La fabbrica

Recensione e trama

Un futuro distopico, un Paese in cui le donne diventano vere e proprie incubatrici umane e “banche” di neonati per dare figli all’upper class americana. È inquietante quanto basta e drammaticamente non così irreale il primo romanzo di Joanne Ramos, The Farm, tradotto in italiano con il titolo La fabbrica e che arriverà da noi solo nel gennaio del 2020.

Golden Oaks è un  vero e proprio “ritiro gestazionale” nello stato di New York dove, dopo un rigoroso processo di selezione, le donne si trasferiscono nel resort per tutta la durata della gravidanza, sorvegliate e coccolate notte e giorno, per garantire la nascita di bambini sani e forti. In cambio di questo servizio le madri ricevono uno stipendio e, a consegna avvenuta, un bonus. Ma c’è un risvolto della medaglia, ovviamente: le donne devono abbandonare cellulari e visite a parenti e amici, accettando di essere monitorate nelle loro comunicazioni con il mondo esterno e di indossare un braccialetto che segue ogni loro battito cardiaco.

Ovviamente sono le donne più povere ad accettare di farsi portatrici di questi figli, che andranno a ingrossare le fila dei ceti abbienti; fra loro c’è Jane, filippina, che viveva in un dormitorio angusto nel Queens con altre filippine, che lavorano sodo per inviare il salario a casa, e che poi ha colto l’occasione del Golden Oaks.

L’opera prima di Ramos si prepara a diventare un successo editoriale sulla scia de I racconti dell’ancella, con cui presenta molte similitudini; oltre all’ambientazione distopica, infatti, in entrambi i libri il focus è su donne cui è stata negata l’indipendenza e l’autodeterminazione, sfruttate e oppresse da un potere contro cui cercano di ribellarsi per rivendicare i propri diritti.