Quella frase sull'"argomento donna" di Regina Jonas, la prima rabbina femmina
La storia della prima donna rabbina, nata in Germania e morta ad Auschwitz nel 1944: è stata uno dei punti di riferimento del pensiero femminista ebraico
La storia della prima donna rabbina, nata in Germania e morta ad Auschwitz nel 1944: è stata uno dei punti di riferimento del pensiero femminista ebraico
Si chiamava Regina Jonas, ma preferiva che tutti si rivolgessero a lei come Fräulein Rabbiner Jonas, e nel 1935 divenne la prima donna a essere ordinata rabbina. Il suo nome restò quasi sconosciuto fino a quando, dopo la caduta del muro di Berlino del 1991, l’accesso ad archivi e documenti precedentemente inaccessibili permise a molti studiosi di raccontare e ricordare la sua storia.
Sono così riemersi il suo certificato di ordinazione, il suo contratto con la comunità ebraica di Berlino, articoli di giornali, foto e corrispondenza privata che hanno permesso di far luce su una figura importante del Novecento. In Italia ci ha pensato Maria Teresa Milano, autrice della biografia Regina Jonas. Vita di una rabbina. Berlino 1902-Auschwitz 1944.
Nata a Berlino nel 1902, sembrava destinata a una carriera da insegnante, un percorso molto comune per le giovani donne del suo tempo. Lei, però, puntò da subito più in alto. Si iscrisse così alla Hochschule für die Wissenschaft des Judentums, la prestigiosa accademia berlinese dedicata agli studi sull’ebraismo, e seguì dei corsi per rabbini e insegnanti di religione non ortodossi.
Si laureò nel 1930 con una tesi intitolata proprio “Secondo le leggi ebraiche, le donne possono diventare rabbine?”: era già determinata a cambiare la storia. Dovette però attendere il 26 dicembre del 1935 per essere ordinata (privatamente) rabbina da Max Dienemann, rabbino liberale di Francoforte sul Meno. Altri, prima di lui, si erano rifiutati di farlo.
Il suo ruolo non fu immediatamente accettato da tutti e dovette lottare per conquistare la sua posizione sul pulpito nella capitale tedesca. Fortunatamente e forse a sorpresa, uno dei rabbini più influenti della città, l’ortodosso Felix Singermann, si congratulò con lei e le scrisse una lettera, rivolgendosi per la prima volta con l’appellativo Rabbinerin. Due anni dopo iniziò a prestare la sua opera nella comunità ebraica di Berlino.
Con il precipitare della situazione, la persecuzione nazista spinse molti rabbini a fuggire all’estero. Regina Jonas decise di restare e si trovò improvvisamente a colmare il vuoto lasciato da chi era riuscito a trovare rifugio altrove. Quando le SS le impedirono di predicare nella sinagoga, costringendo lei e molti altri ebrei ai lavori forzati nelle fabbriche, non si diede per vinta e continuò a sostenere la sua gente, cercando di tenere alto il morale.
Il 4 dicembre 1942 la obbligarono a consegnare al Reich tutti i suoi averi, compresi i libri. Pochi giorni dopo, la Gestapo procedette con l’arresto e Regina Jonas fu deportata a Theresienstadt, considerato il campo di concentramento “modello” dei tedeschi. Per due anni si occupò di accogliere gli ebrei che arrivavano con i treni, a cui cercava di offrire un sostegno spirituale e psicologico, aiutata dallo psicoanalista Viktor Frankl.
Lavorò senza sosta fino all’ottobre del 1944, quando lei e sua madre furono mandate ad Auschwitz, dove trovarono la morte nello stesso anno. Oltre alla tesi e a pochi altri scritti, non sono rimaste molte testimonianze dirette di Regina Jonas. Particolarmente toccante è pero un passaggio di una missiva spedita a una giornalista che le aveva chiesto perché avesse deciso, da donna, di diventare rabbina.
Spero che avvenga un tempo per tutti noi in cui non ci saranno più domande sull’“argomento donna”, poiché dove sorgono richieste di tal genere, la situazione non è sana.
Web content writer e traduttrice. Parlo poco, scrivo tanto e cito spesso Yeats.
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