"Il coraggio di contare nell'Italia contemporanea": INTERVISTA a Natascha Lusenti

Il rapporto tra le donne e il denaro è annoso e complesso, motivo per cui merita sempre più attenzione. Ed è, infatti, oggetto di disamina del primo saggio della giornalista Natascha Lusenti, "Il coraggio di contare. Storie di donne, finanza ed etica nell'Italia contemporanea", edito da Il Saggiatore. Perché è importante "contare"? Lo abbiamo chiesto direttamente all'autrice.

Quella tra le donne e il denaro è una relazione annosa, complicata e ricca di contraddizioni. Parlare di soldi è da molte considerato, ancora oggi, un tabù: un tema “volgare”, da discutere sottovoce o con estrema velocità, e a cui è opportuno riservare il minor spazio possibile (al punto che, tante donne, non hanno nemmeno un proprio conto corrente – e, se ce l’hanno, è gestito dall’uomo di casa).

Di qui, derivano, nella maggior parte dei casi, la carenza di una libertà autodeterminata e concreta e la mancanza di una reale indipendenza in ambito economico e finanziario.

I motivi che caratterizzano queste lacune sono molteplici e affastellati, ma possono essere ricondotti ad alcune “macrocategorie”: retaggi educativi, per cui affrontare il tema del denaro, da parte delle donne, sarebbe “disdicevole e inappropriato”; stereotipi di genere, in base ai quali l’uomo “esce di casa” e si occupa di lavorare e mantenere la famiglia, mentre la donna risulta quasi destinata a occuparsi meramente del benessere domestico e della cura dell’eventuale prole; e, infine, fattori socio-culturali, che alimentano la disparità di genere (anche a livello retributivo: si veda il gender pay gap) e, di conseguenza, rendono impari la gestione finanziaria.

Un tema, quello del rapporto tra donne e denaro, che merita sempre più attenzione, e che è oggetto di disamina approfondita de Il coraggio di contare. Storie di donne, finanza ed etica nell’Italia contemporanea, il primo saggio della giornalista Natascha Lusenti edito da Il Saggiatore, e frutto dei dialoghi, delle interviste e degli incontri tenutisi con le donne di Banca Popolare Etica.

Un lavoro monumentale, ricolmo di storie – personali, e quindi politiche – prospettive e spunti di riflessione, il quale si pone alla stregua di un’istantanea precisa, e talvolta dolorosa, dell’ancora insufficiente consapevolezza che molte donne posseggono nei confronti del denaro e del lungo percorso che ancora vi è da compiere per eradicare lasciti educativi, culturali e sociali erronei, deleteri e patriarcali.

Ne abbiamo parlato direttamente con Lusenti, che ci ha spiegato le peculiarità del lavoro svolto e perché la gestione dei soldi rientra, di diritto, nei fattori che concorrono alla “cura di sé”.

Partiamo dalla fine, che, in questo caso, coincide con l’inizio di questa avventura. Come spiegato nella postfazione, infatti, il volume ha avuto origine da un’intuizione di Anna Fasano, prima presidente donna di Banca Popolare Etica. Come ha reagito quando le è stato chiesto di trascrivere e trasformare in manoscritto le riflessioni e le idee delle donne della banca? E come si è preparata ad accogliere le loro “confessioni”?

Non mi è stato chiesto di “trascrivere” e di “trasformare in manoscritto” nulla perché non c’era nulla. Mi è stato chiesto di trovare una forma e una strada narrative per sviluppare un’intuizione, cosa che ho fatto cominciando dalle interviste delle donne che mi sono state segnalate da Banca Etica, a cui ho poi aggiunto altre donne che ho scelto in autonomia. Anche la forma delle interviste e le domande che ho fatto a ciascuna donna sono state lasciate alla mia sensibilità e decisione.

Prima di entrare nel dettaglio di quanto esposto nel saggio, farei un piccolo passo indietro e le chiederei – per chi non lo sapesse: che cos’è, esattamente, la finanza etica? Quali sono le sue caratteristiche precipue e quali azioni possiamo attuare, quotidianamente, per nutrirla?

In poche parole, direi: non mette il profitto al primo posto né si preoccupa del massimo profitto (che è sempre individuale), bensì lavora per creare un ecosistema che abbia un impatto sociale positivo e, quindi, dentro una dimensione di collettività in cui ogni soggetto si chiede che cosa i proprio soldi – pochi o tanti non ha importanza – possono fare per gli altri. Con ancora meno parole, direi: si muove fuori dall’avidità. Dentro una prospettiva di questo genere, una finanza davvero etica per me non può prescindere dal rispetto di tutte le creature: animali, vegetali e non solo umane.

Nel corso del testo, torna, più volte, il riferimento alle nostre madri e al loro rapporto con il denaro: sua madre ha letto il libro? In caso affermativo, che cosa le ha riferito al riguardo?

Lo sta leggendo.

Come precisato anche da una delle sue interlocutrici, intorno al denaro – e, in particolare, al rapporto che intercorre tra quest’ultimo e le donne – aleggia, da sempre, un tabù: quasi come se parlare di soldi fosse volgare, a maggior ragione se, a farlo, sono le donne stesse. Quali sono le azioni concrete che, dal suo punto di vista, si stagliano come necessarie per eliminare tale percezione?

