"A nessuno frega un ca*zo di una donna nera trans": INTERVISTA a James Hannaham

Dopo 21 anni in un carcere maschile, Carlotta, donna nera trans, torna alla "libertà" e si ritrova di fronte una New York (quasi) completamente cambiata, intrisa di pregiudizi e discriminazioni. È il punto di partenza di "A nessuno è fregato un caz*o di cosa è successo a Carlotta" di James Hannaham, finalmente giunto in Italia grazie a Edizioni Clichy e inserito, nel 2022, tra i cento migliori libri dell'anno selezionati dalla New York Times Book Review. Per conoscerla meglio, ne abbiamo parlato direttamente con il suo autore, newyorkese, queer e vincitore, tra gli altri, del PEN/Faulkner Award.

Dopo 21 anni in un carcere maschile, Carlotta, donna nera trans, torna alla “libertà” e si ritrova di fronte una New York (quasi) completamente cambiata, intrisa di pregiudizi e discriminazioni.

È il punto di partenza di A nessuno è fregato un caz*o di cosa è successo a Carlotta di James Hannaham, finalmente giunto in Italia grazie a Edizioni Clichy e inserito, nel 2022, tra i cento migliori libri dell’anno selezionati dalla New York Times Book Review.

Quello di Hannaham – newyorkese, queer e vincitore, tra gli altri, del PEN/Faulkner Award – è un romanzo intenso, crudo, affastellato e, seppur intriso di dolore, anche divertente e ironico, complesso tanto nel contenuto quanto nella forma, ma, al contempo, immediato e cristallino nel messaggio che intende veicolare.

Dopo due decenni trascorsi nella prigione di Ithaca, infatti, Carlotta Mercedes viene riconsegnata alla vita con un carico ingombrante di sofferenza e disillusioni, ma anche di entusiasmo, ed è pronta a riabbracciare figlio, famiglia e amici. I quali, però, la accolgono in modo scostante, spesso spaesato – soprattutto per la sua “nuova condizione” di donna nera trans -, e non sempre posseggono le parole giuste per accudirla e farla sentire compresa.

La vita di Carlotta, prima, dopo e durante il carcere, è, dunque, ricolma di episodi di violenza e ingiustizia: un dolore di cui risente anche lo stile del romanzo, che presenta un ritmo incalzante, a volte claustrofobico, con il suo alternarsi di chiaroscuri, toni e registri e il suo eludere le regole grammaticali standard e convenzionali.

Proprio come Carlotta, anticonvenzionale per eccellenza e alla ricerca di un posto nel mondo che non la discrimini e la accetti esattamente per quello che è. Per conoscerla meglio, ne abbiamo parlato con il suo autore, James Hannaham.

Chi è e chi impersona Carlotta? E da dove è nata l’esigenza di tratteggiare un personaggio come lei?

Non ho basato Carlotta su nessuna persona esistente: è più come la manifestazione di una voce che a volte sento nella mia testa, o che uso per essere sfacciato con le persone. Ma la voce e il soggetto si sono incontrati al momento giusto nella mia ricerca. Sono rimasto inorridito quando ho letto del tipo di trattamento che le persone LGBTQIA+ e, in particolare, le persone trans ricevono in prigione – oltre al fatto di essere semplicemente in prigione: incomprese, maltrattate, violentate etc. E questa voce nella mia testa sentiva che avrebbe potuto “giocare la parte ” di Carlotta a patto di non rovinare tutto: doveva solo passare dall’essere una voce nella mia testa a qualcosa di più simile a un personaggio immaginario credibile.

Senza entrare nel dettaglio – perché so che è “un po’ stufo di questa domanda” – quali sono state le fasi principali della sua ricerca? Ha avuto accesso a tutte le informazioni che voleva sottoporre a disamina?

