I 9 modi per fare odiare ai bambini i libri e la lettura secondo Gianni Rodari
Fra le tante opere di Gianni Rodari c'è un articolo capolavoro in cui lo scrittore elenca i 9 modi per far odiare la lettura ai ragazzi.
Fra le tante opere di Gianni Rodari c'è un articolo capolavoro in cui lo scrittore elenca i 9 modi per far odiare la lettura ai ragazzi.
Prima di Gianni Rodari la letteratura per ragazzi era considerata “di nicchia”, una sorta di letteratura minore, per importanza. Grazie a lui e al suo lavoro, invece, i libri per ragazzi smisero di essere visti alla stregua di banali favolette della buonanotte per assumere scopi diversi, educativi, didattici, morali.
Nei libri dello scrittore e giornalista di Omegna non manca mai infatti la proposizione di valori positivi come la gentilezza, la solidarietà, la tolleranza, e questo ha fatto sì che le sue opere principali possano, a tutti gli effetti, essere considerate per ragazzi, ma non solo.
Rodari era solito rivolgersi anche ai genitori dei suoi piccoli lettori, e così, se con la Grammatica della fantasia, il suo libro più importante (e l’unico non narrativo, ma teorico) uscito nel 1973, l’autore ci guida attraverso l’arte di inventare storie con appunti, riflessioni e considerazioni, con l’articolo pubblicato nel 1964 sul Giornale dei Genitori [GdG. 64. n.10/00] fa di più: elenca i nove modi per far odiare la lettura a un bambino.
Già perché, a ben vedere, è molto più facile rendere invisa la lettura di un libro ai ragazzi, piuttosto che appassionarli, specie se ci si comporta nei modi descritti da Rodari in quel pezzo storico, poi confluito nel libro Scuola di fantasia.
Ma quali sono i nove punti famosi dettati da Rodari?
Anziché in antitesi, i due mezzi possono essere visti in maniera complementare, sfruttando le potenzialità educative di entrambi. Anche perché, in caso contrario, i bambini tenderanno a vedere il libro solo come una punizione, e non come un valore aggiunto da affiancare alla televisione.
[…] Si potrebbe quasi dire che la tv diminuisce le difficoltà della lettura. Intanto, perché crea (e sia pure a un livello discretamente basso) una specie di unità nazionale della lingua, e aiuta l’orecchio del bambino a superare l’ostacolo delle profonde differenze tra il dialetto nativo e materno e la lingua scolastica. Poi, perché rende familiari, attraverso il suono e l’immagine, un certo numero di parole ‘difficili’, di quelle davanti a cui i piccoli lettori incespicano inevitabilmente; e forse oggi incespicano meno di prima.
Psicologicamente poi, non mi pare che negare un divertimento, un’occupazione piacevole (o sentita come tale, che è lo stesso) sia il modo ideale di farne amare un’altra: sarà piuttosto il modo di gettare su quest’altra un’ombra di fastidio e di castigo.
In generale ogni cosa che viene proibita diventa automaticamente “affascinante” per i più piccoli. Quindi inutile demonizzare i comics per indirizzarli a leggere i libri, anche in questo caso vale la pena valutarli come strumenti complementari.
[…] Conosco filosofi che almeno una volta la settimana leggono un libro giallo. Eppure non si può mettere in dubbio che la loro passione dominante sia la filosofia. Conosco ragazzi che leggono molto e coltivano, con la mano sinistra, anche l’orticello dei fumetti. Ciò vuol dire, secondo me, che non c’è rapporto di causa ed effetto tra la passione per i fumetti e l’assenza d’interesse per le buone letture. Questo interesse evidentemente deve nascere da qualche altra parte, dove le radici dei fumetti non arrivano.
I confronti fra generazioni sono inevitabilmente sempre fuorvianti, e inefficaci per trasmettere qualcosa ai più giovani.
[…] ‘Una volta si leggeva di più. Una volta quando? Cent’anni fa, quando sessanta italiani su cento non sapevano leggere? Venti anni fa, quando avevamo ancora una decina di milioni di analfabeti? Chi leggeva di più? Quanti erano? Forse leggevano i ragazzi della buona borghesia, o piuttosto alcuni di loro: una piccola minoranza di una minoranza.
Ci sono le cifre, a smentire i genitori che portano continuamente se stessi a esempio alla loro prole: le cifre della scolarizzazione, le statistiche della editoria, le case editrici in aumento, le tirature che salgono. […] Non si può chiedere ai ragazzi di amare il passato, un passato che non è il loro: e quando si ottiene di far identificare i libri col passato altrui, come cosa che non fa parte della loro vita, ma che bisogna ficcarci dentro ‘per far piacere a papà e mamma’, s’è creato un motivo di più perché i ragazzi, appena possono, si tengano lontano dai libri.
‘I bambini di oggi hanno troppe distrazioni, ecco perché leggono poco’. Mettersi da questo punto di vista è indispensabile per chi non voglia capirne nulla dei bambini di oggi, e proponga tra l’altro di non riuscire a farli diventare amici dei libri.
