Mahsa Mohebali: "Qui rifarsi il naso o le labbra è un modo per essere libere"
Le donne a Theran dopo la rivoluzione del 1979. La ribellione e l’ostentazione della bellezza come atto di libertà raccontate dalla scrittrice Mahsa Mohebali.
Le donne a Theran dopo la rivoluzione del 1979. La ribellione e l’ostentazione della bellezza come atto di libertà raccontate dalla scrittrice Mahsa Mohebali.
“La maggior parte delle ragazze non ha fiducia nella propria bellezza naturale, allora si rifà il naso, gli zigomi, le labbra. Si tatuano le sopracciglia, mettono le unghie finte, le lenti a contatto colorate. Siamo uno dei Paesi con il più alto uso di chirurgia estetica e di articoli di bellezza. Perché vogliamo essere libere, capite? È un po’ complicato”. È così che Mahsa Mohebali, scrittrice, sceneggiatrice e critica letteraria, descrive le donne del suo Paese, l’Iran.
Un Paese che, come dice la scrittrice stessa, è sottosopra. Dove il trucco, la sensualità e la bellezza esteriore e ostentata, vengono usati come manifestazione di dissenso verso il potere. Un potere scomodo, che non concede.
Una protesta attiva, quotidiana. Una lotta continua per la libertà, in un Paese dove per le donne ancora oggi sono negati diritti che altrove sono dati per scontati, azioni che rappresentano abitudini e comportamenti “normali”.
E tutto ciò che viene negato viene anche rivendicato sotto un unico simbolo. Un’azione forte, provocatrice: togliersi il velo.
Azioni semplici, piccoli gesti che in altri luoghi potrebbero essere definiti “banali” ma che qui fanno parte di una normalità che per molte donne non esiste.
“La maggior parte delle iraniane non mette il velo in casa, lo indossa solo per strada. Alle feste, ai ritrovi di famiglia o per un appuntamento le ragazze si vestono esattamente come le loro coetanee nel resto del mondo. La strada serve solo come passaggio da un luogo libero e sicuro a un altro”.
Un Paese, l’Iran e una città, Teheran. Un luogo amato e allo stesso tempo odiato da Mahsa Mohebali. Un Paese da cui “fugge”, periodicamente, passando lunghi periodi all’esterno, per poi ritornare.
Un via vai che, come dice la scrittrice, non piace a chi è al potere ma che per lei e per molti altri artisti e scrittori è necessario.
“Ogni volta che rimetto piede in Iran dopo essere stata all’estero, vengo assalita dall’ansia che finché vivrò non potrò più uscire. Finora ho resistito, ma non so per quanto ancora riuscirò a vivere qui. In tanti come me dicevano che non l’avrebbero mai lasciato, ma alla fine l’hanno fatto. O sono andati via, o stanno per farlo, o come me aspettano di raggiungere il limite di sopportazione”.
Teheran è una città caotica ed eclettica, una città dalle mille sfaccettature, capace di intrecciare il passato con l’idea di un futuro diverso, in un presente fatto di cultura, diritti (negati e non) ed eccessi. Ed è dalla vita a Teheran che arriva la sua ispirazione.
Mahsa Mohebali è nata proprio qui, nel 1972. Vincitrice per ben due volte del prestigioso premio letterario Golshiri con la raccolta L’amore a piè di pagina edita nel 2004 e il romanzo Non ti preoccupare edito nel 2008 (in Italia pubblicato da Ponte 33), con cui si fece conoscere dal grande pubblico.
Un romanzo in cui la scrittrice racconta le vicissitudini di una ragazza tossicodipendente di Teheran, proprio mentre la città è minacciata da un terremoto. Un libro che anticipa ciò che avverrà l’anno dopo la sua pubblicazione, durante le elezioni del 2009, segnate da brogli e da atti di ribellione.
Un periodo che evidenzia un disagio generazionale che dilaga, dove i giovani si ribellano alla condizione di un Paese che sotto tanti punti di vista è costretto ma pronto a esplodere, a urlare ciò che gli viene negato facendo sentire a tutti la sua voce.
Mahsa Mohebali, con la sua scrittura sfida la censura dando libero sfogo ai suoi pensieri. Senza freni o paura, senza limiti ma raccontando la verità anche quando è scomoda.
Una censura che però non dipende solo dalla politica ma che, come afferma la stessa scrittrice, è molto più radicata. Si insinua nelle persone in modo silenzioso, quasi impercettibile, come una goccia d’acqua che lenta e continua arriva fino all’anima.
