo libro scrive: Se c’era una cosa che mi rendeva felice era la consapevolezza di non aver mai smesso di vivere”. Lo dice al culmine del racconto della sua malattia e lo ripete nell’epilogo. Lo ribadisce, post dopo post, su Instagram. La sua famiglia ha internalizzato questo mantra e si vede: basta guardare i  sorrisi dei suoi bambini, “l’appagamento del mio più grande desiderio, ovvero diventare mamma“, come mi ha detto più volte durante l’intervista. 

Sulla malattia Eva è molto lucida. Questo non esclude la paura, il pianto, la tristezza per chi la ama e la vede combattere contro il male. Nel libro le sue emozioni, in questo senso, sono raccontate così bene che in certi passaggi feriscono. Eppure seguire il filo dei suoi pensieri è necessario, anche perché il senso di tutto questo suo camminare lo mette in parole come queste:

Non può esistere evento nefasto che abbia il potere di fermare l’incedere nella vita. Bisogna affrontare tutto: quando ci viene sbattuta una porta in faccia, proviamo a buttarla giù. Se davanti abbiamo un muro, distruggiamolo. Bisogna sempre aprire nuovi varchi. Per questo viviamo. Per questo vivo.

Per lei non è questione di sopravvivenza: è vita, quella che racconta, nient’altro.

Il racconto di Eva tocca corde umanissime e disarmanti, consola e addolora allo stesso tempo. Fa piangere e fa ridere. Ti fa dire “Sta parlando di me o di lei?” più di una volta. Ti fa venire voglia di chiacchierare con lei senza uno schermo in mezzo, come fanno gli amici veri.
Il suo è un bel libro. La sua penna è potente, la sua storia lo è forse di più. Anche se di Eva sentiamo di sapere tutto in virtù di quell’amicizia digitale nata negli anni, entrare nel suo racconto non è una rilettura di cose già note, bensì un viaggio. Dentro la vita e dentro le cose del mondo che quella vita la colorano e la tengono in equilibrio. Per Eva Giusti l’unico modo per andare avanti è non fermarsi mai. Sembra banale, non lo è per niente.

La vita è un grande punto interrogativo per tutti, non solo per me. Accettare la paura, abbracciarla, è fondamentale. Anche io a volte cedo: sono umana e come tale mi comporto. Questi sentimenti però per me sono un ponte. Lo attraversi, vai oltre e ce la fai.

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