Antonella Lattanzi: "Le donne colpevoli di non essere solo madri e mogli" INTERVISTA

Fra i nomi del Premio Strega, Antonella Lattanzi in questa intervista parla del suo ultimo libro, ma anche di cultura, di donne e della loro libertà di essere molto più di madri e mogli.

Molto spesso gli scrittori traggono spunto, per i propri libri, da episodi che hanno vissuto, o che hanno sentito. Nel caso della scrittrice e sceneggiatrice barese, trapianta a Roma, Antonella Lattanzi, parliamo di un episodio davvero drammatico.

Lattanzi aveva già sorpreso il pubblico letterario fin dal romanzo d’esordio, datato 2010, Devozione, e si era confermata con Prima che tu mi tradisca e Una storia nera. Ma con Questo giorno che incombe, edito da Harper Collins nel gennaio del 2021 e inserito nell’elenco dei papabili per il Premio Strega, tocca livelli altissimi, indagando l’animo umano e sviscerandone i punti oscuri; soprattutto, abbattendo certe ipocrisie e parlando senza mezzi termini della funzione a suo modo salvifica del male, che alberga in ciascuno di noi.

Questo giorno che incombe di Antonella Lattanzi

Questo giorno che incombe di Antonella Lattanzi

Francesca è realizzata, ha la vita perfetta, è moglie, mamma, sta per scrivere il libro che sogna da sempre. Ma dopo qualche tempo dal trasferimento della sua famiglia al Giardino di Roma qualcosa comincia a inquietarla. Strani eventi, piccoli incidenti che si susseguono, fino alla scomparsa di una bambina. Antonella Lattanzi è candidata al Premio Strega 2021 con questo romanzo a tinte noir.
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Francesca è la voce, il corpo, la mente attorno al quale Antonella riesce a costruire una storia che è molto più di un noir; è una donna che non ha nulla a che vedere con lei, con un’esperienza di vita diversa, ma che Antonella con maestria “usa” come strumento per scavare negli abissi dell’umanità e nella sua psiche.

È una donna che all’inizio del libro è soddisfatta, realizzata, una moglie felice e una madre consapevole di esserlo e che ha scelto di esserlo, che ha lasciato un lavoro sicuro per seguire il marito in una nuova avventura professionale, da Milano a Roma, sapendo di avere finalmente l’opportunità che sognava da tutta la vita: scrivere un libro per bambini tutto suo. Con l’evolversi della situazione, però, e la tinta drammatica che prenderanno gli eventi, anche lei cambia, si riscopre una donna nuova, con consapevolezze diverse, ma anche lati oscuri che le fanno paura.

Come detto, lo zenit del libro, il focus attorno al quale si dipanano le tante vicende che animano questa trama complessa, ma scritta con la linearità di una fiction televisiva, è la sparizione di una bambina all’interno di un cortile, sotto gli occhi di moltissimi condomini, che sono come una grande famiglia, o una setta di cui aver timore. Un evento ideato da Antonella a partire da un episodio realmente accaduto durante la sua infanzia, a Bari. E proprio da lì parte la nostra intervista con lei, da quel momento che, in un certo qual modo, si può definire autobiografico.

Ero piccolissima quando è successo – ci racconta – avevo appena 8 mesi; i miei genitori e i genitori degli altri bambini che stavano sempre in cortile non ci hanno mai raccontato cosa è successo, fino a quando non siamo cresciuti, però notavamo sempre una certa attenzione in più, una serie di atteggiamenti che ci sembravano strani, ma che ovviamente non sapevamo spiegarci. Volevano che stessimo sempre dove potevano vederci,  controllarci. Solo quando mio padre mi ha raccontato quel che era accaduto, da grande, andando a ritroso ho capito perché. E mi è sembrata, da un lato, una storia orribile di cui nessuno, giustamente, aveva più avuto il coraggio di parlare, e dall’altra che comunque quell’episodio aveva influito anche sulle nostre vite, e influenzato il modo in cui i nostri genitori ci avevano cresciuti.

Avevano ancora paura, a distanza di anni. Perché tutti sappiamo che il male esiste, ma finché non ti tocca, finché non lo sperimenti in prima persona, non puoi dire di conoscerlo davvero. Quelle persone, compresi i miei, lo avevano visto. E io ho sempre pensato che avrei voluto scriverne, solo che cercavo il punto di vista giusto. L’ho trovato in Francesca, donna bella, realizzata, che si trasferisce in una nuova città, in un posto nuovo, pensando che sarà finalmente libera, e invece si trova con la vita che le crolla addosso“.

