Chiunque abbia letto, amato e respirato i libri di Virginia Woolf, imparando a riconoscere tra le righe le esperienze che plasmarono la sua coscienza di artista, sa quanto sia stato fondamentale un particolare momento della sua vita. Nel 1904, l’allora poco più che ventenne autrice subì la perdita dell’amato padre, il noto critico letterario Leslie Stephen, ed ebbe il suo primo crollo nervoso. Nello stesso anno iniziò a fare sul serio con la scrittura: a sostenerla e motivarla ci fu la zia, Caroline Stephen.

Filantropa, pacifista e scrittrice, la donna svolse un ruolo chiave nell’aiutare la giovane a staccarsi dalle ideologie patriarcali che avevano minato tutta la sua infanzia, sviluppando un approccio radicale e femminista alla religione e alla spiritualità. Ci sono tracce di Caroline Stephen in molte opere della celebre nipote, prima tra tutte Una stanza per sé, in cui Woolf rivendicava la sua necessità, come donna e artista, di avere uno spazio tutto suo.

[…] una donna, se vuole scrivere romanzi, deve avere soldi e una stanza per sé, una stanza propria; il che, come vedete, lascia insoluto il grosso problema della vera natura della donna e della vera natura del romanzo.

Le due donne si intrattenevano in lunghe conversazioni che potevano durante anche otto o nove ore, come ricorda il saggio scritto dalla professoressa Jane de Gay della Leeds Trinity University. Quando Caroline morì, nel 1909, lasciò un’eredità di duemilacinquecento sterline a Virginia (agli altri nipoti ne lasciò solo cento a testa): era il suo modo per sostenere le sue scelte e il suo desiderio di indipendenza, oltre che la sua “stanza per sé” nel quartiere di Bloomsbury, dove si era trasferita con la sorella Vanessa Bell e dove aveva dato vita a un circolo intellettuale.

La libertà intellettuale dipende da cose materiali. La poesia dipende dalla libertà intellettuale. E le donne sono sempre state povere, non soltanto in questi duecento anni, ma dagli inizi dei tempi. […] Sicché quando vi chiedo di guadagnare dei soldi e di procurarvi una stanza indipendente, vi sto chiedendo di vivere in presenza della realtà, una vita che a quanto sembra rinvigorisce, che la si possa o non la si possa impartire agli altri.

Chi era Caroline Stephen

Nata a Londra nel 1834, Caroline Stephen era la sorella minore del padre di Virginia Woolf. Aveva avuto una rigida educazione evangelica come quasi altra donna vittoriana ed era rimasta a guardare quando i suoi fratelli maschi avevano potuto accedere alle scuole pubbliche a e all’università, mentre lei restava a casa con la governante privata. Alla morte dei genitori, a cui badò per diversi anni, riuscì finalmente a condurre uno stile di vita più vicino ai suoi desideri, mantenendo però il nubilato e dedicandosi alle opere di carità.

Quando iniziò a incoraggiare la scrittura della nipote, Caroline aveva già pubblicato svariati libri ben accolti dalla critica, nonostante la sua mancanza di istruzione formale. Si era anche già convertita alla religione quacchera, abbandonando il cristianesimo evangelista che aveva segnato la sua gioventù: Virginia la prendeva in giro per la nuova vocazione, soprannominandola “la suora”, ma la definiva anche “affascinante, saggia e umana”.

Nel suo libro Quaker Strongholds, donato a Woolf nel 1898, mostrava tutta la sua ribellione alla religione che l’aveva plasmata da piccola, pur nella contraddizione di votarsi a una nuova fede che la nipote non vedeva di buon occhio. C’era un’evidente differenza generazionale tra le due donne, ma in fondo entrambe avevano condiviso un’esperienza simile, seppure a distanza di decenni. Anche Virginia aveva studiato a casa mentre i fratelli andavano a studiare a Cambridge e anche da lei ci si aspettava che svolgesse un ruolo domestico.

Caroline Stephen visse fino all’età di settantacinque anni: morì nel 1909 dopo una breve malattia e tra le poche persone al funerale c’era proprio Virginia Woolf. Di quell’eredità lasciata dalla zia, che le permise di diventare scrittrice, disse poi “mi svelò il cielo”.

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