L'amore che mi resta: "Quando tua figlia sceglie di suicidarsi"
Conosciamo Michela Marzano, autrice di L'amore che mi resta, uno struggente romanzo sulla tragedia ma anche sulla speranza che non muore mai.
Conosciamo Michela Marzano, autrice di L'amore che mi resta, uno struggente romanzo sulla tragedia ma anche sulla speranza che non muore mai.
Quando Michela Marzano, 20 anni fa, ha tentato il suicidio non si è chiesta cosa ne sarebbe stato, non solo della sua vita, ma anche di quella di sua madre e delle persone attorno a lei.
Ma Michela non è morta, si è risvegliata dal coma e, negli anni, ha pensato a cosa sarebbe accaduto se…
Nasce così, L’amore che mi resta, il nuovo struggente, doloroso, toccante romanzo di Michela Marzano edito da Einaudi, che è davvero in grado di coinvolgere tutte le corde dell’anima, di scardinare, con una sensibilità fuori dal comune, tutte le paure più intime dell’animo umano, di toccarlo nei suoi punti più vulnerabili con una delicatezza, tuttavia, davvero sorprendente. È una storia, quella di Daria, madre sopravvissuta alla figlia, che sfiora esattamente tutte le sfumature del dolore e che nonostante tutto, paradossalmente, porta con sé ancora un briciolo di speranza; il fatto, però, che il focus del libro sia il rapporto tra una madre e una figlia, e la sua vita seguente al suicidio di quest’ultima, non lo rende esclusivamente un romanzo sulla genitorialità e sulla tragedia, ma la descrizione precisa e commovente di una sofferenza immanente all’essere umano stesso, una sofferenza che è intimamente collegata alla nostra stessa natura.
Michela, professore ordinario di filosofia morale all’Università Paris Descartes, editorialista de La Repubblica, ci parla de L’amore che mi resta mentre è impegnata in un tour in giro per il paese che la porta, regione dopo regione, di libreria in libreria, a presentare questo suo nuovo lavoro, pubblicato il 4 aprile e giunto dopo Volevo essere una farfalla (2011), L’amore è tutto: è tutto ciò che so dell’amore , Premio Bancarella 2014 e Papà, mamma e gender (2015).
La sera in cui Giada si ammazza, Daria precipita in una sofferenza che nutre con devozione religiosa, perché è tutto ciò che le resta della figlia. Una sofferenza che la letteratura non deve aver paura di affrontare. Per questo siamo disposti a seguire Daria nel suo buio, dove neanche il marito e l’altro figlio riescono ad aiutarla; davanti allo scandalo di una simile perdita, ricominciare a vivere sembra un sacrilegio. Daria si barrica dietro i ricordi: quando non riusciva ad avere bambini e ne voleva uno a ogni costo, quando finalmente ha adottato Giada e il mondo “si è aggiustato”, quando credeva di essere una mamma perfetta e che l’amore curasse ogni ferita.
Quello del libro è un tema talmente delicato, e scavato talmente a fondo, che è impossibile non domandarsi come sia riuscita ad affrontarlo così nettamente. Insomma, è autobiografico?
Per anni mi sono chiesta cosa sarebbe successo a mia madre se, quella notte di ormai vent’anni fa, invece di risvegliarmi dopo molte ore di coma, fossi morta. Era la fine degli anni Novanta, il 1997, come racconto in Volevo essere una farfalla, e non ce la facevo proprio a riemergere dalle tenebre in cui ero lentamente precipitata. Dimenticando completamente che, se fossi morta suicida come avevo scelto, non avrei distrutto solo me, ma anche mia madre. Mi ci è voluto molto tempo prima di realizzare che, se quella notte me ne fossi andata via, forse nemmeno mamma ce l’avrebbe fatta.
Da lì ha, dal quel momento di depressione che l’ha spinta quasi nel baratro, l’input per scrivere L’amore che mi resta.
La storia di Daria e di Giada, una madre e una figlia appunto, è nata così. Prima di diventare un romanzo non più, e non solo, sulla perdita, ma anche, e forse soprattutto, sull’amore e sulla maternità.
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Ma non è stato difficile trovare le parole per descrivere il senso di vuoto, l’assenza?
Certamente, d’altronde anche il punto di partenza è complicato: non esiste un termine per qualificare un genitore dopo la perdita di un figlio. In tutte le lingue non esiste una parola capace di definirci, dice il padre di Giada. Si perde un genitore e si è orfani, si perde un marito o una moglie e si è vedovi, ma quando si perde un figlio o una figlia non c’è modo per nominarci.
Oltre a ciò dovevo poi riuscire a diventare madre, una madre che ha perso una figlia: ho partecipato a numerosi incontri con gruppi di aiuto per andare il più vicino possibile al dolore di padri, madri, fratelli, sorelle… e per riuscire così a trovare, pian piano, le parole capaci di raccontare la varie fasi del lutto, dallo sgomento alla de-negazione, dalla rabbia alla disperazione, e poi, progressivamente, lo spostamento verso la scoperta di quell’amore che resta ed è presente nei ricordi.
L’amore che mi resta è disponibile su Amazon, anche in formato Kindle, a questo link.
Giornalista, rockettara, animalista, book addicted, vivo il "qui e ora" come il Wing Chun mi insegna, scrivo da quando ho memoria, amo Barcellona e la Union Jack.
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