"Alla nostra generazione condannata": leggiamo il testamento di Vera Brittain
Vera Brittain perse il fidanzato e il fratello durante la Prima guerra mondiale: la sua storia è quella di una generazione intera
Vera Brittain perse il fidanzato e il fratello durante la Prima guerra mondiale: la sua storia è quella di una generazione intera
“Quando scoppiò, la Grande Guerra non entrò nella mia vita come una tragedia di proporzioni straordinarie, ma piuttosto come un’esasperante interruzione dei miei progetti personali”. Inizia così Generazione perduta, il libro di memorie di Vera Brittain pubblicato per la prima volta nel 1933. Nel momento in cui l’orrore calò come un manto nero su tutta l’Europa, era ancora una giovane studentessa con tanti sogni e ambizioni, ma le fu presto chiaro che niente sarebbe stato più come prima.
Ci mise molti anni prima di raccontare la sua storia e lo fece con non poca pena: oggi le sue parole riecheggiano non solo tra le pagine, ma anche nel film del 2014 Testament of youth, interpretato da Alicia Vikander e ispirato proprio al libro di Vera Brittain. Arruolata come infermiera volontaria, fu testimone diretta della barbarie bellica, che le strappò l’affetto del fratello, del fidanzato e di altri amici.
Mi sono resa conto che soltanto provando a raccontare questa storia in termini di esperienza personale sarei riuscita a recuperare, dalla distruzione della mia stessa gioventù in guerra, qualcosa che potesse avere un valore, dei princìpi di verità, di speranza e di esempio per gli altri. È vero che per farlo dovrò rivolgermi a un passato di cui molti di noi sono ormai stanchi, preferendo guardare al futuro, ma è solo alla luce di quel passato che noi, la generazione distrutta che adesso è tornata alla ribalta della vita pubblica, la generazione che deve costruire il presente e tenta di forgiare il futuro, possiamo comprendere chi siamo e sperare di essere compresi da chi verrà dopo di noi. Ero certa che finché non avessi dato il mio contributo a favore di questa comprensione non sarei riuscita a scrivere nulla per cui valesse la pena.
Nata nel 1893 a Newcastle-under-Lyme, in Inghilterra, Vera Brittain era figlia di una coppia benestante attiva nella manifattura della carta. Per via dei diversi trasferimenti in giovane età, l’unico suo vero amico d’infanzia fu il fratello Edward, a cui era legatissima. Appassionata lettrice, capì presto di voler proseguire gli studi, diversamente dalle coetanee che già progettavano matrimoni di convenienza e vite quiete.
Come racconta un articolo del Guardian, a quel tempo non c’erano molte altre ragazze di provincia che desiderassero frequentare l’università, ma Vera ignorò le critiche e iniziò a studiare. Si preparò per gli esami di ammissione, dedicando tutti i suoi sforzi ai libri, e nel 1914 superò l’esame di ammissione per la facoltà di letteratura del Somerville College di Oxford.
I primi ricordi della mia generazione sono inevitabilmente quelli di un’esperienza che tutti noi condividiamo, perché legati a eventi drammatici per la nazione, alle canzoni, alle battaglie e a quelle improvvise pause tra una preoccupazione e l’altra in una lotta ben più distante e circoscritta di quella che era destinata a travolgerci. Come i miei contemporanei, cominciai a distinguere gli avvenimenti reali dalle favole e dalle fantasie nel periodo delle guerre boere in Sudafrica. Prima dell’anno 1900, per quanto fossi vivacemente curiosa e decisa, non potevo certo essere considerata un’osservatrice consapevole di quanto stava accadendo nel mondo.
Per l’inizio del primo trimestre, la guerra era già arrivata: suo fratello Edward e il fidanzato Roland Leighton lasciarono gli studi per arruolarsi nell’esercito. Non potendoli seguire al fronte, decise di mettersi al servizio del suo Paese e unirsi come infermiera volontaria. Per i successivi quattro anni lavorò negli ospedali di Londra, Malta ed Étaples, dove si prendeva cura dei corpi mutilati dei soldati.
Alla fine della Grande Guerra, Vera Brittain si ritrovò privata non solo della giovinezza, ma soprattutto degli affetti più cari. Oltre all’amato fratello e al fidanzato, aveva pianto la morte di due carissimi amici, Geoffrey Thurlow e Victor Richardson, uccisi in Francia. Pur convinta di non potersi innamorare dopo la morte di Roland, nel 1925 sposò il filosofo e politologo George Catlin, dopo un corteggiamento iniziato per lettera, e divenne due volte madre.
Accarezzò e respinse per anni l’idea di scrivere un libro sulle vicende di cui era stata testimone. Quando Testament of youth fu finalmente pubblicato, nell’agosto del 1933, fu un successo immediato: dopo un solo giorno, la prima tiratura di 3.000 copie era esaurita. In quei giorni persino Virginia Woolf scrisse nei suoi diari che si sentiva obbligata a rimanere sveglia tutta la notte per finire di leggerlo.
Nei sei anni successivi, il volume vendette ben 120.000 copie, spinto dalle nuove idee pacifiste che attraversavano l’Europa. Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, il Vecchio Continente tornò a essere sferzato da venti di odio e violenza, che spinsero l’autobiografia nell’oblio. Fu riscoperta solo dopo il 1970, l’anno della sua morte, che portò a una nuova ristampa dell’opera e degli altri scritti di Vera Brittain. Prima di morire, aveva chiesto che le sue ceneri fossero disperse sull’Altopiano di Asiago, dove si trovava la tomba del fratello Edward.
La cosa migliore che noi sopravvissuti potevamo fare era non dimenticare, e trasmettere ai nostri successori ciò che avevamo vissuto, nella speranza che, quando fosse arrivato il loro giorno, avrebbero avuto più potere di cambiare lo stato del mondo rispetto alla nostra generazione ormai fallita e distrutta.
Web content writer e traduttrice. Parlo poco, scrivo tanto e cito spesso Yeats.
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