Beatrice, le altre donne di Dante Alighieri e il danno della donna angelicata

Beatrice, Francesca da Rimini, Piccarda Donati e tante altre sono le donne che Dante Alighieri presenta nella sua opera. Alcune sono peccatrici, altre sono esempi di virtù, degli angeli. Ma accostare la femminilità al regno celeste è una forma di esaltazione o il frutto di un retaggio patriarcale?

Se pensiamo alle donne nell’opera di Dante Alighieri, il primo nome che ci viene in mente è quello di Beatrice. Il celebre personaggio compare in diverse opere della produzione dantesca, dalla Vita Nova fino alla Divina Commedia, presentata come oggetto di un profondo e platonico sentimento d’amore. L’amore, infatti, è la tematica a cui spesso è legata la presenza di figure femminili nei testi di Dante. Donne peccatrici e donne angeliche. Scopriamo quali sono le figure principali di cui parla il Sommo Poeta e come le presenta.

Le donne dell’Inferno

Sono numerose le donne di cui, direttamente o indirettamente, Dante Alighieri parla nella sua opera. Tra queste una delle più note è sicuramente Francesca da Rimini, figlia di Guido da Polenta, signore di Ravenna, relegata nella schiera dei lussuriosi per aver intrapreso una relazione clandestina con il cognato Paolo. Dante, ascoltando il racconto di come i due si siano innamorati leggendo della storia d’amore tra Ginevra e Lancillotto, ripensa alla maniera in cui parlava delle donne nei suoi sonetti giovanili.

Sempre nel V canto, che vede come protagonisti i lussuriosi, incontriamo un gran numero di donne. Dante incrocia Didone, colpevole di aver infranto la promessa di non risposarsi fatta al marito e morta suicida per amore di Enea. Anche Elena, ritenuta responsabile della guerra di Troia, e Cleopatra, che fu amante di Cesare e Antonio, si trovano in questo cerchio.

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È interessante notare come il maggior numero di donne ‘infernali’ si incontri nel secondo cerchio, perché la lussuria è considerata il peccato più leggero, in linea con le figure femminili.

Le donne del Purgatorio

Nel V canto del Purgatorio, invece, Dante incontra una delle figure più malinconiche dell’intera opera, Pia de’ Tolomei, donna di Siena uccisa dal marito per ragioni a noi sconosciute. Come molte altre figure che abitano il Purgatorio, chiede di essere ricordata sulla terra e lo fa con dei versi che sono riconosciuti come alcuni tra i più tristi della Commedia:

“Deh, quando tu sarai tornato al mondo,
e riposato de la lunga via”,
seguitò ‘l terzo spirito al secondo,

“Ricorditi di me, che son la Pia;
Siena mi fé, disfecemi Maremma:
salsi colui che ‘nnanellata pria

disposando m’avea con la sua gemma”.

Le donne del Purgatorio vengono descritte in maniera molto simile a quelle dell’Inferno, sono peccatrici, anche se in maniera più lieve. Molte sono introdotte da altri personaggi maschili come esempio di vizio o anche di virtù, come nel caso di Piccarda Donati, presentata attraverso le parole del fratello che in vita l’aveva costretta a rinunciare alla vita monastica per il matrimonio, e che poi Dante ritroverà in paradiso.

Nel paradiso terrestre avviene l’incontro con la guardiana Matelda, colei che precede Beatrice e ha il compito di immergere Dante nel Lete e nell’Eunoe, preparandolo alla sua ascesa nei cieli. Matelda rappresenta l’umanità perduta, felice e immortale. Simbolo della vita prima del peccato originale.

Le donne del Paradiso

Costanza d’Altavilla, Raab, Cunizza da Romano sono alcune delle donne che Dante incontra nel Paradiso. In particolar modo le ultime due rappresentano un elemento di paradossalità dell’opera, due donne che hanno condotto una vita sessuale promiscua, ospitate nel cielo di Venere. Secondo molti studiosi si tratta di una scelta politica fatta dal poeta che voleva, attraverso la figura di Cunizza, esaltare i ghibellini.

Sono però santa Lucia, la Vergine Maria e Beatrice le tre donne che abitano il paradiso e che per tutta l’opera proteggono e sostengono Dante nel suo viaggio. Lucia, santa a cui il poeta è devoto, è colei che si rivolge a Beatrice, sotto richiesta della Vergine, per farla discendere nel limbo da Virgilio. Nel periodo in cui Dante scrive, infatti, si sta diffondendo il culto della Madonna come madre amorevole che soccorre i suoi figli e intermediaria degli uomini presso Dio. È a lei che il poeta rivolge la preghiera finale dell’opera.

