In questa intervista Greta Tosoni (non) parla di sesso

"Emancipazione sessuale significa poter fare e sentire secondo il proprio desiderio e necessità. Educazione sessuale è consapevolezza sessuale ed emotiva: ricevere tutti i riferimenti, i supporti, le risorse che ci permettono di scoprirci e scoprire. Libertà sessuale, infine, non significa fare qualsiasi cosa, ma poter fare scelte informate e rispettose." In occasione dell'uscita italiana di "Questo libro non parla di sesso" di Erika Moen e Matthew Nolan, abbiamo parlato con la sex coach ed educatrice sessuale queer Greta Tosoni di educazione sessuale ed educazione emotiva alla sessualità.

Incontro Greta Tosoni per parlare di Questo libro non parla di sesso, l’edizione italiana di Let’s Talk About It: The Teen’s Guide to Sex, Relationships, and Being a Human  dei fumettisti e cartoonisti Erika Moen e Matthew Nolan, partner in crime e nella vita. Tosoni ne è la curatrice per i tipi di Sonda, che hanno messo insieme un progetto grafico più accattivante di quello originale, perfetto da regalare (ma di questo parliamo poi!), e non hanno certo scelto una firma a caso per l’introduzione, “Questo libro parla di noi”.

Greta Tosoni è infatti sex coach ed educatrice sessuale queer, nonché fondatrice dell’associazione Virgin & Martyr, da cui nel 2017 nasce uno dei progetti digitali e social più validi e, grazie al background da fotografa e creativa, originali in tema di consapevolezza sessuale ed emotiva, affrontata con approccio inclusivo e positivo.

Il libro, come chiarisce il sottotitolo della versione in lingua originale, dichiara di essere una guida per adolescenti al sesso, alle relazioni e all’essere umani; e a questo scopo effettivamente si presta per la sua natura stessa di opera visuale che integra informazioni puntuali, fumetti e graphic novel. Pure, i limiti di età, come per certi giochi in scatola, andrebbero ampliati a un +99: perché di educazione sessuale ed emotiva siamo tutti convinti e tutte convinte di saperne molto, finché non leggiamo, per esempio, Questo libro non parla di sesso. Cosa fortemente consigliata: provare per credere!

La mia formazione sessuale di adolescente negli anni ’90 consistette in un libro, regalatomi dai miei genitori con grande imbarazzo, dal titolo Sapore di futuro. Ciò che una ragazza deve sapere dai 14 ai 20 anni. Oggi sappiamo quanto fa acqua da tutte le parti la sola idea che una ragazza di 20 anni, soprattutto negli anni ’90, potesse essere una donna sessualmente davvero consapevole e informata. È anzi più che mai evidente che spesso le generazioni adulte – baby boomer, generazione x, gli stessi millennials – abbiano spesso ricevuto un’educazione sessuale nella migliore delle ipotesi parziale e inficiata da pregiudizi e tabù. Quindi forse questo libro, così bello e accessibile nel suo linguaggio scritto e visivo, può essere prima di tutto un’occasione di auto-formazione al di fuori da rigide raccomandazioni anagrafiche?

Dire proprio di sì. A parte pochi casi illuminati e fortunati, in Italia l’educazione sessuale non c’è, non è considerata; anzi, è molto temuta e ancora osteggiata in nome di molte paure e tabù. La maggiore opposizione che incontriamo, come Associazione, nelle scuole arriva proprio dai genitori. Hanno paura che questi temi siano ‘troppo’ o che vengano trattati in modo non adeguato. La preoccupazione è sensata, lo capisco, perché se il tema è trattato in modo non adeguato, si espongono i ragazzi e le ragazze a rischi. Ma il problema è proprio questo: in Italia non conosciamo proprio quale sia il modo adeguato. Per fortuna un po’ di linee guida le abbiamo, a livello europeo, quindi non siamo alla deriva; ma spesso non sono applicate perché, più che la voce dei professionisti e delle professioniste, fa rumore quella di chi, senza avere competenza e fatto studi specifici, si barrica dietro a bufale come la teoria del gender, dell’ideologia gender e del pensiero unico.

Credo che la paura più grande di un genitore sia quella che l’educazione sessuale presenti delle zone d’ombra che sfumano nella pornografia. Ed è un retaggio che forse ci arriva proprio dall’assenza di una vera educazione alla consapevolezza sessuale ed emotiva, che ha fatto sì che molte generazioni si siano davvero, passami il termine, ‘formate da autodidatte’ sulla pornografia di giornaletti prima e siti porno poi.

