“Vivere così è orribile. Vorrei un po’ più di comprensione. Ma la cosa più importante è continuare a fare il mio lavoro, raccontare quello che vedo, ricevere ogni giorno in redazione persone che non sanno dove altro andare”. In questo articolo, scritto prima di essere uccisa il 7 ottobre del 2006 e pubblicato poche settimane dopo su Internazionale, Anna Stepanovna Politkovskaja sembrava già consapevole del destino a cui andava incontro.

La giornalista russa, invisa al Cremlino per il suo desiderio di raccontare la realtà, subiva già da tempo l’ostilità dei poteri alti, che mal tolleravano i suoi reportage in aperta opposizione a Vladimir Putin. Nonostante intorno a lei si stesse formando un territorio sempre più insidioso e accidentato, nemmeno per un istante considerò l’eventualità di interrompere la sua collaborazione con il quotidiano Novaja Gazeta, grazie a cui poteva denunciare l’esercito e il governo russo per le ingerenze nella questione cecena.

Sono una reietta. È questo il risultato principale del mio lavoro di giornalista in Cecenia e della pubblicazione all’estero dei miei libri sulla vita in Russia e sul conflitto ceceno. A Mosca non mi invitano alle conferenze stampa né alle iniziative in cui è prevista la partecipazione di funzionari del Cremlino: gli organizzatori non vogliono essere sospettati di avere delle simpatie per me.

Qualche anno fa, un editoriale del New York Times provò a rimettere insieme i pezzi di un assassinio mai veramente chiarito. Prima di essere uccisa, Anna Stepanovna Politkovskaja aveva scritto per anni delle ripetute violazioni dei diritti umani in Cecenia, di cui riteneva responsabili il presidente Vladimir Putin e il leader ceceno Ramzan Kadyrov. Ma cosa aveva scoperto di così grave per meritare una così spietata fine?

Quale crimine ho commesso per essere bollata come ‘una contro di noi’? Mi sono limitata a riferire i fatti di cui sono stata testimone. Ho scritto e, più raramente, ho parlato.

In particolare, quel 7 ottobre del 2006 (compleanno di Putin), avrebbe dovuto consegnare al suo giornale un lungo reportage sulle torture da parte delle forze cecene. Lei stessa era stata testimone di un atto di violenza nei confronti di uno dei cosiddetti “ribelli” ceceni.

Nella notte tra il 27 e il 28 luglio due guerriglieri ceceni sono caduti in un’imboscata tesa alla periferia di Kurchaloj da alcuni uomini fedeli all’alleato del Cremlino, Ramzan Kadyrov, il primo ministro ceceno. Adam Badaev è stato catturato mentre Hoj-Ahmed Dushaev, originario di Kurchaloj, è stato ucciso. Verso l’alba una ventina di Zhiguli piene di uomini armati hanno raggiunto il centro del villaggio dove si trova il commissariato di polizia. Portavano la testa di Dushaev. Due uomini l’hanno fissata al gasdotto al centro del villaggio e sotto hanno appeso i pantaloni macchiati di sangue. Poi hanno trascorso le due ore successive a fotografare la testa con i cellulari.

Lei stessa avrebbe rischiato la stessa fine, se non fosse stato per l’aiuto di alcune donne, che l’avevano nascosta nella folla.

Tutte mi hanno ricordato che il premier aveva giurato pubblicamente di uccidermi. Era successo durante una riunione dell’esecutivo: Kadyrov aveva dichiarato di averne abbastanza e aveva aggiunto che Anna Politkovskaja era una donna spacciata.

Non ci fu nessuno a proteggerla, però, dal sicario che le sparò nell’ascensore del suo palazzo a Mosca. Dei quattro colpi, uno la raggiunse alla testa e le fu fatale.

Il giorno dopo l’omicidio, la polizia russa portò via dalla casa di Anna Stepanovna Politkovskaja il suo computer, con una buona parte dell’articolo e un paio di foto, mai più ritrovati. Al funerale, celebrato a Mosca il 10 ottobre 2006, parteciparono centinaia e centinaia di persone, ma nessun membro del governo russo. Poco dopo la sua morte, Putin arrivò persino ad affermare che il lavoro della giornalista fosse “estremamente insignificante per la vita politica in Russia”, motivo per cui le indagini si arenarono ben presto.

Del resto, la Russia di Putin sembra avere grossi problemi, quando si parla di omicidi di giornalisti. Secondo il CPJ, il Comitato per la protezione dei giornalisti, è tra i peggiori Paesi al mondo quando si tratta di trovare e perseguire coloro che uccidono giornalisti e informatori. E intanto, nonostante un processo chiuso per insufficienza di prove, tutto il mondo aspetta ancora che qualcuno paghi per la morte di una professionista che voleva semplicemente svolgere il suo compito di giornalista.

Il Cremlino ha reagito cercando di bloccare il mio lavoro: i suoi ideologi credono che sia il modo migliore per annullare l’effetto di quello che scrivo. Ma impedire a una persona che fa il suo lavoro con passione di raccontare il mondo che la circonda è un’impresa impossibile. La mia vita è difficile, certo, ma è soprattutto umiliante. A 47 anni non ho più l’età per scontrarmi con l’ostilità e avere il marchio di reietta stampato sulla fronte.

Per chi vuole approfondire la storia di Anna Stepanovna Politkovskaja, ecco alcuni suoi libri.

Diario russo 2003-2005

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La storia della Russia si intreccia con le vicende personali e umane della grande giornalista Anna Stepanovna Politkovskaja, uccisa da un killer nel 2006.
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Cecenia. Il disonore russo

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Nessuna, meglio di lei, avrebbe potuto raccontare meglio la drammatica situazione dei diritti civili in Cecenia: e per questo fu uccisa.
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La Russia di Putin

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Cosa significa vivere in Russia? Lo spiega la grande giornalista, uccisa perché scomoda al governo
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