A dire il vero, ho trovato particolarmente interessante la riflessione di una donna che mi ha detto che se parliamo di “tabù” siamo nel privilegio, perché chi ha problemi di denaro (non ne ha, è sfruttata, non ha una rete familiare che la sostenga) non ha nessun tabù a parlarne, e, mi viene da aggiungere, probabilmente ci pensa fin troppo, come mi ha raccontato, infatti, un’altra donna che, da quando ha perso il lavoro, non può fare a meno di pensarci in continuazione. Con la consapevolezza che, se anche non ci occupiamo di denaro e di finanza, la finanza si occupa di noi, possiamo arrivare a comprendere che è necessario prendersi la responsabilità di occuparsene attivamente.

In quanto “ossessionata” dal controllo di gestione delle mie finanze, ho sorriso e mi sono sentita accolta e compresa quando ha dichiarato che anche lei, più volte al mese, tiene traccia dei movimenti economici e finanziari in entrata e in uscita – e accolgo totalmente il suo pensiero, soprattutto per quanto concerne il senso di «tranquillità» e «cura di sé» che queste pratiche infondono. Dato che, nella stragrande maggioranza dei casi, nessuno ha insegnato alle donne, quando erano piccole o adolescenti, che cosa sia e come si effettui un reale controllo di gestione dei propri soldi – e dal momento che, in generale, manca un’educazione su questo aspetto, a più livelli -, come possiamo educare noi stesse a focalizzarci su questa pratica e a ritenerla, quindi, fondamentale per il nostro benessere psicofisico e per l’equilibrio della nostra esistenza presente e futura?

Informandosi, parlandone: è per questo che ho scritto il libro, per aggiungere un tassello alla riflessione su questo tema.

A tal proposito, Silvia, una delle donne intervistate, recrimina a sua madre la «poca lungimiranza sulla gestione economica della famiglia», la quale, naturalmente, ha avuto un notevole impatto sul suo percorso di studi e di lavoro. Come si può allenare la nostra lungimiranza, per quanto riguarda il rapporto con i soldi?

Informandosi, parlandone con chi ne sa, certo, ma anche facendo di questa questione un argomento di scambio e di riflessione profonda con le amiche, per esempio. Non c’è da vergognarsi a parlarne né ad ammettere che abbiamo molto da imparare. E poi, cominciare a imparare e a mettere in pratica quel che si impara.

Ad oggi, quali sono, secondo lei, i canali social, le community, le start-up o i/le professionisti/e che offrono un’educazione finanziaria completa ed esaustiva?

So di quelle che ho messo nel libro, non saprei di altre.

I soldi, pur non volendolo, regolano la maggior parte dei rapporti tra le persone. Una situazione che, talvolta, può tramutarsi in pericolosa e soggiogante, come nei casi di violenza economica e domestica. A volte, come succede nel bestseller Maid, le donne trovano il coraggio di scappare, e la forza per chiedere aiuto e rialzarsi. In altre circostanze, tuttavia, ciò risulta impossibile, per una molteplicità di fattori dissimili, e le donne restano irretite in una dinamica di potere dalla quale, appunto, risulta complesso svincolarsi. Alle donne vittime di violenza economica e domestica che hanno letto e leggeranno il suo saggio nel corso del tempo, che cosa si sente di suggerire?

Non mi sento di suggerire niente a nessuno. Quel che avevo da dire, è nel libro. Ci sono persone più qualificate di me per dare suggerimenti. Io so ascoltare, e se qualcuna volesse parlare con me, ascolterei.

Alcune testimonianze sono rese in una forma differente, quasi come se si trattasse di un coro greco: perché questa scelta? E perché proprio con quelle interlocutrici?

È una scelta narrativa che ho fatto quando mi sono resa conto che non avrei potuto mettere tutte le storie nei capitoli più tradizionali, saggistici, diciamo. Siccome, però, erano belle storie che non volevo perdere, ho fatto questa scelta e ho dato vita ai capitoli che chiamo “lirici”. Anche su quali storie mettere in quali capitoli è stata una questione di scelta del racconto che volevo fare: ogni storia porta dei pezzetti di racconto, ogni storia è una voce che confluisce nella polifonia che mi interessava comporre (dialogando anche idealmente con altri libri e, quindi, con altre pensatrici), e ho distribuito le voci nel modo che ritenevo più efficace per comporre lo spartito che avevo in testa.

Infine, una curiosità: per lei, ora, che cosa sono i soldi? Il dialogo con le donne di Banca Popolare Etica ha cambiato e/o arricchito il suo punto di vista? In caso affermativo, come? E quali riflessioni e comportamenti nuovi ha fatto sorgere in lei questa esperienza e la correlata stesura del volume?

Ho messo nel libro le riflessioni di cui mi chiede: ero già in cammino e questo progetto mi ha permesso di confrontarmi con tantissime altre storie, il che mi ha fatto bene. Oggi direi che la mia relazione con i soldi è stata sanata. Uso questa parola perché quella relazione è nata nella mia vita come una ferita. Per usare una metafora in tema finanziario: ho chiuso i conti.

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