Concordo, e con grosse problematicità, visto che il sesso rappresentato nella maggior parte della pornografia non è realistico e fortemente stereotipato. La distinzione tra educazione sessuale e pornografia è uno dei temi di cui gli e le adolescenti hanno molto bisogno: serve qualcuno che parli con loro, in modo aperto e informato; soprattutto in una società in cui, se non trovi risposte sul sesso adeguate o persone in grado di andare oltre i tabù, basta una googlata.

Opporre tabù, reprimende, stereotipi o silenzi imbarazzati alle domande (o alle non domande) dei giovani e giovanissimi significa spingerli a cercare risposte altrove, senza una guida, senza i giusti riferimenti, in territori non protetti o dove il sesso è prestazione e non educazione e consapevolezza.

Pensiamo a questo: da una ricerca è emerso che 1 titolo porno su 8 accessibili dal web contiene riferimenti alla violenza.

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Siamo ossessionati e bombardati dal sesso: tutto attorno a noi è sesso e sessualizzazione.
Il messaggio che arriva è che una persona, per essere felice o ‘normale’, dovrebbe farne tanto, in modi ben definiti. Insomma, il sesso è una performance, come un po’ tutto in questa società.
Eppure oggi basta mettersi in ascolto per comprendere che il sesso può essere tante cose, a seconda delle persone, degli orientamenti sessuali, della stessa idea fluida di genere. Penso in particolare alle persone asessuali e aromantiche, al tema dell’afobia, ma non solo.

Pensare che il sesso sia una performance ci porta a credere che ci sia uno standard di di normalità.
Questo ci porta a credere che ci sia un copione che ci dica cosa dobbiamo fare, quando, perché e come.

Ovviamente ciò limita la libera di espressione, genera autocensura, ci porta a provare vergogna e ad avere idee distorte dei nostri valori. L’idea di volgarità o di pudicizia, ad esempio, è considerata oggettiva quando invece è quanto di più soggettivo. È così che nascono credenze, miti, stereotipi che portano, ancora una volta, a perdere coscienza di quanto la realtà sia più complessa, e abbia tutta una serie di sfumature che non vengono rappresentate e quindi non vengono riconosciute e validate.
Non dovremmo fare educazione sessuale parlando per poli o per contorni definiti.

Gli studi più recenti dimostrano che la sfera sessuale ed emotiva si articola in uno spettro, entro il quale le caratteristiche della nostra identità sessuale si estendono, e possono mutare.

Per questo possiamo renderci conto di alcune cose in momenti differenti della vita. Saperlo è importante e serve a validare persone condannate dalla società, o da loro stesse, a sofferenze profonde pur di rispondere alle aspettative altrui, entrare negli standard.
Sarebbe più facile comprendere tutto questo se si partisse dal rispetto, che non viene insegnato: invece nella nostra educazione sessuale onnicomprensiva la base di partenza è educazione socio-emotiva.

Nel percorso, necessaria, di emancipazione sessuale non si rischia che alcune/i adolescenti sentano di dover rispondere a istanze di libertà che vanno oltre il proprio sentire, o il proprio pudore, o semplicemente i propri tempo. 

Il discorso dell’educazione sessuale ed emotiva vale a tutti i livelli. Non si può e non si deve gerarchizzare.

Emancipazione sessuale significa poter fare e sentire secondo il proprio desiderio e necessità.
Educazione sessuale è consapevolezza sessuale ed emotiva: ricevere tutti i riferimenti, i supporti, le risorse che ci permettono di scoprirci e scoprire.
Libertà sessuale, infine, non significa fare qualsiasi cosa, ma poter fare scelte informate e rispettose.

Come succede in questo libro di Moen e Nolan, sembra che tu stia parlando di sesso. In realtà stai parlando soprattutto di consapevolezza, emozioni, desiderio e, fondamentale, consenso. Domanda: non è tardi parlare alle medie o addirittura alle superiori di consenso?

Già! Ma torniamo al discorso del timore che abbiamo, in Italia, dell’educazione sessuale. Come Associazione ci troviamo a parlare di consenso più spesso alle scuole superiori o all’università, che alle medie. Alcune scuole, addirittura, limitano l’accesso alle quarte e alle quinte superiore. Meglio di niente, chiaro: si può sempre imparare sul consenso, però con la consapevolezza che non va bene. Bisogna parlare di consenso ai bambini. Chiaro, il discorso sul consenso sessuale va adattato all’età in cui si inizia ad avere a che fare con la masturbazione o a vari gradi di approccio all’altro.

