Margarete Buber-Neumann, la donna che fu prigioniera sia di Stalin sia Hitler
Margarete Buber-Neumann è stata un'intellettuale perseguitata per ciò che era e per le sue idee: fu in un campo di concentramento nazista ma anche in un gulag stalinista.
Margarete Buber-Neumann è stata un'intellettuale perseguitata per ciò che era e per le sue idee: fu in un campo di concentramento nazista ma anche in un gulag stalinista.
La storia di Margarete Buber-Neumann è emblematica di come il potere assoluto possa nuocere alle persone, e di come possa farlo soprattutto nelle mani sbagliate. Le mani sbagliate sono in questo caso quelle dei due più orribili carnefici del XX secolo, Iosif Stalin e Adolf Hitler: Buber-Neumann, che fu una giornalista e un’attivista comunista, conobbe infatti gli orrori dapprima dei gulag stalinisti e in un secondo momento dei campi di concentramento nazisti.
Nata nel 1901, Margarete Buber-Neumann si accostò subito al partito comunista tedesco, ossia il Kdp e nel 1926 iniziò a lavorare come corrispondente internazionale. Il suo secondo marito Heinz Neumann era un diplomatico del Comintern, e quindi i due vissero molto tra la Germania e l’Unione Sovietica: nel 1937, mentre la coppia era a Mosca, lui fu arrestato e solo molto dopo lei seppe che il marito era stato giustiziato come nemico del regime. Alcuni mesi dopo l’arresto del marito, anche Buber-Neumann fu arrestata come moglie di un nemico e fu trasferita in un gulag, un campo di lavoro stalinista a Karaganda.
Ma l’orrore non culminò con i lavori forzati del gulag: nel 1940, a seguito di uno scambio tra prigionieri avvalendosi del patto Molotov-Ribbentropp, Stalin consegnò la giornalista al regime di Hitler. Buber-Neumann fu quindi internata nel campo di Ravensbruck, dove c’erano solo donne, come prigioniera politica. Margarete Buber-Neumann scrisse molto del campo di concentramento, dalla sua amicizia con Milena Jesenska, una prigioniera ceca che era stata la destinataria di varie lettere di Franz Kafka, fino alle attività del campo, che servì soprattutto per la “trasformazione” degli effetti personali sottratti a ebrei e altri prigionieri uccisi nelle camere a gas.
È anche grazie a lei che conosciamo i cosiddetti “olocausti minori”, come quello dei Testimoni di Geova. Fu liberata solo nel 1945, e allora si rifugiò dalla madre in Bavaria, per poi andare a vivere alcuni anni in Svezia.
Ogni nuova arrivata in un campo di concentramento – scrive Margarete Buber-Neumann in Prigioniera di Stalin e di Hitler – attraversa un terribile periodo in cui viene scossa nella fibra stessa, indipendentemente dalla robustezza del suo fisico e dalla saldezza dei suoi nervi. E le sofferenze delle nuove arrivate a Ravensbrück peggioravano di anno in anno, e di conseguenza fra loro si registrava il più alto tasso di mortalità. A seconda del carattere, potevano volerci settimane, mesi o addirittura anni prima che una prigioniera si rassegnasse alla sua sorte e si adattasse alla vita del campo. È in questo periodo che il carattere dell’individuo cambia. Gradualmente l’interesse per il mondo esterno e per gli altri prigionieri si spegne.
Dopo le orribili esperienze avute con lo stalinismo prima e con il nazismo poi, Margarete Buber-Neumann iniziò un lento viaggio interiore ed esteriore di tipo anti-comunista: difese infatti in tribunale Victor Kravchenko, un attivista ucraino che si era opposto alla collettivizzazione forzata e la pauperizzazione della sua terra. Kravchenko aveva raccontato cosa accadesse nei gulag e nei campi di lavoro sovietici in un pamphlet, che era stato smentito dal partito comunista francese: Buber-Neumann, raccontando la propria esperienza, confermò tutto quello che aveva scritto l’attivista ucraino, contribuendo così alla sua vittoria in tribunale. Kravchenko aveva infatti querelato i comunisti francesi e le testimonianze di quel processo furono utili a far capire al mondo cosa accadesse davvero in Unione Sovietica.
Per trenta anni Margarete Buber-Neumann continuò a scrivere e a spiegare dove il comunismo avesse fallito, spesso di concerto con altri intellettuali e scrittori: nonostante i gulag furono smantellati dopo la morte di Stalin, la mancanza di libertà e umanità all’interno del regime sovietico restava per lei il mostro da abbattere. Vide quindi parte di quel mondo che iniziava a liberarsi, ma morì tre giorni prima della caduta del Muro di Berlino.
Vorrei vivere in un incubo di David Lynch. #betweentwoworlds
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