Elsa Morante: l'artista, la femminista e quei giochi erotici con Luchino Visconti
Elsa Morante e la sua vita vissuta fra genio, desiderio di normalità ma soprattutto nella ricerca spasmodica del piacere, anche fisico.
Elsa Morante e la sua vita vissuta fra genio, desiderio di normalità ma soprattutto nella ricerca spasmodica del piacere, anche fisico.
Pensi a Elsa Morante e pensi ai suoi capolavori, all’Isola di Arturo, a La Storia, al suo lavoro di scrittrice ma anche di autrice per il cinema (partecipò come aiuto-regista non accreditata alla realizzazione de Il Vangelo secondo Matteo, dell’amico Pierpaolo Pasolini); la pensi come moglie di Alberto Moravia, con cui formava una coppia di cultura e di intelletto, come a una donna, la prima a vincere il Premio Strega, capace di dare un ruolo e un volto al genere femminile nella storia culturale italiana.
Eppure la romana Elsa, nata nel 1912 a Testaccio, fu molto più di tutto questo: fu una donna piena di passione, bruciante di desiderio, alla ricerca perpetua di un appagamento sessuale che sarebbe stata la sola cosa capace di darle anche la pace spirituale, una che, in barba alle convenzioni del suo mondo e della sua epoca, se ne fregava delle chiacchiere e dei pettegolezzi e viveva la sua vita, l’amore, il sesso, a tutto tondo.
La sua vita, del resto, fin dalla nascita è stata caratterizzata da un tipo di amore “diverso”, illegittimo, scandaloso, e forse Elsa ha conservato in sé l’eredità di una madre che, come lei, se ne infischiava delle buone maniere e della sacralità delle istituzioni per inseguire il piacere.
Elsa e i tre fratelli, Aldo, Marcello, Maria (un primo fratello, Mario, morì in fasce prima che lei nascesse) erano figli di Francesco Lo Monaco, un impiegato delle poste con cui la madre, Irma Poggibonsi, una maestra di origine ebraica, aveva una lunga relazione extraconiugale. Nonostante ciò, Augusto Morante riconobbe tutti i figli illegittimi, mentre il padre naturale di Elsa si tolse la vita nel 1943.
Elsa si porta dentro sin da bambina la “vergogna” della nascita, ma ancor più detesta ferocemente il padre “legale”, che faceva l’agente in un istituto di correzione minorile, brutto, livido e gobbo, oltre che marito tradito e sbeffeggiato, che vorrebbe prendersi una “rivincita” con la figlia. E lei prima quasi gli dà spago, poi lo respinge con furia, come raccontò anni più tardi quando, ricoverata nella stanza 127 di Villa Margherita a Roma dopo un tentativo di suicidio, conobbe Jean-Noël Schifano, che diventò il suo confidente più prezioso e fidato degli ultimi anni, e che su di lei scrive E.M. o La Divina Barbara. Romanzo confidenziale non finito.
Proprio a lui Elsa racconta dei tentativi della madre di “redimere” la bimba nata fuori dal matrimonio facendola battezzare, e dell’influenza del senso di colpa latente che incombe, crescendo, anche su di lei; del suo sforzo disperato per ricondurre la sua vita sui binari di un’esistenza “borghese” , come sarebbe dovuta essere fin da principio. Cosa che sembra concretizzarsi quando, nel 1941, sposa nella Chiesa del Gesù, officiante padre Tacchi Venturi, lo scrittore Alberto Moravia.
Per mezzo del pittore Giuseppe Capogrossi, nel 1936 Elsa Morante conosce lo scrittore Alberto Moravia, che sposa il 14 aprile 1941; insieme incontrano e frequentano i massimi scrittori e intellettuali italiani del tempo, tra cui Pier Paolo Pasolini (con il quale Elsa rimase a lungo in amicizia, prima del loro definitivo allontanamento, avvenuto intorno al 1971), Umberto Saba, Attilio Bertolucci, Giorgio Bassani, Sandro Penna, Enzo Siciliano.
Nel frattempo, per mezzo di Natalia Ginzburg, Elsa pubblica il suo primo romanzo, Menzogna e sortilegio, nel 1948, edito da Einaudi. Lei, che fin da ragazzina si era dilettata con filastrocche e poesie per bambini, vince grazie a quel libro il Premio Viareggio, condividendolo con Aldo Palazzeschi.
Durante la seconda guerra mondiale, per sfuggire alle rappresaglie dei nazisti, Elsa e Moravia lasciano Roma ormai occupata, e si rifugiano a Fondi, un paesino in provincia di Latina, a pochi chilometri dal mare. Questi luoghi compariranno di frequente nelle opere narrative successive dei due scrittori; Elsa Morante ne parla soprattutto ne La Storia.
Jean-Noël Schifano, dicevamo: lui entrò per la prima volta nella sua vita nel 1983, mentre Elsa si trovava ricoverata in seguito al tentativo di suicidio, fatto perché aveva scoperto di essere gravemente ammalata. Lui era un giovane timoroso che si era presentato con la traduzione francese di Aracoeli, l’ultimo lavoro della scrittrice uscito nel 1982, su cui aveva lavorato per più di un anno.
Ero giovane, terrorizzato da quel mostro sacro – raccontò Schifano in una testimonianza riportata da Dagospia – Avevo letto tutti i suoi libri, provavo per lei un’ammirazione sperticata, una devozione totale.
Lei gli promise subito che non avrebbe concesso interviste, ma fece molto di più: gli diede la sua amicizia, la sua fiducia, affidandogli tutti i suoi ricordi più cari, raccontandogli persino quei pezzi di vita che forse aveva riservato a pochissimi fino a quel momento. Le raccontò dei due padri, ad esempio, e dell’ardente passione con Visconti, ma anche di come sapesse della relazione del marito Alberto con Carmen Llera.
Schifano le rimase vicino fino al giorno della sua morte, il 25 novembre 1985.
Questi i romanzi più famosi di Elsa Morante:
Giornalista, rockettara, animalista, book addicted, vivo il "qui e ora" come il Wing Chun mi insegna, scrivo da quando ho memoria, amo Barcellona e la Union Jack.
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