Uno dei drammi dell’infanzia d’oggi (e non solo dell’infanzia) riguarda appunto l’organizzazione del tempo libero. Quello che noi chiamiamo ‘tempo libero’, se non ha un’adeguata organizzazione, non è che ‘tempo vuoto’, tempo sprecato. Pensiamo alle nostre città, dove non ci sono spazi per giocare, non ci sono teatri per bambini, non ci sono biblioteche, e cosi via.Pensiamo alle nostre case cittadine, dove non c’è posto per la stanza dei bambini. Pensiamo alle campagne, dove il bambino o vagabonda per i prati (beato lui), o viene messo precocemente al lavoro. I paragoni sono sempre odiosi, e perciò sono utili: bisogna farli proprio perché il pregiudizio li vieta, perché dai paragoni può nascere la critica e l’agitazione.
In questo caso Rodari pone un paragone con l’allora esistente Unione Sovietica (dove peraltro è da sempre molto apprezzato):
[…] il tempo libero dei ragazzi in Urss è infinitamente più curato e organizzato che in Italia. Le ‘case dei pionieri’ non sono che un elemento di quell’organizzazione, nella quale i ragazzi trovano la scelta tra numerosissime occupazioni, creative o ricreative, scientifiche o giocose, e via dicendo. Un ragazzo sovietico ha tante piú occasioni e possibilità di dedicarsi a qualche attività extrascolastica che verrebbe quasi da dubitare che la sua giornata sia troppo occupata.
Questo però non toglie che nell’Urss vi sia una rete vastissima e capillare di biblioteche infantili e giovanili, e chi le ha visitate le ha trovate ogni volta, a ogni ora del giorno, affollate, di giovani lettori, ha visto libri consunti dall’uso sugli scaffali, s’è reso conto che i ragazzi sovietici conoscono i nomi dei loro autori per l’infanzia quanto i nostri conoscono quelli dei calciatori.
Insomma, più distrazioni e più libri. È possibile? Non è possibile: è un fatto. E questo non dipende dal numero e dalla qualità delle distrazioni (ossia delle occupazioni più libere, e perciò più amate, e perciò più ricche di efficacia educativa). Dipende dal posto che il libro ha nella vita del paese, della società, della famiglia, della scuola.
Inutile sottolineare che incolpare un bambino dello scarso interesse verso la lettura non fa che peggiorare le cose, compreso lo stato d’animo del bimbo stesso. E anche su questo punto Rodari fa un’analisi ineccepibile.
[…] Riconosciamo, rovesciando in parte un ragionamento precedente, che i bambini non leggono abbastanza, che le tirature potrebbero essere maggiori, che il boom del libro per ragazzi è ancora di là da venire. Se cerchiamo dei perché un po’ meno comodi dell’accusa prepotente che si rivolge ai bambini, troviamo colpe di genitori: vi sono troppe case in cui non entra mai un libro, vi sono migliaia di laureati senza biblioteca, ci sono tanti padri che non leggono nemmeno il giornale, e poi si meravigliano se i figli fanno come loro. Vi sono colpe pubbliche: della scuola e dello Stato; e vi sono le colpe della nostra cultura, sempre troppo aristocratica per porsi dei compiti pedagogici.
Leggiamo sui giornali brillanti articoli di brillanti e colti personaggi che deridono il pubblico che compra a dispense la Divina Commedia, o una delle tante enciclopedie a puntate. Forse rimpiangono il tempo in cui a puntate si compravano solo i romanzi di Carolina Invernizio.
In America, in Inghilterra, in Russia, i professori universitari non disdegnano di scrivere opere di divulgazione scientifica rivolte ai ragazzi: da noi i divulgatori di qualità si contano ancora su mezza mano.Piú in generale, non c’è una presa di coscienza collettiva della società adulta nei confronti della società infantile. Nel campo dell’editoria per ragazzi il criterio commerciale prevale tutt’ora sul criterio pedagogico: esiste quasi un collegamento tra le punte avanzate della pedagogia e gli editori, per i quali ‘educativo’ è generalmente ancora sinonimo di ‘noioso’.
Accusato come il solo responsabile d’una situazione complessa, e ancor più complicata dalla crisi degli ideali educativi fino a ieri pacificamente accettati, il bambino reagisce come può: scappando in cortile a giocare, o nascondendo sotto il cuscino il suo caro albo a fumetti.
Quante volte a scuola ci è stato imposto di leggere tot capitoli del libro come compito a casa? O di farne riassunti, o di copiarne addirittura parti intere? Secondo Rodari, questo è il metodo peggiore per invogliare un bambino alla lettura.
