Nadia Busato, Padania Blues: "Per le volte che siamo state Barbie e per chiederci scusa"

"Padania Blues" è una ballata dell'apparenza e della morte. Una storia di disamore e violenza inaudita che non sembra neppure tale, da quanto quella brutalità ci è entrata sotto pelle e ci viviamo immersi. Tutti. Soprattutto se sei donna. Peggio ancora se sei una donna che non sa stare al suo posto.

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L’Italia di cui parla Nadia Busato non è una Repubblica fondata sul lavoro, ma sullo sfruttamento al massimo del lavoro, sull’iperproduttivismo e sulla sua ipercapitalizzazione nelle mani di pochi.

Non è neppure Italia in realtà, non quella unita sulla carta almeno, ma solo una sua parte: la macroregione. Sovranista, machista, rassicurante, la macroregione è lo sfondo di “Padania blues”, edito da SEM: un “J’accuse” che Nadia Busato fa all’El Dorado del ricco Nord, che la scrittrice vive e conosce bene, usando il linguaggio della satira grottesca, arma tagliente e tutt’altro che innocua, come ben ci insegna la tradizione che “da Aristofane a Brecht, arriva ai fratelli Coen al cinema”.

“Padania Blues” è una sorta di ballata dell’apparenza e della morte, che mostra tutta la vacuità di quella promessa che sa un po’ di venghino, signori venghino, dove si fattura e gli attici si comprano a rate, dove c’è una possibilità per tutti e se non riesci è perché sei un fallito; venghino, signori, qui dove le televisioni scintillano e ti vendono la necessità di quello che non ti puoi permettere.
E venghino, pure le signore, beninteso, perché qui, nella macroregione, c’è posto persino per le donne, ché se non muori ammazzata, puoi sempre riuscire a farti sposare da qualcuno o a scappare con quello giusto, che ti apre le porte della celebrità e poi ciao, paesino, guarda cosa sono diventata, mi sono fatta da me.

È una storia atroce di disamore e violenza, quella che Busato strappa alle cronache reali di alcuni giornali locali e trasforma in una fiction in cui la fantasia non può avere più creatività della realtà: può però sezionare il substrato culturale e umano che scatena un grande incendio devastante e lascia un’unica testimone, Barbie, parrucchiera ventenne e bellissima, con la testa piena di sogni sbagliati.

Il sogno è preconfezionato e ha le sue regole e la diversità nella macroregione si paga.
Ha un prezzo tutto ciò che non è macho e male arreda la macroregione: come il migliore amico gay di Barbie o la coppia omosessuale da cui origina il dramma.
Ha un prezzo non imparare a stare al tuo posto, in una sorta morale dell’ostrica verghiana emigrata al Nord, in cui chi decide di scappare da Ogno o da qualsiasi altro piccolo paese della Pianura padana, come Barbie o suo padre, è destinato a essere travolto.

La macroregione, del resto, è il posto migliore dove vivere e morire, magari di cancro per i rifiuti tossici nascosti sotto la Brebemi dalla mafia, soffocati dai pm10 o avvelenati dal cromo nelle acqua, ma vuoi mettere che blues nel mezzo! Ah, il grande sogno padano! 

Padania Blues è soprattutto la storia di una donna con un nome da pupazzo, Barbie, cresciuta alla logica patriarcale e che prova a barattare l’unica moneta che ha, la sua avvenenza e il suo corpo, per un sogno vacuo e confuso, ma bello, direbbe lei. Tanto che, se potesse, quell’incendio devastante brillerebbe ancora e poi di nuovo, ancora. Sai te mai che prima o poi si riesca a scappare dal paesino e stare anche solo in un angolino di uno studio televisivo.

Padania Blues è la storia di più donne. L’amica di Barbie e la madre, entrambe alle prese con i loro matrimoni, ovvio, ma anche di tutte le donne che nella macroregione ci vivono dentro e, soprattutto, ce l’hanno dentro. Talmente sotto pelle che tutta la sua violenza maschilista non sembra poi così grave.
Non sempre, invece, dentro di loro trovano gli strumenti per metterne in discussione le contraddizioni e la brutalità che le rende, esse stesse, pupazze del patriarcato.

“Vorrebbe dire prenderne consapevolezza – dice la stessa Nadia Busato, durante questa intervista –, e chiedere scusa, a se stesse e alle altre donne”.

E allora quelle come Barbie – ognuna di noi almeno una volta nella vita – possono provare almeno a fare un patto con gli uomini e, soprattutto, con le donne che leggeranno questa storia:

E se invece sei donna, sai di cosa parlo. Conosci anche tu il peso del tuo corpo, soprattutto metaforicamente: come sei non va mai bene. Se sei donna il senso di inadeguatezza te lo spalmano addosso insieme alla pasta di zinco nelle prime settimane di vita; e non te lo togli più. Se sei una donna, sai di cosa parlo, non devo spiegartelo; ma non sono certa che tu possa davvero capirmi, o voglia farlo: è così raro che le donne stiano dalla parte delle donne. Qui intorno c’è solo una donna che sta dalla mia. E dice sempre che non serve a niente essere bella dentro se poi non entra nessuno.

Se sei una donna, magari sei una di quelle che da un posto come quello in cui vivo io se n’è andata e non è più tornata: se è così, se davvero te ne sei andata e ti è andata bene, benissimo, alla grande, be’, sappi che sarebbe carino che tu tornassi a dire a quelle come me che possiamo diventare anche noi come te, che abbiamo un’alternativa, che c’è un posto davvero migliore per noi. Se sei una donna che ce la sta facendo, non dovresti lasciarci indietro. Perché alla fine di tutto, non conta dove sei arrivata tu, ma se hai fatto strada ad altre donne.
(da “Padania Blues” di Nadia Busato, SEM Editore).

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Le ipocrisie e il finto perbenismo di un piccolo paese di campagna raccontati da Nadia Busato in un libro dalla trama avvicente, attraverso gli occhi di Barbie, una giovane solo apparentemente svampita.
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