Infine Beatrice, donna di cui il poeta si innamora a 9 anni e che, morta giovanissima, rimane cristallizzata nella memoria e nella poetica di Dante come donna angelica e salvifica. Appare già dall’Inferno con ancora le caratteristiche della donna stilnovista, per poi divenire guida di Dante a partire dal paradiso terreste come simbolo di fede e teologia razionale.

Donne ch’avete intelletto d’amore

La Divina Commedia non è l’unica opera in cui Dante parla di Beatrice. L’intero componimento della Vita Nova è dedicato alla sua figura, descritta, però, in maniera diversa da come avviene nella Commedia. Nella nota canzone Donne ch’avete intelletto d’amore, infatti, Dante ricalcando alcune tematiche già trattate da poeti come Cavalcanti e Guinizelli, offre un esempio di testo stilnovista in cui la descrizione fisica della donna si rifà alla lirica cortese. Lo spirito di Beatrice è angelico al punto tale che è in grado di salvare chi la guarda e che i beati reclamano la sua anima in Paradiso.

Madonna è disiata in sommo cielo:
or voi di sua virtù farvi savere.
Dico, qual vuol gentil donna parere
vada con lei, che quando va per via,
gitta nei cor villani Amore un gelo,
per che onne lor pensero agghiaccia e pere;
e qual soffrisse di starla a vedere
diverria nobil cosa, o si morria.

Tuttavia, questo componimento rappresenta una svolta nella poetica dantesca, che si distanzia dallo Stilnovo nell’intenzione che dà alla sua opera. Il beneficio che Dante vuole trarre da questa dedica è puramente contemplativo. Assistiamo a un superamento della concezione cortese della poesia come servizio per ottenere in cambio qualcosa e il legame con l’amata diviene spiritualizzato e disinteressato.

Il danno della donna angelicata

Nell’opera di Dante Alighieri, così come in tutta la poesia stilnovista, l’immagine della donna è quasi esclusivamente associata all’amore. L’amore che il poeta prova per Beatrice, ad esempio, è qualcosa che va oltre la vita e la morte. Beatrice viene amata come creatura in cui si riflette la bellezza divina e il suo aspetto, angelico come da tradizione cortese, è indice di questa sua natura. Si tratta, quindi, di un paragone iperbolico per intendere che la bellezza della donna è tale da poter essere accostata a quella di una creatura celeste.

C’è una donna, importantissima nella vita di Dante, della quale, però, il poeta non parla mai nelle sue opere. Si tratta di Gemma Donati, sua moglie. È importante sottolineare questo proprio per capire come il tipo di donna che Dante presenta sia frutto di un’idealizzazione irrealistica. Dante non presenta le donne nel loro essere ordinarie, umane; anche quando si rivolge loro come degli esseri vicini al divino, forse senza volerlo, crea un danno.

Dante Alighieri dedica molto spazio alle donne, sono per lui fonte massima di ispirazione. Ma nel farlo opera una classificazione che ha un’origine ben più antica di lui e che fino a oggi ancora persiste: quella tra donne meritevoli e donne di malaffare. Questa idea alimenta uno standard di perfezione al quale le donne, da sempre, sono obbligate a sottostare. Esaltare la donna a figura angelica significa imprimere un’immagine di come la donna dovrebbe essere per essere considerata degna.

La donna angelicata è stata il fulcro di tutta la poetica e la letteratura degli Stilnovisti, da Petrarca fino a Cavalcanti, ma è un’immagine non solo stereotipata, ma soprattutto irreale, completamente idealizzata. È la donna amata e cantata dal poeta o, in alcuni casi, che ha bisogno di essere salvata dal cavaliere – questo accade soprattutto nel Ciclo Bretone -, che ha per anni però involontariamente contribuito a perpetrare dei cliché che hanno fatto male alle donne.

Questo tipo particolare di esaltazione della donna, però, va opportunamente contestualizzata nel periodo storico in cui Dante Alighieri e gli altri scrivono. Gli stilnovisti offrono un quadro di una donna irreale, idealizzata sulla base di virtù di stampo religioso. Troviamo, quindi, un’immagine distorta del femminile che poco ha a che fare con la realtà e molto deve all’idea patriarcale, fondata sul mito della Vergine, di come, secondo l’uomo, questa dovrebbe apparire e che ancora oggi costituisce un esempio di virtù.

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