Pearl S. Buck, la Premio Nobel che nascose la figlia malata mentale per 30 anni
La storia di Pearl S. Buck, scrittrice americana Premio Nobel, e del suo rapporto con la malattia della figlia, raccontato in un libro
La storia di Pearl S. Buck, scrittrice americana Premio Nobel, e del suo rapporto con la malattia della figlia, raccontato in un libro
Caroline Grace, per tutti semplicemente Carol, nacque nel 1920. Nella sua prima ora di vita, sua madre scrutò intensamente i suoi occhi chiari e pensò alla vita che aveva davanti: era una bambina sana e bella e aveva tanti sogni e speranza per lei. Nessuno poteva ancora immaginare, a quei tempi, che potesse soffrire di fenilchetonuria, una rara malattia metabolica capace di provocare grave disabilità intellettiva.
Solo al compimento del terzo anno di vita, i medici capirono che la piccola non stava crescendo come avrebbe dovuto. Questa è la sua storia, ma è soprattutto quella di sua madre, Pearl S. Buck, Premio Nobel per la letteratura nel 1938 e Premio Pulitzer nel 1932. Autrice prolifica statunitense, scrisse della Cina in cui aveva vissuto e si adoperò per aiutare i bambini asiatici: molto più difficile, però, fu raccontare la storia di sua figlia: lo fece solo trent’anni dopo nel libro The Child who never grew, purtroppo non tradotto in italiano.
Dissi all’infermiera: “Non sembra molto saggia per la sua età?” Aveva meno di un’ora di vita. Ricordo che aveva tre mesi e giaceva nel suo piccolo cestino sul ponte di una nave. L’avevo portata lì per prendere l’aria del mattino mentre viaggiavamo. Le persone che passeggiavano sul ponte si fermavano spesso per guardarla e il mio orgoglio cresceva mentre parlavano della sua insolita bellezza e della intelligenza dei suoi profondi occhi blu.
Pearl Sydenstricker, il nome da nubile di Pearl S. Buck, nacque il 26 giugno del 1892 a Hillsboro, in West Virginia, da una coppia di missionari presbiteriani che per quasi vent’anni avevano abitato in Cina. Tornati in America solo per far nascere la figlia, nel 1896 si trasferirono di nuovo in Oriente, vicino a Nanchino. La piccola crebbe così insieme agli altri bambini cinesi, in un contesto difficile per uno straniero, imparando la lingua, ma rifugiandosi nel conforto della lettura dei classici di Charles Dickens.
Nel 1911 tornò in Virginia per frequentare un college femminile, intenzionata a vivere una vita nel suo paese d’origine. Qualche anno più tardi, in seguito alla lettera in cui il padre le comunicava la grave malattia della madre, decise di diventare anche lei una missionaria. Dopo il matrimonio con l’insegnante di economia agraria e missionario John Lossing Buck, nel 1914, decise di andare a vivere con lui in Cina, ed entrambi iniziarono a insegnare nell’Università di Nanchino. In un clima complicato dal punto di vista politico e sociale, in cui gli stranieri venivano osteggiati, nacque la prima e unica figlia biologica della coppia, Caroline Grace Buck.
Sebbene per i suoi primissimi anni di vita fosse sembrata una bambina come tutte le altre, presto qualcosa cambiò. Pearl S. Buck decise quindi di portarla in Minnesota per farla visitare dai medici statunitensi. Si scoprì così che il cervello della piccola aveva smesso di crescere per via della fenilchetonuria, una patologia che si manifesta prima con rash cutanei, nausea, vomito, irritabilità, eczematosi e, a lungo termine, un progressivo ritardo mentale. Segnali che alla scrittrice risultarono subito chiari, come da lei stessa ricordato e oggi riportato dal sito Per noi autistici.
Parlai con la docente che mi indicò i segnali di pericolo che non avevo visto o che avevo evitato di vedere. Il tempo di attenzione della bambina era molto breve, molto più di quanto avrebbe dovuto essere. La maggior parte delle sue corse leggere non aveva uno scopo, era semplicemente del movimento. I suoi occhi, così puri nel loro blu, erano vuoti quando uno guardava nelle loro profondità. Non mantenevano lo sguardo né rispondevano. Erano immutabili. C’era qualcosa che non andava.
Pearl non perse la speranza e tentò di educare Carol come se fosse una bambina sana. Provò a insegnarle a leggere, scrivere, a distinguere i colori e a leggere le note, e alla fine la piccola imparò a scrivere il suo nome, a cantare canzoncine e a leggere frasi semplici.
È capitato che le tenessi la mano destra per guidarla a scrivere una parola. Era bagnata di sudore. Le ho preso entrambe le mani e ho visto che erano sudate. Ho realizzato che la bambina era sotto sforzo e che cercava di fare il meglio per compiacermi, sottomettendosi a qualcosa che non comprendeva con il solo desiderio angelico di accontentarmi. Lei non stava realmente imparando qualcosa. Probabilmente avrebbe potuto leggere un po’ ma non avrebbe potuto godere dei libri. Avrebbe imparato a scrivere il suo nome, ma non avrebbe mai trovato nella scrittura un mezzo per comunicare. Avrebbe ascoltato con gioia la musica, ma non l’avrebbe mai potuta comporre.
Nell’impossibilità di avere altri figli, dato che aveva subito un’isterectomia per tumore dopo il parto, decise di adottare una figlia con il marito, Janice. Per un lungo periodo, non parlò a nessuno di Carol, limitandosi a raccontare di avere due figlie, “una via per studiare e una a casa”. Nel frattempo, però, Pearl S. Buck cominciò a scrivere saggi molto apprezzati sulla condizione femminile cinese.
Passò ai romanzi verso la fine degli Anni Trenta, spinta dalla necessità di guadagnare di più per sostenere le spese mediche per Carol. Nel 1931 divorziò dal marito e sposò Richard J.Wash, il suo editore. Nello stesso anno pubblicò La buona terra, primo romanzo di una trilogia di grande successo, che la fece conoscere nel mondo letterario e le valse il Nobel del 1938. I ricavati le permisero anche di pagare l’istituto in cui scelse di far seguire la bambina per tutto il resto della sua vita.
Poi, nel 1950, Pearl S. Buck decise finalmente di parlare al mondo della sua storia più privata e difficile, scrivendo un libro su sua figlia. “Ci ho messo tanto tempo a decidere di scrivere”, svelò nell’introduzione. “Molti motivi mi hanno aiutata ad arrivare a questo punto, stamattina, dopo un’ora passata a camminare nei boschi invernali, e ho infine capito che era ora di raccontare questa storia. In parte per le molte lettere ricevute in questi anni da genitori di figli come la mia. Mi hanno detto loro di farlo”.
Per il resto della sua vita, Pearl S. Buck si dedicò ad assistere le coppie che volevano adottare bambini dalla Cina, come poté finalmente fare anche lei, e creò una fondazione a suo nome. Morì nel 1973 di cancro ai polmoni, la stessa malattia che nel 1991 si portò via anche sua figlia Carol.
Web content writer e traduttrice. Parlo poco, scrivo tanto e cito spesso Yeats.
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