Nessuna attinenza però, come detto, tra Antonella e la protagonista del suo libro.

Francesca è una persona che, prima di arrivare in quel posto, rifiutava qualsiasi tipo di oscurità; io sono molto più complessa e tumultuosa. Ma quando anche lei si trova ad affrontare il suo buio, prevale comunque il suo slancio vitale. Questo è quello che penso: che anche dalle storie più nere possa venire fuori l’istinto di vita delle persone, la  voglia di reagire per trovare  lo spunto vitale“.

Nel tuo libro ci sono praticamente tutti i grandi temi del patriarcato, se così vogliamo chiamarli: c’è una donna che rinuncia alla propria vita e alla propria carriera per seguire un marito che ama, con tanti sogni e ambizioni, e finisce con il diventare una moglie invisibile, una donna sola e costantemente dedita alla cura delle figlie. Tanto da rinunciare ai suoi progetti.

Penso che sia ancora molto radicata l’idea che un figlio sia della mamma, e io odio questa frase, perché è come deputare alle donne il ruolo esclusivo di genitore, tanto che finiscono con il diventare una funzione, e non più persone. Non credo esista l’istinto materno, credo esistano genitori, veri o acquisiti, che crescono i figli. Chi sta accanto a un figlio sviluppa con lui un rapporto molto profondo, ma non si deve essere donne per forza, per farlo. Quel che accade a Francesca è che, nel momento in cui le viene tolto tutto, perde la sua identità, tanto da non riuscire più a coltivare un solo lato che non sia subordinato a quello di mamma“.

Spazzi via un bel po’ di ipocrisie, con questo libro. In primis quelle sulla maternità.

“Volevo raccontare la maternità anche nei suoi lati oscuri, perché ci sono momenti in cui le madri ‘non sopportano’ i loro figli, pur amandoli. Credo che quando si diventa madri si riscopra quel senso di colpa che prima magari non si conosce, perché c’è sempre una voce ancestrale che ti chiede ‘Perché sei uscita a fare un aperitivo con le amiche, cosa fai?’. Volevo raccontare alti e bassi della maternità, per far sentire le donne che si sentono sbagliate meno sole.”

Però abbatti anche un altro tabù inconfessabile: quello del desiderio femminile, della sessualità delle donne.

“Francesca è stata privata praticamente di tutto, e in questa situazione di emergenza totale ha spento anche una parte di sé, che però ritrova in un uomo diverso dal marito. Volevo dipingere il desiderio delle donne per ciò che è, assolutamente non angelicato ed etereo come molti vorrebbero ancora farci credere (o pretenderebbero).

Nel libro ho lavorato moltissimo sulla sessualità, sulla sensualità, ho raccontato nel dettaglio le scene di sesso, perché sono quelle in cui Francesca ritrova se stessa. Si dibatte continuamente tra il ruolo da ‘brava persona’ che la società le ha affibbiato (brava poi perché? Cosa vuol dire essere una ‘brava persona’?) e i desideri che ha. Il fatto è che è come se certe cose non venissero mai fatte appartenere alle donne, sesso compreso.

Quando abbiamo una donna che arriva ai vertici, continuiamo a descriverla come una mamma, una moglie, come se non potesse essere identificata in altro modo. Volevo liberarmi da questa visione“.

A proposito di donne e società: sei stata scelta da Domenico Starnone (un uomo) per il Premio Strega 2021. Ti ricordi la polemica dello scorso anno tra Valeria Parrella e il conduttore, a cui seguì il famoso post di Michela Murgia sul “minchiarimento” (termine che giocava sull’espressione inglese mansplaining)?

La ricordo, certo. Credo che sia una consuetudine che non tutti ancora capiscono, magari se ne parli ti dicono ‘Ma siamo nel 2021!’; in realtà non è così, c’è sempre una diffidenza nei confronti delle donne, che possono arrivare solo fino a un certo punto, nella scala del potere, fare solo alcune cose. Non sono madre, ma nessuno sembra valutare oggi la gravità della questione della maternità, ad esempio: se non ho un contratto ‘standard’ e resto incinta, come faccio a mantenere il mio lavoro? Col diminuire dei contratti di lavoro, e la loro precarietà, sempre più donne sono costrette a scegliere tra lavoro e famiglia. Se non è discriminazione questa…

La discriminazione si percepisce anche nella cultura; rimanendo nell’ambito dello Strega, solo 11 donne lo hanno vinto da quando è stato ideato, e parliamo di Elsa Morante, Margaret Mazzantini, Fausta Cialente, tra le altre. Idem dicasi per la scuola: pochissime autrici vengono insegnate in classe. La cultura ha un problema con il femminile?