[…] Prendete un bel raccontino di Tolstoj, condannate uno scolaretto ad analizzare nomi e pronomi, verbi e avverbi, e vi dò per certo che, vita natural durante, egli assocerà il nome di Tolstoj a una viscerale sensazione di fastidio che lo terrà lontano da Anna Karenina come dalla peste e gli farà schivare Guerra e pace come schiverebbe un nugolo di tafani.
La trasformazione del libro in uno strumento di fatica prosegue e s’intensifica attraverso le varie fasi del riassumere, del mandare a memoria, del descrivere le illustrazioni, ecc. Tutti questi esercizi moltiplicano le difficoltà della lettura, anziché agevolarle, fanno del libro un pretesto togliendogli ogni capacità di divertire, se originariamente ne possedeva, di commuovere se ne era capace, d’interessare se era concepito per interessare.
La lettura non è più un fine da perseguire lodevolmente, ma un mezzo per attività piú serie, o presunte tali. Ciò corrisponde perfettamente alla concezione del bambino come mezzo: sia il fine il voto, la pagella, I’addestramento alla pazienza, la preparazione alla vita. Chissà quale preparazione a quale vita: presumibilmente alla vita concepita come una sofferenza, per la quale bisogna essere allenati.
I bambini amano farsi leggere le storie da mamme, papà, spesso anche dagli insegnanti; è proprio attraverso la voce di queste persone, soprattutto quando il bambino non sa ancora leggere autonomamente, che si crea quello che Rodari chiama “lessico familiare”, che lo porta in una dimensione di intimità, di comfort, in cui si senta pienamente a suo agio.
[…] Si tratti delle novelle di Andersen o della vita degli insetti, di Pinocchio o di Verne, e magari, eccezionalmente, di Paperino e Paperon de’ Paperoni, quel che conta nella lettura comune non muta la sostanza: è la promozione del libro da mero oggetto di carta stampata a intermediario affettuoso, a momento della vita.
Ci vuol pazienza, per questo. Ci vuole anche abilità: bisogna saper leggere con espressione, o sforzarsi di farlo; bisogna anche saper tradurre, perché non sempre il vocabolario scritto corrisponde a quello d’una perfetta lettura, e non sempre gli scrittori scrivono chiaro, o pensano al lettore prima d’adoperare un termine inconsueto, una parola aulica, un vezzo letterario fine a se stesso.
Gli adulti non leggono libri che gli sono stati “imposti”, o a caso: scelgono, in base al titolo, all’argomento, a qualunque cosa trovino attraente del libro stesso. E la stessa possibilità deve essere lasciata ai bambini.
Noi non leggiamo il primo libro che ci capita per le mani. Ci piace scegliere. Raramente, invece, al bambino è offerta una scelta sufficiente. Gli regaliamo un libro di favole, lo mette da parte: ne concludiamo che non gli piacciono le favole, mentre può darsi che in quel periodo abbia semplicemente altri interessi. Ecco perché la bibliotechina, personale o collettiva, è indispensabile. […] S’intende che dietro una bibliotechina ci deve essere un delicato lavoro di aggiornamento, una riflessione attenta, una sensibilità vigile. Non si ottiene niente per niente, né dalla natura né dai bambini. Ma qui entrerei, senza volerlo, nella serie delle indicazioni dette positive, mentre mi sono assunto il compito di elencare alcuni metodi negativi (nella speranza, certo, che l’elencazione stessa suggerisca qualche antidoto).
Sulla scia di quanto detto nei punti precedenti, Rodari conclude la sua analisi con il punto forse più importante: obbligare un ragazzo a leggere lo allontanerà quanto più possibile dalla lettura.
[…] Si prende un ragazzo, si prende un libro, li si mettono entrambi a tavolino e si proibisce che il terzetto si divida prima d’una certa ora. A maggior garanzia che l’operazione riesca,si annunzia al ragazzo che al termine del tempo prescritto dovrà riassumere a voce le pagine lette. Le applicazioni scolastiche sono anche più semplici. Non c’è che da dire: ‘Leggete da qui fin qui’, e l’ordine sarà senz’altro eseguito, anche con la complicità dei genitori.
Sia dall’uno che dall’altro esperimento il ragazzo ricaverà per suo conto una lezione che non dimenticherà: e cioè, che leggere è una di quelle cose che bisogna fare perché i grandi la comandano, uno di quei mali inevitabili, collegati con l’esercizio dell’autorità da parte degli adulti. Ma appena saremo grandi anche noi, appena saremo adulti a nostra volta, appena saremo liberi…
A giudicare a posteriori, cioè dal numero degli adulti legalmente alfabetizzati che, una volta usciti dalla minore età, non leggono più un rigo, questo dev’essere, di tutti i sistemi, il più diffuso.[…] Ma l’amore per la lettura non è una tecnica, è qualcosa assai di più interiore legato alla vita, e a scapaccioni (veri o metaforici) non s’impara.
Giornalista, rockettara, animalista, book addicted, vivo il "qui e ora" come il Wing Chun mi insegna, scrivo da quando ho memoria, amo Barcellona e la Union Jack.
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