Sembra che lei pensi che io sia così organizzato! La mia ricerca ha delle “fasi”? Che lusinghiero. Il germe del libro era il desiderio di scrivere del quartiere in cui vivo e di quanto è cambiato negli ultimi 50 anni circa. Dato che è il quartiere in cui la famiglia di mio padre ha vissuto per tutto questo tempo (e continua a farlo!), pensavo di avere una conoscenza unica di Fort Greene, che avrei potuto usare a mio vantaggio con un argomento esagerato come New York City. Tutto il resto era solo il mio modo di giustificare il mio interesse per come le cose sono cambiate e il mio sforzo di trasformarlo in una storia che possa interessare ad altre persone. Non ho potuto fare alcuna ricerca nelle carceri reali, ma ho letto tutto ciò su cui ho potuto mettere le mani. Romanzi, opere teatrali, guide alla vita carceraria, opuscoli di studi condotti da organizzazioni no-profit. Letteralmente tutto. In definitiva, però, questo è un libro sulla recidiva, sul ritorno dal carcere, non sulla vita carceraria in sé: come le basi classiche della storia, la prigione è una sorta di battaglia che avviene “dietro le quinte”. Le persone potrebbero trovare duri alcuni dettagli che ho incluso, ma sono certo che sono molto meno orribili delle cose che realmente accadono nelle carceri.

La vicenda è narrata mediante un continuo alternarsi di prima e terza persona: una scelta anticonvenzionale, un po’ come risulta essere Carlotta, soprattutto per una certa parte della società. Perché questa scelta? È stata intenzionale fin dall’inizio o è emersa durante la stesura del romanzo?

Volevo che Carlotta avesse la voce più importante nella storia, ma c’era un tipo di analisi e osservazione che pensavo dovessero provenire da qualche altra parte per essere credibili. Nonostante tutta la sua intelligenza e sfrontatezza, Carlotta è ancora terribilmente ingenua su alcune cose, quindi farla essere troppo analitica o distaccata dalla sua esperienza non avrebbe funzionato; non è nemmeno affatto politicizzata. Quindi, per includere non solo la sua voce ma anche una prospettiva sulla sua situazione, avevo bisogno di un altro livello. Ma non volevo che la voce di quello strato sembrasse disprezzarla, nello stesso modo in cui tutto il resto della sua vita la guardava dall’alto in basso. Volevo che la sua voce fosse intelligente, attenta e divertente come quella del narratore in terza persona, forse anche di più, su cose diverse, e sentivo che poteva dire alcune cose in un modo più immediato, scattante, da strada.

Che cosa le hanno insegnato Carlotta e il suo modo di affrontare le difficoltà? In generale, personaggi fittizi – soprattutto quelli che, come Carlotta, soffrono violenze indicibili – possono veicolare qualche lezione al lettore, dal suo punto di vista?

Cerco di non essere didattico al riguardo, ma voglio che le persone vengano cambiate dalla letteratura, come lo sono stato io. Anche solo facendo ricerche e scrivendo il libro, sono diventato una persona più istruita sul sistema carcerario e sul trattamento delle persone LGBTQIA+ in carcere rispetto a prima. Ciò ha due effetti, si spera. Uno è dire al grande pubblico che le informazioni sono là fuori, che anche tu puoi e dovresti esserne consapevole. Ma, soprattutto, il libro è una rosa che ho voluto regalare a chi si trova in situazioni tipo Carlotta, per dire che con questa capacità di narrazione che ho, ho scelto di metterti in risalto, della serie: “Sto facendo la mia parte per aiutarti a metterti al centro e far luce sulla tua vita, perché non ci vedo separati”. Le persone che ci odiano e vogliono metterci a tacere ci odiano TUTTI: non ci inseriscono in piccole microcategorie e dicono “Resta nella tua corsia”. Sto anche cercando di dirti che “Voglio che anche tu scriva un libro”.

A questo proposito, come hanno reagito le persone cui il libro è dedicato alla storia di Carlotta? E che cosa le hanno riferito, dopo averlo letto?

