Nel 1971 Erin Pizzey fondò a Londra la prima casa rifugio per donne, la Chiswick Women’s Aid. Fino a quel momento la violenza domestica non era stato un argomento da prima pagina, in Gran Bretagna e nel mondo. Parlarono di lei persino nel parlamento inglese, spiegando come il suo lavoro pionieristico avesse aperto gli occhi su un problema importante.

In un momento in cui la seconda ondata di femminismo si era ormai propagata globalmente, Erin Pizzey avrebbe potuto essere un’icona. Non andò così: nel suo saggio Prone to violence, del 1982, affermò che la donna era capace di violenza tanto quanto l’uomo, attirando l’inevitabile ira delle femministe, come racconta un vecchio articolo dell’Independent.

Dopo aver ricevuto minacce di morte e aver richiesto la protezione della polizia, Erin decise di abbandonare l’Inghilterra insieme al nuovo marito, uno psicologo americano di vent’anni più giovane. Vissero in Messico, alle isole Cayman e persino in Italia. Lei iniziò a scrivere romanzi erotici, facendosi aiutare dal compagno perché era dislessica, ma poi i soldi finirono.

Costretta a tornare in patria sul finire del secolo, senza soldi, tornò a parlare di quella che ormai sembrava essere la sua preoccupazione principale, ovvero lottare per gli uomini vittime di soprusi in famiglia. Improvvisamente i riflettori si riaccesero su di lei, perché nessuno prima di lei aveva sollevato il problema. E, in un certo senso, tornò a essere un’eroina, stavolta per i padri divorziati e una fetta di elettorato conservatore.

La chiave per comprendere Erin Pizzey è sicuramente nella sua stessa famiglia. Nata in Cina, figlia di un diplomatico irlandese, raccontò di essere stata picchiata a lungo dalla madre, quando era ancora bambina. “Mi picchiava usando il cavo del ferro da stiro. Lo faceva senza motivo, ma io capivo quando stava per succedere, perché il suo volto iniziava a contrarsi e appariva una macchia rossa sulla sua guancia”.

Nemmeno il padre era d’aiuto: era un uomo prepotente, che non faceva altro che lanciare cose e spegneva la sigaretta sul naso del cane. L’unico apparente piacere che provavano i suoi genitori era nel tormentarsi a vicenda. “Mio padre viveva in un abisso immaginario di povertà, mentre mia madre in una terrà irreale di ricchezza: erano destinati a non incontrarsi mai a metà strada”.

Erin non odiava sua madre, provava pietà per lei. Due giorni dopo la sua morte, se ne andò di casa – aveva solo diciassette anni – e non vide più nemmeno il padre, nonostante sia vissuto per altri venticinque anni. Tre anni dopo si sposò per la prima volta, con Jack Pizzey, perché era giovane e sperava di creare una casa piena di amore, come quella che lei non aveva avuto. Dopo aver avuto due figli, l’idillio familiare non era ancora arrivato, e fu così che decise di aprire il suo rifugio per le donne. Forse, però, nemmeno quello era bastato per colmare un vuoto di affetto che aveva radici molto più profonde.

Parlando al Guardian, nel 2001, Erin Pizzey disse che forse era stata fraintesa, riguardo alle sue affermazioni controverse. “Non sto dicendo che le donne sono violente quanto gli uomini. Il punto è che non si tratta di uomini o di donne, ma riguarda chiunque arrivi da un determinato background”. Alla giornalista che le ricordava i dati del tempo sul femminicidio in Inghilterra, ovvero una donna uccisa ogni tre giorni da un compagno, marito o ex, lei sembrava non voler credere.

Se vieni da una famiglia disfunzionale, violenta e che abusa di te sessualmente, come fai a imparare? Per questo la violenza domestica non è una questione di genere. Non possono essere solo gli uomini, perché anche noi ragazze – e io vengo da una di quelle famiglie – possiamo essere violente.

Negli anni si sono perse le tracce di Erin Pizzey e il romanzo bestseller che in ogni intervista continuava ad annunciare non è mai stato pubblicato. L’hanno bandita dallo stesso rifugio che aveva creato, ha avuto un cancro e vari problemi economici. Ha continuato a sostenere di non essere femminista e a sostenere il movimento per i diritti degli uomini.

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