Università di Manchester, 4 ottobre 1909: durante l’inaugurazione di un laboratorio di chimica, due ragazze in abito accademico irrompono nell’aula e interrompono il discorso ufficiale del preside di facoltà, chiedendogli di agire contro la detenzione forzata di alcune suffragette. Pochi attimi dopo, vengono portate via dalla polizia e arrestate: una delle due è Dora Marsden, uno dei grandi nomi della prima ondata di femminismo europeo.

Archetipo della donna moderna, incarna tutto quello che la società britannica di inizio Novecento ancora fatica a tollerare: ha studiato, è un’intellettuale, si mantiene con il suo lavoro di insegnante e non ha paura di dire quello che pensa. Non è il primo arresto e non sarà l’ultimo: esattamente due mesi dopo si apposta per ore sulla cupola dell’Empire Hall di Southport per interrompere sul più bello il discorso di Winston Churchill, futuro ministro degli interni britannico, infuriato per il rifiuto della Camera dei Lord di approvare la legge già votata dai rappresentati eletti dal popolo. “Ma non dalle donne!”, urla Dora Marsden, che si batte per il suffragio universale.

Ma chi è Dora Marsden? Nata il 5 marzo 1882 nello Yorkshire, è la quarta dei cinque figli di Fred e Hannah Marsden. Quando è ancora piccola, suo padre e il fratello maggiore sono costretti a emigrare negli Stati Uniti in cerca di lavoro, mentre la madre mantiene il resto della famiglia grazie al suo lavoro di sarta. Nonostante le condizioni economiche precarie, riesce a studiare e a laurearsi grazie alle sue capacità e all’impegno, che le valgono diverse borse di studio.

Durante gli anni passati all’Owens College di Manchester, Dora conosce Christabel Pankhurst e altre attiviste femministe impegnate nella lotta per il voto alle donne e decide di unirsi alla causa. Dopo l’iscrizione alla Women’s Social and Political Union, il movimento femminista fondato dalle sorelle Pankhurst, inizia a entrare in contrasto con le altre militanti per via delle sue azioni più eclatanti, spesso compiute senza consultare i vertici.

Quando nel 1910 le suffragette chiedono l’appoggio del partito conservatore, la frattura diventa insanabile. Dora Marsden decide di staccarsi e nel novembre del 1911 fonda la prima rivista femminista al mondo, che chiama The Freewoman. Come raccontato dalla studiosa Maroula Joannou nell’articolo The angel of freedom apparso su Women’s History Review, il periodico settimanale non ha vita facile. Gli articoli affrontano temi scomodi, come la contraccezione, l’omosessualità, l’amore libero e il lavoro femminile, senza dimenticare i contenuti letterari e artistici, come annunciato fin dal primo numero.

La nostra rivista sarà diversa dalle attuali riviste settimanali dedicate alla libertà delle donne. Queste si basano difatti su una libertà che viene dall’esterno. Si occupano di qualcosa che le donne possono acquisire. Noi però siamo soprattutto interessate a ciò che le donne possono divenire. Il nostro interesse è la donna libera in sé, la sua filosofia, la sua psicologia, la sua moralità e le sue conquiste, e solo in secondo luogo la sua politica e l’economia. Sarà nostro compito fare chiarezza sul fatto che tutta la disputa intorno alla libertà delle donne si fonda su considerazioni spirituali e deve perciò essere risolta su questa base. Se le donne sono libere spiritualmente, tutto il resto deve essere misurato su questo fatto, e ciò sia per quel che riguarda il corpo, la casa, la società, che per ciò che riguarda l’economia o la politica.

Dora Marsden si dedica personalmente a una serie di articoli sulla questione morale, scagliandosi contro l’idea che le donne siano state storicamente educate a contenere le loro passioni, allo scopo di concentrarsi solo sull’essere mogli e madri. La sua schiettezza e libertà di pensiero le porta diversi nemici, tanto da essere costretta a chiudere il giornale un anno dopo la sua fondazione. Dalle sue ceneri nasce The New Freewoman, una versione ancora più radicale e anarchica, che poi muta ancora una volta in The Egoist.

La nuova creatura editoriale abbraccia contenuti letterari sempre più sofisticati, influenzati dalla poesia colta e visionaria di Ezra Pound e dalla idee del filosofo tedesco Max Stirner, fautore del concetto di egoismo etico. Il pensiero di Dora Marsden si sposta dall’idea di una società di donne libere, che collaborano e dialogano, a quella individualista e in un certo senso miope di un mondo in cui l’anarchia è l’unica soluzione possibile.

Le sue posizioni, sempre più dure e intransigenti, finiscono per alienare collaboratori e lettori della rivista. Nel 1914 Dora si dimette da direttrice per dedicarsi alla scrittura, ma l’avventura da saggista è altrettanto anfrattuosa. Riesce a pubblicare The Definition of the Godhead, summa del suo pensiero, solo nel 1928, dopo anni di reclusione volontaria: le sue riflessioni su filosofia, teologia, fisica e matematica non vengono ben accolte. Segue due anni dopo Mysteries of Christianity, ma la situazione non cambia.

L’insuccesso letterario la conduce a un primo esaurimento nervoso nel  1930, acuito dalla morte dalla madre qualche anno dopo. Nel 1935 Dora Marsden viene ricoverata in un ospedale nel sud della Scozia per una forte depressione e vi rimane per il resto della sua vita. Muore nel 1960 per un attacco cardiaco, dopo venticinque anni passati nella solitudine del suo ricovero, dimenticata da lettori e intellettuali.

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