Raichō Hiratsuka: la donna non è nata per servire l'uomo
La storia della scrittrice e attivista, figura di spicco del femminismo giapponese di inizio Novecento: lottò per l'emancipazione femminile
La storia della scrittrice e attivista, figura di spicco del femminismo giapponese di inizio Novecento: lottò per l'emancipazione femminile
“In principio, la donna era il sole. Una persona vera e autentica. Ora è la luna, una luna malata, succube, che riflette la luce”: con queste parole, la scrittrice giapponese Raichō Hiratsuka annunciò nel 1911 la pubblicazione di Seitō, la prima rivista giapponese scritta dalle donne per le donne.
Evocando l’immagine di un altro sole perduto e diventato luna, lanciò così il suo appello alla riscoperta della creatività e del potenziale femminile, in quegli anni soffocato da rigurgiti patriarcali.
La prima parte della sua autobiografia, tradotta in inglese come In the Beginning, Woman Was the Sun, racconta la storia di una giovane donna che non sembrava destinata a diventare una figura di spicco nel movimento femminista giapponese. Figlia di un ufficiale di alto rango del governo e di una donna benestante, nacque a Tokyo il 10 febbraio del 1886: la chiamarono Haru, nome che lei stessa decise di abbandonare nel 1911 per usare il nome de plume Raichō (uccello di tuono).
La sua vita sembrava già essere scritta: crebbe in un ambiente privilegiato e protetto, che la stava preparando per un matrimonio favorevole e una vita agiata, senza preoccupazioni. Fin da piccola, però, dimostrò un carattere forte e testardo. Studentessa brillante, durante il liceo iniziò a mostrare i primi segnali di insofferenza verso il mondo ovattato e protetto della borghesia nipponica. Spesso saltava persino le lezioni di moralità, in cui si spiegavano le virtù femminili, e insieme ad alcune compagne aveva creato il gruppo delle piratesse.
Nel 1903 riuscì a entrare nell’università femminile, nonostante il fermo rifiuto di suo padre. A quel tempo le donne giapponesi che riuscivano ad accedere a un’educazione superiore rappresentavano solo l’1% della popolazione. Raichō Hiratsuka promise al padre di seguire anche le lezioni di economia domestica e ottenne la sua vittoria: in realtà, si dedicò soprattutto alla filosofia e all’arte occidentale, mostrando grande interesse per la storia europea.
Quando si laureò, nel 1906, il Giappone aveva appena ottenuto una vittoria storica nella guerra contro la Russia: in epoca moderna, nessun altro paese asiatico aveva vinto contro l’Europa. A lungo isolata dal resto del mondo, la nazione nipponica si era trasformata in una potenza mondiale, divisa tra tradizione e industrializzazione. Raichō Hiratsuka fu testimone di questa vera e propria rivoluzione economica e culturale, che aveva come punto di riferimento i primi movimenti femministi in Inghilterra.
Un altro evento che contribuì a “suggerire” una nuova idea di donna fu la prima rappresentazione di Casa di bambola del drammaturgo norvegese Henrik Ibsen, in scena a Tokyo nel novembre del 1911. La scelta di Nora, la protagonista che abbandonava il marito che non l’aveva compresa fino in fondo, colpì profondamente le giapponesi e portò persino alla nascita di un neologismo che descriveva la “nuova donna”: atarashii onna. La stessa Raichō lo usò per descrivere se stessa.
Io sono una atarashii onna. Come atarashii onna noi abbiamo sempre insistito che le donne sono anche esseri umani. È una cosa nota a tutti che noi ci siamo opposte alla morale preesistente, e abbiamo fatto in modo che le donne avessero il diritto di esprimere se stesse come individui.
La decisione di fondare il giornale nacque dopo essere venuta a conoscenza della Blue Stockings Society, il circolo inglese in cui venivano discusse le tematiche legate all’emancipazione femminile. Seitō era infatti la traduzione giapponese di blue stocking, ovvero calze blu. Raichō spiegò poi nella sua autobiografia le sue ragioni, che si fondavano anche sulla sua fede buddhista.
Non stavo chiedendo una liberazione politica o sociale delle donne. Credevo piuttosto che le donne dovessero risvegliare la loro vera natura umana, seguendo una rivoluzione spirituale che puntava a una liberazione totale.
La rivista trattò anche argomenti considerati tabù, come la sessualità e l’aborto: ciò suscitò un grande successo tra i lettori, ma scatenò la censura statale, che portò alla chiusura del giornale nel 1915. Raichō Hiratsuka restò però l’intellettuale femminista giapponese di riferimento, professando la sua libertà anche nella vita privata. Si unì infatti all’artista Hiroshi Okumura, più giovane di lei, con cui ebbe due figli fuori dal matrimonio e che sposò solo nel 1941.
Per tutta la sua vita lottò per i diritti delle donne, dedicandosi in particolar modo alle lavoratrici del settore tessile. Durante la Seconda guerra mondiale, da lei vissuta con sgomento e orrore, dato che si professava pacifista, si ritirò in campagna con la famiglia e coltivò la terra per sopravvivere. Dopo il conflitto bellico tornò alla sua attività pubblica, supportando l’emancipazione femminile attraverso convegni, letture pubbliche e libri. Morì nel 1971, dopo una lunga vita di impegno civile.
Web content writer e traduttrice. Parlo poco, scrivo tanto e cito spesso Yeats.
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