Da madre di un bambino di sei anni mi rendo conto che bambini e bambine replicano spesso modelli maschilisti: dal voler costringere un pari a un bacio che non vuole, a discorsi oppositivi maschi e femmine, all’idea che la fidanzatina sia una sorta di proprietà che non ti deve essere rubata. Potremmo magari non chiamarla “educazione sessuale” ma “educazione al rispetto”, se detta così fa meno paura, ma – azzardo – non dovremmo iniziare da lì?

Sì. Sono le fondamenta in assenza delle quali possiamo vedere quanti problemi abbiamo. È molto più comune normalizzare una violenza, anche tra bambini e ragazzi molto giovani, invece che accogliere l’idea di normalizzare l’educazione sessuale e al consenso. Il problema è quello che pensiamo sia l’educazione sessuale: spesso ne abbiamo un’idea sbagliata.

Per il discorso della paura che fa la parola ‘sesso’, su richiesta mi è capitato di modificare il titolo di una lezione e chiamarla “intimità consapevole”: chiaro, possiamo trovare alternative; ma fa un po’ sorridere.

In Questo libro non parla di sesso si trovano graphic novel che riproducono varie situazioni. Ovviamente si parla anche di sessualità e tecnologia, bullismo, etc. Domanda: cosa funziona meglio tra il controllo digitale serrato di quello che i ragazzi fruiscono in rete e un lasciarli liberi, ma informati?

Esattamente come non basta dire a un adolescente di non fare sesso, non basta dire di non fare sexting.
Sappiamo perfettamente che non è il veto che proibisce davvero una cosa, anzi. Rispetto a quanto e come controllare non mi sento di dare consigli specifici perché, ovviamente, dipende anche da persona a persona. Quello che però da educatrice sessuale posso dire è che, in base al livello di controllo che uno decide di avere, ci deve essere un parallelo in termini di possibilità e ambiente. Mi spiego: il o la giovane deve vivere in un ambiente sereno, in cui ci sia almeno una persona adulta di riferimento con cui può parlare liberamente, senza essere giudicato o giudicata.

Per quanto possa essere difficile, ogni persona adulta dovrebbe imparare a trattenere il giudizio nel momento della condivisione: sortisce un effetto potente, perché permette al giovane di non sentirsi come se stesse raccontando qualcosa che deve essere approvata o meno. Semplicemente sta condividendo e, così facendo, sa di potersi rivolgere al genitore per qualsiasi cosa.

Creato un simile ambiente c’è poi la possibilità, senza giudizio, di fissare alcuni punti fondamentali: la libertà sessuale, anche digitale, deriva da scelte informate e consapevoli; quindi per esempio è importante che un adolescente sappia che le cose che pubblica online o invia, possono essere prese, conservate, e mai più cancellate; o qualcuno può nascondersi dietro un’identità falsa; o che se riceve minacce ha diritto di fare una denuncia; o, infine, che ci sono figure preposte – psicologi o counselor scolastici, associazioni, sex coach competenti a cui può rivolgersi con fiducia.

Questo libro non parla di sesso può essere l’oggetto che crea questa possibilità, questa apertura a un dialogo. Insomma, un regalo da fare a un figlio o una figlia per rendere quell’ambiente di scambio, fiducia e condivisione ancora più aperto.

Questo libro non parla di sesso è proprio un bellissimo pretesto per cominciare a parlare con un figlio o una figlia, un o una nipote. Una risorsa enorme anche perché ha una rappresentazione così inclusiva dei corpi, delle identità, che ha anche un messaggio fra le righe: ti porta a non pensare che ci sia una normalità di corpi, o uno standard da assolvere. Anche quando parla di sesso, ne dà una definizione così ampia che chiunque ci si può rivedere! È bello e prezioso il respiro di unicità che si respira in queste pagine e aiuta a normalizzare la vera complessità della realtà e a non escludere nessuno e nessuna.

Con il consenso di Greta Tosoni embeddo questo suo post in cui è possibile scorrere alcune pagine e vedere nel dettaglio cosa si intende per rappresentazione inclusiva. Mi sembra un ottimo modo per toglierci dalla zona d’ombra di cui sopra e, quindi, mostrare quanto ogni paura sia infondata. Peraltro, le illustrazioni di Erika Moen e Matthew Nolan sono inclusive nel senso autentico del termine.
Ed è bene precisarlo laddove, come in Italia, ancora persiste una declinazione molto abilista e razzializzata dell’inclusione, che ha a che fare più con il concetto di integrazione e/o accettazione dell’altro o dell’altra da sé, che con la normalizzazione.

Di seguito invece, la copertina di Questo libro non parla di sesso, edizioni Sonda.
E il link per acquistarlo e farsi o fare un regalo.

Questo libro non parla di sesso

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