“Non possiamo più chiudere gli occhi sui 300 mila aborti clandestini che, ogni anno, mutilano le donne di questo Paese, si fanno beffe delle nostre leggi e umiliano le donne che vi fanno ricorso”: con queste parole, Simone Veil passò alla storia. La sua battaglia per la legalizzazione dell’aborto in Francia, negli anni Settanta, la fece diventare un simbolo non solo dell’emancipazione femminile del Novecento, ma anche di come fosse possibile ricostruirsi una vita e rinascere dopo essere scampata alla persecuzione nazista.

Una vita

Una vita

L'autobiografia di Simone Veil, sopravvissuta alla Shoah e una delle prime donne a diventare ministra.
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Nata il 13 luglio 1927 a Nizza, ultima di quattro figli, Simone Veil proveniva da una famiglia ebrea, come racconta France Culture. Suo padre André Jacob, diplomato alla Beaux-Arts di Parigi nel 1913, aveva iniziato la sua carriera come architetto dopo la prima guerra mondiale. Dopo il matrimonio, aveva lasciato la capitale per trasferirsi a Nizza, anticipando il boom architettonico in Costa Azzurra. Per la famiglia Jacob la situazione precipitò prima a causa della crisi economica, nel 1929, e poi con l’avanzata del nazifascismo.

Mio padre architetto riceveva pochi incarichi e mia madre casalinga doveva stare molto attenta ai soldi. Faceva una cosa che ora credo non si usi più, mostrava a mio padre tutti i conti alla fine del mese, centesimo per centesimo. Per noi bambini era triste vederla combattere con le ristrettezze e con il controllo del marito, e poi lei imbrogliava: ogni tanto voleva comprarci qualche caramella, allora metteva nella lista delle cose un po’ più care come il burro, per poterci viziare di nascosto. Noi non capivamo perché nostro padre, una persona così intelligente, la costringesse a quell’umiliazione. Ma era solo l’inizio della discesa, il peggio doveva arrivare.

Dopo l’offensiva tedesca nel 1940 e la sconfitta dell’esercito francese, il padre di Simone fu privato del diritto di esercitare la sua professione di architetto. Con l’arrivo della Gestapo nel settembre del 1943, in tutto il Sud della Francia, i timori crebbero ulteriormente.

Il 29 marzo 1944, Simone riuscì a superare gli esami di maturità, anticipati di tre mesi per paura del precipitare degli eventi. Il giorno seguente fu arrestata dai nazisti: vennero portati via anche tutti gli altri membri della famiglia, tranne la sorella Denise, impegnata nella Resistenza, che fu successivamente deportata a Ravensbrück.

Portate prima nel campo di Drancy, Simone, sua madre e la sorella maggiore Madeleine furono quindi deportate ad Auschwitz-Birkenau dove arrivarono il 15 aprile 1944, nel cuore della notte. Sul suo braccio venne subito tatuato un numero, il 78651, che l’accompagnò silente per tutta la sua vita. Il padre e il fratello Jean furono spediti a Tallinn, in Estonia, e non tornarono più indietro: solo Simone e le due sorelle riuscirono a tornare vive dall’orrore dei campi.

Tornata in Francia il 23 maggio 1945, Simone si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza e lì incontrò Antoine Veil, che sposò un anno dopo. Aveva solo diciannove anni e la voglia di ricominciare, creando una nuova vita e una nuova famiglia. Diventata madre per tre volte, continuò a portare avanti la sua vita lavorativa con grande fervore.

Dopo aver lavorato per vent’anni come magistrato, nel 1974 lasciò la sua professione per dedicarsi alla politica. In seguito all’elezione di Valéry Giscard d’Estaing a Presidente della Repubblica il 19 maggio 1974, Simone Veil fu nominata ministra della Salute per il governo di Jacques Chirac: era l’unica donna del governo. Si occupò fin da subito del tema della legalizzazione dell’aborto, per fermare le operazioni clandestine, nonostante avesse una visione negativa di tale pratica, ma consapevole di quanto fosse molto più pericoloso non avere una legge a tutela della libertà di scelta.

Lo dico con tutta la mia convinzione: l’aborto deve restare un’eccezione, l’ultimo ricorso per situazioni senza speranza. Altrimenti come potremmo tollerarlo? Nessuna donna è felice di ricorrere all’aborto. È sempre un dramma e sempre resterà un dramma. Nessuno può provare soddisfazione profonda nel difendere un testo simile su questo tema: nessuno ha mai contestato che l’aborto sia un fallimento e un dramma.

La sua legge, ribattezzata Loi Veil, fu finalmente approvata durante la notte del 29 novembre 1975 e definitivamente adottata dal 1979. L’interruzione della gravidanza era consentita fino alle dieci settimane, scadenza poi prorogata a dodici solo nel 2001. Dopo un’esperienza come presidente del parlamento europeo, dal 1979 al 1982, nel 1983 Simone Veil fu nominata ministra di Stato, ministra della Sanità, degli Affari Sociali e delle Aree Urbane nel governo di Édouard Balladur.

Dopo la fine del mandato, nel 1995, continuò a partecipare alla vita politica francese fino al 2007, come membro del Consiglio costituzionale e poi dell’Accademia di Francia. Morì a Parigi il 30 giugno 2017 e un anno dopo la sua salma venne tumulata insieme a quella del marito nel Pantheon, dove riposano le più grandi personalità francesi.

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