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"Il caffè delle donne" e il dramma (vero) dei bimbi che non dovevano nascere
A cura di Ilaria Maria Dondi

È il dramma di decine di migliaia di bambini non da amare, ma di cui vergognarsi. È il dramma delle loro madri. Costrette a nascondersi e a nascondere, abbandonandola, il frutto della loro colpa imperdonabile e infangante.
Irlanda, anni Cinquanta e Sessanta, non Medioevo dunque, giusto qualche decennio fa: è questo lo scenario che fa da sfondo al primo romanzo di Ann O’Loughlin, giornalista affermata che debutta con “Il caffè delle donne”, in uscita il 7 luglio, di cui potete leggere alcune pagine in anteprima gratuita sul sito di Harper Collins, dov’è possibile acquistare il libro con uno sconto promozionale del 15%.
È un’Irlanda cattolica, di quel cattolicesimo che si fa cupo e bigotto, e in cui essere ragazze madri è la colpa più infame per una donna e i bambini nati fuori dal matrimonio sono da nascondere, abbandonare o, peggio, da allevare in segreto e poi, dopo averli svezzati e aver costruito con loro quel legame unico che c’è tra una madre e un figlio, dati via. Senza possibilità di scegliere.
Ann O’Loughlin è irlandese e ha una lunga esperienza, quasi trentennale, di giornalismo per testate importanti come Evening Herald, Irish Independent e Irish Examiner. In passato ha fatto la corrispondente dall’India. È insomma una donna che di storie vere ne ha viste molto e ne ha scritto quasi giornalmente.
Ora, con “Il caffè delle donne”, dà vita a un romanzo intenso che usa la finzione di una storia romanzata per raccontare un dramma che ha lacerato la sua terra e ha diviso madri e figli, cambiando le sorti di intere generazioni fino ad oggi.

Ella e Roberta O’Callaghan sono due sorelle che non si parlano ormai da decenni, dopo che oscuri segreti familiari hanno distrutto il loro rapporto e le loro vite. Eppure saranno costrette a farlo quando, un’improvvisa bancarotta, rischia di far perdere loro l’antica dimora di famiglia in cui vivono e che rappresenta l’unica cosa che possiedono e che ancora hanno in comune. È di Ella l’idea di aprire una caffetteria nel vecchio salone delle feste, per guadagnare i soldi che non ci sono più, e il progetto decolla ma, con lui, anche l’astio tra le sorelle peggiora.
Soprattutto dopo l’arrivo di Debbie, una ragazza arrivata dagli Stati Uniti in Irlanda alla ricerca della sua madre naturale. Debbie è la portatrice di domande scomode, le cui risposte, se trovate, rischiano di scoperchiare dolorosi segreti e colpe inconfessabili. Oppure è l’elemento liberatore, la chiave di volta, colei che apre il vaso di Pandora e, finalmente, ne fa uscire tutti i mali con cui anche Ella e Roberta dovranno fare i conti e, così, forse, finalmente anche pace.
La storia di Ella e Roberta diventa simbolo di un dramma consumato nella realtà e Debbie è la personificazione delle migliaia di bambini strappati alle loro madri o abbandonati come colpe.
Nella top 20 di Amazon appena uscito, “Il caffè delle donne” ricorderà, alle appassionate di serie tv, la trama di Call the midwife o libri stile “Generazione perduta” di Brittain o “L’angelo di Marchmont” di Riley.
È un libro vibrante e straziante, che emoziona, e ci cala nell’orrore degli istituti religiosi irlandesi in cui le ragazze madri si trovavano a partorire la loro “colpa” in segreto ed erano poi costrette a firmare documenti per mandarli in adozione, in quanto ritenute peccatrici degenerate. Un libro che, con la delicatezza e l’empatia di un romanzo, scava nella vita di queste donne private del loro diritto di essere madri (o figlie) e diventa romanzo corale e di denuncia dei soprusi di una chiesa tutt’altro che disinteressata, visto che lo stata versava cospicui assegni per ogni madre e bambino “ricoverati” nei conventi.
Un dramma di cui si è fatto carico lo stesso Papa Francesco, che nel 2014 ha incontrato Philomena Lee, la donna irlandese costretta ad abbandonare il figlio e la cui storia ha ispirato il film Philomena di Stephen Fears, per chiederle scusa a nome della Chiesa e per condannare quei torti inaccettabili.
“Il caffè delle donne” è un libro che merita di essere letto: perché è scritto da una donna che ha qualcosa da dire e lo fa bene, perché parla di donne, perché il romanzo è purtroppo più reale della peggiore fantasia, perché emoziona e, soprattutto, perché forse apre alla speranza che, anche il dolore più grande, se attraversato, affrontato e non negato, può essere in qualche modo riscattato o trovare un senso.

Scrivere delle storie degli altri è un modo per raccontarsi restando nascosti
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12 Settembre 2019 alle 18:22