Quando il suo racconto The Lottery apparve sul New Yorker, il 26 giugno del 1948, Shirley Jackson era ancora sconosciuta al grande pubblico. Nella sua storia raccontava di un piccolo villaggio, come tanti altri in America, con tante famiglie in fermento per l’evento annuale: la lotteria. Il fortunato vincitore, si scopriva alla fine, era destinato alla lapidazione.

Lettori indignati scrissero alla celebre rivista per manifestare il loro sconcerto per la scelta di pubblicare una simile vicenda. Alcuni volevano sapere dove si svolgesse questo macabro rituale, altri semplicemente non capivano. Definirono la storia oltraggiosa, crudele, perversa e senza senso. Altri, invece, ne rimasero profondamente colpiti: tra di loro c’era la grande scrittrice di fantascienza Ursula Le Guin e, qualche anno più tardi, Stephen King, che ha più volte raccontato di essere stato influenzato da Shirley Jackson.

Chi c’era dietro quello strano racconto horror? Mentre cresceva la sua fama e venivano pubblicati romanzi sempre più inquietanti, emersero molti dettagli sulla vita e sulle esperienze personali che avevano ispirato quelle storie. Dalle sue stesse parole, scritte ancora una volta per il New Yorker, possiamo capire qualcosa di più su una delle autrici di culto del Novecento.

La mia situazione è particolarmente toccante. Forse non triste come quello di un bambino orfano condannato a spazzare i camini, ma più triste di molte altre. Sono una scrittrice che, a causa di una serie di sbagli innocenti e avventati, si ritrova con una famiglia di quattro figli e un marito, una casa di diciotto stanze e nessun aiuto, e due cani danesi e quattro gatti e, se è sopravvissuto così a lungo, un criceto. Potrebbe esserci anche un pesce rosso da qualche parte. In ogni caso, ciò significa che ho al massimo poche ore al giorno da passare alla macchina da scrivere.

Oggi sappiamo benissimo che l’ossessione per i temi legati alla casa e alla famiglia, ricorrenti nei libri di Shirley Jackson, non ci sarebbe stata senza la sua debordante maternità. Lo stesso si può dire per quella madre che, come ricorda la biografa Ruth Franklin, continuava a ripeterle che era un “aborto mancato”. Nata a San Francisco nel 1917, fin da piccola si rifugiò nella scrittura per  scappare alle feroci critiche materne, rivolte soprattutto al suo aspetto fisico.

Non riesco a tollerare quelle persone che credono che inizi a scrivere quando ti siedi alla scrivania e raccogli la penna e finisci di scrivere quando riponi la penna; uno scrittore scrive sempre, vede tutto attraverso una sottile coltre di parole, adatta rapide descrizioni a tutto ciò che vede, sempre. Proprio come credo che un pittore non possa sedersi davanti al suo caffè mattutino senza notare di che colore sia, così uno scrittore non può vedere un piccolo gesto strano senza definirlo con una descrizione verbale, e non dovrebbe mai lasciar passare un momento senza essere descritto.

Dopo una brillante laurea in giornalismo e una brutta depressione, mise in atto un costante meccanismo di difesa verso la violenza psicologica della madre. Si sposò con un uomo che a lei non piaceva, il critico letterario Stanley Hyman, e con lui si trasferì in Vermont, dove nacquero i loro quattro figli. Non fu un matrimonio facile: il marito non era solo incline ai tradimenti, ma anche maschilista. E in un caos familiare ancora più profondo delle apparenze, Shirley Jackson trovò comunque la forza per continuare a scrivere ogni giorno, come si era ripromessa di fare fin da bambina.

Come ricorda un articolo su The Cut, diventare madre catalizzò la sua energia creativa. Avere figli non faceva parte della vita bohémien che aveva sempre desiderato, ma era qualcosa per cui era portata. Con il marito che era solito ripetere “portameli quando sapranno leggere e scrivere”, prima di chiudersi a lavorare nel suo studio, fu lei a pensare all’educazione. E si impegnò per dare in modo che i piccoli crescessero in un clima di amore e creatività, diverso da quello che aveva sperimentato lei.

I traumi infantili e il comportamento di Stanley, però, la spinsero a richiudersi in se stessa e ad abusare di alcol e tranquillanti. Dopo un grave esaurimento, che nel 1962 la portò a restare chiusa in casa per sei mesi, sembrò ritrovare la voglia di scrivere e di vivere. Tre anni dopo, a soli 48 anni, morì nel sonno per colpa di un problema cardiaco. La sua vita sarà raccontata nel film Shirley, interpretato da Elisabeth Moss, attrice protagonista di The Handmaid’s Tale, e prodotto da Martin Scorsese.

Ecco alcuni dei libri di maggiore successo per iniziare a scoprire Shirley Jackson:

Abbiamo sempre vissuto nel castello

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L'ultimo romanzo di Shirley Jackson, che mette al centro della storia un'altra casa e la vita dei suoi abitanti, le due sorelle Blackwood e il loro zio. Un nuovo invitato porterà alla distruzione dell'armonia e dell'esistenza degli abitanti della casa.
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L'incubo di Hill House

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La storia di una casa e dei suoi misteri profondi, attraverso il destino della protagonista Eleanor Vance: è considerato uno dei romanzi di fantasmi più importanti del Novecento.
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La lotteria

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Un racconto ambientato in una comunità dove ogni anno si svolge una lotteria che coinvolge tutti: più si procede nella letteratura, più si comprende come questo avvenimento non è affatto un momento di gioia per gli abitanti.
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