Nel mondo letterario c’è ancora tantissimo pregiudizio: se un libro è scritto da una donna, allora è solo ‘per donne’. Come se la letteratura avesse un sesso. Ma molti uomini lo pensano, credono che le donne sappiano scrivere solo d’amore, che per carità, va benissimo, ma anche no. Non solo, insomma. In realtà le cose dovrebbero funzionare così: vedi un libro, ti piace la quarta di copertina, la trovi interessante, lo prendi e lo leggi. Possiamo invertire la tendenza solo cercando di dare spazio ai libri delle donne, non creando una contrapposizione tra uomo e donna, altrimenti si rischia solo di far sentire l’altro attaccato e di spingerlo a ritrarsi.

Dobbiamo sostenere la cultura in tutti i suoi campi, cercando di far conoscere le donne che lavorano e si impegnano. Anche a scuola dovremmo pensare a ‘svecchiare’ i programmi, perché ci sono tantissimi autori che non sono minimamente inclusi nel panorama scolastico“.

Torniamo a Questo giorno che incombe, che ha una trama e un linguaggio che a tratti richiamano il flusso di coscienza di Joyce o di Virginia Woolf. In questo caso abbiamo una casa che parla con la protagonista. Allora ti chiediamo, cos’è questa casa: una coscienza, una voce nemica, amica, un riflesso di Francesca…?

Può essere tutto questo, in realtà. Francesca si ritrova chiusa in quattro mura e non può parlare con nessuno, avere una conversazione con un adulto, può solo soddisfare i bisogni delle sue figlie, quindi per lei la casa diventa l’unica cosa con cui può sfogarsi. Per il lettore può essere uno spirito, Francesca che parla con se stessa, sua madre o un coro di voci che dice a ciascuno di noi come deve essere. Mi piace pensare che ognuno possa dare la propria interpretazione, senza capire poi bene se la casa sia amica o nemica di Francesca“.

C’è molto dell’attitudine umana, nel tuo libro. Ad esempio, rispetto al cosiddetto “vento del sospetto”.

Sì, volevo proprio raccontare le dinamiche per cui se un gruppo di persone decide o dichiara di possedere la verità si crea un pericolo per gli altri, per chi è ritenuto ‘diverso’ ed esterno da questa comunità. E volevo raccontare proprio quello, il vento del sospetto, che non fa danni se è solo una persona a pensarla in un certo modo, ma diventa distruttivo se travolge e coinvolge più persone. Anche quelle come Francesca, convinta delle sue idee, consapevole, ma che comunque a un certo punto si lascia risucchiare dal vortice.

Questo per dire cosa? Che se noi ci limitiamo a essere passivi nella ricezione delle informazioni, allora facciamo parte di quel gregge che oggi osanna una persona e domani la condanna. Formarsi un proprio pensiero permette di sviluppare una coscienza diversa. Partendo poi da un presupposto tanto elementare quanto importante: nessuno è esente dal male. E la violenza si sviluppa dappertutto, sui media, sui social, come oggi vediamo spesso: ecco, volevo raccontare anche questo“.

Hai partecipato al Nuovo Decameron, che vede nomi prestigiosi della letteratura italiana, da Barbara Alberti a Michela Marzano, passando per Jonathan Bazzi, riscrivendo la novella settima della giornata ottava. Mica male.

Nuovo Decameron

“Riscrivere Boccaccio è stato qualcosa di unico, l’unico pensiero che mi ha tranquillizzata è stato il non rendermene conto, il non pensare che stavo reinterpretando Boccaccio ma, piuttosto, stavo avvicinando qualcuno ai grandi classici della nostra letteratura, come ho già fatto con Le Nuove Eroidi, rileggendo il classico di Ovidio che, in tempi non sospetti, ha raccontato l’epica da un punto di vista femminile.

Per quanto riguarda la mia novella, è la storia di una donna che ama un uomo e che cerca di farlo ingelosire per fargli capire quanto sia bella e desiderabile, concedendosi, non carnalmente ma idealmente, a un altro. Tutto il racconto si sviluppa proprio nella battaglia senza esclusione di colpi fra i due amanti, fino a che i due si chiedono come siano arrivati a farsi così tanto male reciprocamente. In sostanza, volevo raccontare l’incomunicabilità e la violenza inferta agli altri senza motivo”.

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