Vi racconto le 'difettose': l'infertilità vista da Eleonora Mazzoni - INTERVISTA

Eleonora Mazzoni ci porta nel complesso microcosmo dell'infertilità nel suo Le difettose, raccontando quanto sia difficile la vita per una donna non madre e quanto forti siano ancora gli stereotipi sulle childless.

Nel 2012 il libro di Eleonora Mazzoni Le difettose ottenne un enorme successo, che è proseguito negli anni successivi, con la prima ristampa nel 2013 e la seconda adesso, a distanza di 8 anni. D’altronde, il tema trattato nel libro è talmente attuale e ancora così capace di dividere le opinioni che non è mai passato di moda, anzi… Si sta persino preparando una serie tv ispirata proprio alla vita di Carla, la protagonista quarantenne alla disperata ricerca di un figlio, e al suo peregrinare nel difficoltoso mondo della fecondazione assistita.

Le difettose

Le difettose

Eleonora Mazzoni racconta il complicato mondo dell'infertilità e dei centri per la Procreazione Assistita attraverso gli occhi di Carla, una quarantenne realizzata affettivamente e lavorativamente che per la società è una "difettosa".
15 € su Amazon
16 € risparmi 1 €

Maternità naturale e artificiale, donne che diventano madri senza volerlo e senza sforzi e altre alla ricerca disperata di un figlio che non arriva: sull’infertilità si è detto, pensato e, probabilmente, scritto di tutto e di più, ma mai nessuno ne ha fatto un’analisi lucida, appassionata, quasi cinematografica, come Eleonora Mazzoni.

Che al centro del racconto, come detto, mette Carla, una vita praticamente perfetta se non fosse per quel figlio che proprio non vuole arrivare; il desiderio che presto si trasforma in ossessione, e spinge a fare ricorso a un Centro di Procreazione Assistita, nel quale scopre un esercito di donne come lei mosse da un’ostinazione decisa, perché in fondo ci hanno insegnato che essere donne senza essere madri ci rende automaticamente “un po’ meno donne”.

I temi de Le difettose sono talmente tanti, e così intrinsecamente connessi a una serie di problematiche sociali, di retaggi e di espressioni della cultura maschiocentrica, che vale la pena approfondirli con l’autrice stessa, che abbiamo intervistato.

Tutti gli stereotipi sulla maternità e le donne sono concentrati nel libro: le donne “meno donne” perché senza figli, da un lato, ma anche la filosofia del “se Dio non vuole un motivo ci sarà”. Insomma, è facile capire che, qualunque scelta prendano, le donne saranno sempre e solo giudicate…

“È così. D’altronde non è un caso che per secoli siano state reputate esseri non autonomi e incapaci di scelta. Sul tema della maternità hanno pesato poi modelli, costruzioni, condizionamenti micidiali. Ancora oggi, ad esempio, la pressione perché una donna faccia almeno un figlio è forte. Infatti le childfree sono vittime di uno stigma sociale che, paradossalmente, è molto simile a quello che colpisce le childless.

La società è normativa, per cui spinge chi non desidera figli a farli, e chi li desidera ma non ce la fa ad accettare il proprio destino. Come se preferisse non toccare l’ordine naturale delle cose. Per questo considera le coppie che per qualche motivo non sentono il bisogno di procreare perlomeno strane, narcise, egoiste. Esattamente come quelle che si intestardiscono a generare. In realtà nel mondo occidentale cresce sempre di più sia il numero di chi si rivolge alla scienza per tentare di correggere le imperfezioni della natura sia quello delle coppie che decidono di non avere figli.

Anche solo questo dato dovrebbe spingerci a liberarci dalla retorica sulla maternità e dai dogmi di una cultura ormai troppo arcaica per affrontare il presente“.

C’è una parte molto divertente, nel libro, all’inizio, in cui si elencano tutti i modi che le donne che si sottopongono a PMA chiamano le mestruazioni – le rosse – , i tentativi – facciamo la cova -, il restare incinta – si becca la cicogna -. Questo fa capire quanto quello della procreazione medicalmente assistita, e chi la sperimenta, sia una sorta di microcosmo, che unisce molto chi segue il percorso ma allontana invece le donne dall’essere percepite come “normali” dalla società. E quasi sempre, di fronte a un’infertilità, si tende appunto a parlare di donne “difettose” un po’ meno di uomini, come fossero comprimari. Colpa del maschilismo imperante?

Basta dare un’occhiata al web per rendersi conto della quantità industriale di blog, forum, siti sull’argomento dell’infertilità. Qui, soprattutto le donne si ritrovano, si conoscono, fanno gruppo, si scambiano informazioni, non provano vergogna e si sentono una famiglia, inventando addirittura un proprio linguaggio. E sfiorando a volte il rischio di diventare una setta. È una forma di difesa, in fondo: se si proviene da realtà piccole, come cittadine di provincia o paesi, ad esempio, fare un figlio non è solo un desiderio personale, è un ‘mandato’ sociale e familiare. A volte, addirittura, il ‘mandato’ è più forte del desiderio. E il ‘mandato’, ancor più del desiderio, non si può mancare. Pena l’esclusione dalla comunità.
Che si sente legittimata a indagare e sorvegliare sul futuro riproduttivo della coppia, in modo particolare su quello della donna. È inutile. Nonostante oggi si sappia perfettamente che le responsabilità della difficoltà ad avere figli siano democratiche e distribuite equamente tra i sessi, per millenni, fino ai primi decenni del secolo scorso, la colpa era addebitata unicamente alla donna. La sterilità, al pari della carestia, era interpretata come una punizione divina. Una donna sterile veniva emarginata, poteva essere abbandonata, ripudiata o sostituita da altre nel suo ruolo. Sono retaggi che non è facile scrollarsi di dosso, fardelli che, almeno inconsciamente, le donne emancipate del terzo millennio si portano ancora dentro“.

