Oggi Andra e Tatiana Bucci sono due belle signore di 83 e 85 anni, ma sulla pelle, quando si osservano, vedono ancora il marchio, impresso per sempre nelle loro vite, dell’orrore che hanno vissuto: quel tatuaggio che, inciso sulle loro braccia, sbiadito dal tempo, ma non certo nella memoria, riporta i numeri con cui sono state marchiate, appena bambine, nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau.

Sul loro passato come giovanissime deportate hanno scritto un libro, Noi, bambine ad Auschwitz. La nostra storia di sopravvissute alla Shoah, che uscirà a pochi giorni dalle celebrazioni della Giornata della memoria, il 21 gennaio.

Noi, bambine ad Auschwitz. La nostra storia di sopravvissute alla Shoah

Nate a Fiume, Tatiana (vero nome Liliana) nel 1937 e Andra (diminutivo di Alessandra) nel 1939, da Giovanni Bucci, fiumano, cattolico, e Mira Perlow, ebrea, vengono arrestate il 28 marzo 1944, a seguito di una denuncia dell’ebreo Plech; hanno rispettivamente 6 e 4 anni.

Con loro, vengono arrestati anche la mamma, la zia, sorella di quest’ultima, Gisella Perlow, il cuginetto Sergio De Simone e altri familiari. Dopo sei giorni di viaggio il loro convoglio, il T25, giunge a destinazione. Le bambine vengono separate subito dalla mamma e, scambiate probabilmente per gemelle nonostante la differenza d’età, vengono inviate, con il cugino Sergio, al Kinderblock, la baracca dei bambini.

La loro mamma riesce, appena può, a visitare le sue bimbe, e ogni volta fa loro la medesima raccomandazione: non dimenticate mai il vostro nome. Ma, impaurite dall’aspetto di quella donna magra e pallida, così lontana dal ricordo che avevano della madre, Tatiana e Andra iniziano a rifiutarla, e per sopravvivere nel campo si stringono sempre più una all’altra.

Trovano, nella disperazione e nella cattiveria dei nazisti, uno spiraglio di luce nella loro blockova, la guardiana della baracca, che fa loro una raccomandazione ben precisa:

Verranno degli uomini, raduneranno tutti voi bambini e vi diranno: chi vuole vedere la mamma e tornare con lei, faccia un passo avanti. Voi dovete rimanere ferme al vostro posto, non rispondete assolutamente nulla.

Quanto previsto dalla blockova si realizzò effettivamente; pochi giorni più tardi, un uomo – che loro ignoravano essere il dottor Joseph Mengele – si presentò alla baracca chiedendo se qualcuno dei bambini volesse vedere la madre. Andra e Tatiana Bucci restarono ferme ai propri posti, mute. Altrettanto non fece Sergio, il loro cuginetto, che, abituato a vivere solo con la madre, intravide in quella generosa offerta l’opportunità di stringersi di nuovo a lei.

Il bambino fu così portato via dagli uomini di Mengele, nel campo di Neuengamme, dove diventò una cavia umana per gli esperimenti sulla tubercolosi del dottor  Kurt Heissmeyer, prima di essere ucciso brutalmente, nella  notte tra il 20 e il 21 aprile 1945, con gli Alleati ormai alle porte e i nazisti in fuga.

Andra e Tatiana Bucci sono tra i 25 bambini italiani minori di 14 anni che si salvarono dal campo di prigionia, a fronte dei 776 deportati. I bambini sotto i 15 anni venivano infatti mandati immediatamente alle camere a gas, al loro arrivo ad Auschwitz, a meno che non si trattasse di gemelli o di casi particolari che, secondo i tedeschi, valessero la pena di essere studiati. Fu proprio il caso delle sorelle Bucci, che dopo la liberazione vissero momenti di oblio e di smarrimento totale, tanto che il loro reinserimento nella famiglia di origine fu traumatico e venne portato avanti solo a piccoli passi.

Nel febbraio 1945, infatti, dopo la liberazione, Andra e Tatiana Bucci avevano perso i contatti con la madre, che credevano morta, così vennero trasferite, insieme ad altri bambini, in un orfanotrofio vicino a Praga. Vi rimasero fino al marzo 1946, quando vennero messe su un aereo per essere trasferite in Inghilterra, a Lingfield, nella tenuta di sir Benjamin Drage, usata come centro per l’accoglienza degli orfani dei lager.

In Inghilterra Andra e Tatiana Bucci vissero, per la prima volta dopo tanto tempo, serenamente e amate; in Italia, però, Mira, sopravvissuta ad Auschwitz, cercava disperatamente notizie delle sue bambine, mettendosi alla loro ricerca con il comitato per i rifugiati ebrei di Londra, assieme alla Croce Rossa Internazionale.

Grazie ai numeri tatuati sulle braccia delle bambine, che mamma Mira Perlow aveva sempre tenuto a mente, a Lingfield arrivò una lettera da Napoli in cui le famiglie Bucci e De Simone chiedevano informazioni dei loro bambini: l’istituto confermò la presenza della due bambine, non quella del povero Sergio.

Andra e Tatiana Bucci riconobbero i genitori nella foto che Mira Perlow inviò successivamente, ma, a causa della complicata burocrazia e della paura di eventuali errori, passò ancora del tempo prima che la famiglia Bucci potesse ricongiungersi. Nel dicembre 1946, le due sorelle vennero accompagnate a Roma dalla signorina che le aveva accudite per mesi, ma l’incontro fu più difficile del previsto: Andra e Tatiana si strinsero al petto della loro tata piuttosto che a quello della madre.

Auschwitz è soprattutto il camino – ha ricordato Tatiana Bucci alla giornalista Titti Marrone nel libro Meglio non sapere –  Non so quando, ma a un certo punto sapevo di essere in quel posto chiamato Auschwitz e per me quel nome si legava alla ciminiera. […] Sta di fatto che io sapevo che lì dentro si inceneriva la gente. Uscivano anche fiamme, non solo fumo grigio. Vampate di fiamme, da cui pioveva come una nebbiolina grigia che si posava dappertutto. E si sentiva sempre quell’odore, io non capivo che cosa fosse. Dopo ho saputo che era carne bruciata.

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