Un mio collega è riuscito a procurare una copia del libro a Kwaneta Harris, una scrittrice detenuta in una prigione del Texas che aveva trascorso molto tempo in isolamento. Le è piaciuto molto e lo ha letto ad altre persone in solitaria, e loro sono “scattate”: è stato così commovente quello che mi ha riferito in relazione ai commenti riguardo al libro. Ho, così, avviato una corrispondenza con Kwaneta e come risultato è nato questo articolo. Tra i commenti che mi hanno completamente distrutto, c’è il seguente: “Non sapevo che potessi descrivere come stiamo in un libro!”. E, per quanto fossi entusiasta di imparare il gergo carcerario e di usarlo nel libro, non mi è mai venuto in mente che avrei potuto contribuire con una parola in codice (“Dave”), che avrebbero, poi, usato per proteggersi a vicenda dagli abusi. Sono stato davvero grato che abbiano riconosciuto il rispetto, l’umanità e l’umorismo su cui il libro insiste per loro, perché sapevo che stavo correndo un rischio. Da allora, ho donato molte copie gratuite di Carlotta a un’organizzazione chiamata LGBT Books To Prisoners. È stato un bellissimo promemoria del perché faccio quello che faccio: non sono qui fuori cercando di attirare l’attenzione su di me, ma voglio nutrire il senso di sé di qualcun altro, vederli correttamente e dire “Sì, sei importante”.

Ithaca non è l’unica prigione in cui si trova Carlotta: possiamo davvero parlare di libertà, in un mondo soggiogato da discriminazioni sistemiche di genere, razziste, abiliste e affini? In questo senso, quali sono le sue azioni quotidiane di rivoluzione?

Sarà meglio parlarne se vogliamo conservare la libertà che abbiamo e guadagnare terreno. Carlotta torna a ciò che considera libertà e scopre che le persone libere si stanno imprigionando in molti modi che non avrebbe mai immaginato, e ora deve negoziare con questo. In un sistema di tale sottomissione e discriminazione, vivere apertamente e sinceramente è un modo per reagire. Potrebbe non sembrare così quando sto scaricando la lavastoviglie, ma la mia vita queer nera, il mio matrimonio interrazziale, queste cose sono ovviamente minacciose per alcune persone. Se solo sapessero quanto mi sto divertendo! No, probabilmente questo li avrebbe fatti arrabbiare ancora di più. Forse è proprio così: il modo in cui godo della mia vita e la mia capacità di aver fatto qualcosa di me stesso, nonostante quelli che loro chiamano “intoppi”, è una rivoluzione costante. Ma è anche una festa. Una rivoluzione che non può divertirsi e ridere di se stessa non è la mia rivoluzione.

Di fronte a una New York totalmente cambiata, Carlotta esperisce una sensazione di estraniamento e confusione: lei si è mai sentito così, nella sua città?

Non è cambiata del tutto! Ricordate, il treno C è eterno. Anche se hanno aggiornato molto la linea A C E dal 2015. E no, non ho vissuto lo stesso shock di allontanamento di Carlotta. Spesso mi sento più patriottico nei confronti di Brooklyn che del resto del paese. Il cambiamento a cui ho assistito qui nello stesso periodo è stato molto graduale e non del tutto tragico. La mia città è uno dei pochi posti negli Stati Uniti in cui non mi sento estraneo o confuso.

A proposito di estraniamento, quale sarebbe stato il commento di Carlotta dopo la rielezione di Trump?

Carlotta non sa molto di politica; a un certo punto sbaglia il nome di Giuliani e non si accorge che il giorno in cui esce per la seconda volta è il primo giorno del primo mandato di Trump. Non è consapevole che lui e i suoi simili sono determinati a togliere i diritti alle persone trans e a usare la transfobia per radunare la loro base. Potrebbe aver bisogno di fare i conti con questo ad un certo punto, e forse ora sarebbe il momento giusto per farlo! Ma volevo evitare di usarla come portavoce del linguaggio attivista standard e lasciare invece che la sua vita sostituisse tutto ciò che altrimenti avrei voluto gridare alla gente. Voglio dire, come convinci le persone che potrebbero non voler ascoltare? Racconta loro una bella storia!

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