È proprio lei a raccontare in un’intervista al Corriere come le cose siano cambiate da quanto era una scrittrice emergente a oggi, “è stato solo quando ho deciso di non chiedere più il permesso per i miei libri che ho capito quanto fosse grande l’autocensore che mi portavo dentro”.
Un’autocensura che è svanita nel tempo. Che ha trovato il coraggio di scomparire in favore della verità, della trasparenza e della voglia di raccontare la realtà della vita nel suo Paese.
Lo dimostra nel suo ultimo romanzo Tehran Girl ( in Italia edito da Bompiani) appena uscito e scritto senza abbellimenti o parole ricercate e che riporta il lettore al passato, che lo voglia oppure no. Perché il passato è importante per non commettere gli stessi errori nel futuro e non bisogna averne paura.
Un libro che, come si aspettava la stessa Mahsa Mohebali, in Iran nessun editore aveva il coraggio di sottoporre all’ufficio che consente e gestisce le pubblicazioni, l’Ershad.
“Dopo un po’ mi sono stufata di tenere il libro chiuso nel cassetto, niente mi impediva di pubblicarlo altrove.”
Ed è proprio per questo che decise di pubblicarlo in Afghanistan dove lo stesso editore che pubblicò la traduzione persiana di Lolita accettò subito di stamparlo, senza apportare nessun tipo di modifica al testo o alla forma.
Tehran girl è la storia di una trentenne iraniana, la segretaria di un uomo d’affari della Repubblica Islamica, la cui infanzia è strettamente legata alla lotta politica durante la rivoluzione del 1979.
Una ragazza avvenente, Elham, che ad un certo punto scopre che il padre scomparso 25 anni prima non è morto ma si trova in Svezia. Da qui inizia un viaggio nel passato della propria vita. Un viaggio a ritroso fino alla mattina in cui, da bambina, svegliandosi si accorge che tutti gli adulti sono spariti. E un dubbio che la assale, quello di essere stata lei a smascherare la copertura dei genitori.
La protagonista raccontata da Mahsa Mohebali è una figura comune in Iran. Ma non solo lì. La tipica ragazza a cui non è richiesto altro che essere bella e che si trova circondata dai giudizi e pregiudizi della gente che ha intorno.
“Ho provato a immedesimarmi in lei, a smettere di vederla come uno stereotipo. Non dice mai “io”. Dice “Vai, corri, fai” perché è in balia di questo meccanismo che la vuole sempre pronta a ricevere ordini. A nessuno interessa il suo passato, eppure lì si nasconde il motivo che l’ha portata a essere così.”
Ed è proprio dal passato che le donne di Teheran si vogliono ribellare. Dalla mancanza di diritti che dopo la rivoluzione islamica del 1979, ha visto per le donne anche l’obbligo di indossare l’hijab e il divieto di truccarsi.
Come sottolinea Mahsa Mohebali, alle donne iraniane sono negati moltissimi diritti. Anche le cose più semplici come andare in bicicletta, entrare allo stadio per vedere una partita o avere la custodia dei propri figli.
Una condizione che, nonostante le immagini che si trovano in giro, non era molto diversa nemmeno prima della rivoluzione.
“Solo una fascia ristretta, la classe media urbana, laica e benestante, faceva i picnic in riva al Caspio e permetteva alle ragazze di portare la minigonna. Anche prima della rivoluzione non si poteva andare in giro vestite così in provincia o nei quartieri popolari di Teheran”
Oggi, però, la maggior parte delle donne e ragazze iraniane non indossano il velo in casa. Un luogo sicuro dove anche la vita non è molto diversa da quella delle ragazze occidentali. Una vita che comprende le feste. Perché festeggiare dona una sensazione di libertà.
Per le ragazze iraniane festeggiare rappresenta un modo per lottare, per andare contro, per essere libere.
Esattamente come truccarsi o vestirsi in modo sexy. Più il trucco si vede e più ti stai ribellando. Più ti vesti in modo sexy e più viene espresso il tuo contrasto al potere. Un modo per dire “voglio essere libera”.
Un controsenso sotto tanti punti di vista che denota una sfiducia nel proprio aspetto che per questo viene modificato, sfociando in una ricerca di bellezza da ostentare. Ma che, di fatto, rappresenta un mezzo per rivendicare la propria condizione di donna.
Una donna alle quale non vengono negati i diritti, che può essere e vivere come vuole. Una donna che vuole solo essere libera.
Vivo seguendo il mantra "se puoi sognarlo puoi farlo". Sono una libera professionista della vita. Una porta verde, una poltrona rossa e una vasca da bagno sono le mie certezze, tutto il resto lo improvviso.
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