Nel libro c’è una descrizione molto realistica del percorso di PMA, quasi cinematografica, tanto da affrontare – finalmente – anche la questione della masturbazione maschile, che come detto spesso viene sottovalutata. Ma perché degli uomini in queste circostanze si parla sempre poco?

Nei reparti di Pma, in effetti, il teatro privilegiato della rappresentazione è il corpo femminile, su cui vengono attuate le terapie farmacologiche, i controlli strumentali, il pick up degli ovociti, il transfer degli embrioni. La presenza maschile è intermittente ma fondamentale per produrre – spesso scomodamente, in uno stanzino di un ospedale, in fretta e furia, dentro un contenitore di plastica – il prezioso sperma. Pur avendo volutamente posto al centro del mio libro le donne, ho cercato però di raccontare anche gli uomini, e non in maniera macchiettistica (rischio che un po’ si corre quando la disparità di genere è al contrario!). Ma con le loro fragilità e con la loro incapacità di esprimere le emozioni. Con i loro silenzi e le loro paure.

Dalla paura di non riuscire a eiaculare a quella di non avere sufficienti spermatozoi e di non riuscire a dare alle loro compagne quel figlio che tanto desiderano. Lo stesso desiderio del figlio ha connotazioni diverse. È più timido, più al condizionale, negli uomini. Meno ossessivo e meno assoluto. Anche l’angoscia per l’infertilità è più connessa alla potenza sessuale che all’assenza del bambino: fertilità e potenza camminano per strade separate e l’una non interferisce con l’altra, eppure nella testa degli uomini convergono“.

Un altro grande tema è quello dei rapporti obbligati, il sesso che si basa sulla temperatura basale, sull’ovulazione e via dicendo. Si arriva, secondo lei, a un punto in cui questa ossessione si supera o si finisce con il rimanere inghiottiti da questo meccanismo per sempre?

“Ne Le difettose Carla, la mia protagonista, riesce a un certo punto a liberarsi dall’ossessione di avere un figlio. Come in un romanzo di formazione, il suo è un percorso di crescita, alla fine del quale lei si percepisce perfettamente dotata e non più difettosa, nonostante non sia riuscita ad arrivare all’agognata gravidanza. Ma ha attraversato l’esperienza del vuoto, ha imparato ad accogliere quel ‘senza’. E a renderlo motore di miglioramento. Non a caso recupera il rapporto con il suo compagno, dopo essere andato in crisi. Succede così.

Il sesso sincronizzato, privato della spontaneità, finalizzato alla procreazione, è de-erotizzante. Fare l’amore, quella meravigliosa attività umana che prevede la possibilità di perdersi e di riconoscersi, si riduce solo a fare un bambino. Dove tutto è controllato, testato, cronometrato, non c’è più modo di perdersi. Figuriamoci perdersi e poi riconoscersi. Il godimento dei corpi è bandito. Rimane unicamente lo scopo, la mission, come direbbero le aziende. Carla, invece, ce la fa a riassaporare con Marco il piacere e il gusto per il sesso. E poi si riappacifica con sua madre, approfondisce la relazione con i suoi studenti. Questo ritrovarsi di Carla, ancora più di un parto, mi è sembrato il migliore happy end possibile per il libro“.

C’è però anche il tempo di parlare di altro, ovviamente: di rapporti fra donne, ad esempio, anche famigliari, ma anche della libertà sessuale della donna, che smette di essere colpevole se non è “casta e pia” come l’iconografia culturale classica la vorrebbe…

Carla è una donna di oggi, contraddittoria e complessa come lo sono le donne oggi. Non è una vittima. Non è sottomessa. È volitiva e vivace. Curiosa. Ha avuto parecchie esperienze sentimentali e sessuali. È una che ha esplorato, insomma, senza accontentarsi. Né annullarsi. In un certo senso Carla assomiglia alle tante ‘zdore romagnole che hanno popolato la mia famiglia. E se Ida, la madre di Carla rappresenta un modello femminile più tradizionale che, aldilà delle apparenze, ha accumulato anche molte frustrazioni e un po’ di depressione – non a caso il rapporto tra le due è conflittuale -, nonna Rina, invece, è una donna anticonvenzionale. Attraversata dal lutto del suo primogenito morto di meningite a 5 anni, ha deciso di mettersi a lavorare e di separarsi dal marito.

Forse non è stata una madre sufficientemente buona per Ida. Lo è diventata per sua nipote. Per lei è stata la vera madre. Quella che non l’ha partorita ma che l’ha capita e guidata. In fondo spesso ci sono relazioni parentali non biologiche più potenti di quelle di sangue. La figura di nonna Rina è un omaggio anche alla mia nonna reale, classe 1921, sicuramente in anticipo rispetto ai suoi tempi. Un omaggio a tutte le donne, famose e non, che con il loro coraggio e il loro anticonformismo hanno fatto le piccole e grandi rivoluzioni di cui, per fortuna, è disseminata la Storia“.

Eleonora Mazzoni sta già lavorando al suo prossimo romanzo, che tratterà nientemeno che Alessandro Manzoni.

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!
  • Le interviste di RDD