La vera e drammatica storia da cui è nato Winnie The Pooh
Winnie the Pooh è un personaggio amatissimo dai bambini, ma quasi nessuno conosce la triste storia da cui nacque e di cui fu anche, involontariamente, causa.
Winnie the Pooh è un personaggio amatissimo dai bambini, ma quasi nessuno conosce la triste storia da cui nacque e di cui fu anche, involontariamente, causa.
Spesso i capolavori letterari che da bambini abbiamo adorato, magari trasformati in cartoni animati diventati veri e propri cult, e che tuttora vogliamo trasmettere ai nostri figli nascondono storie, vite e verità difficilmente immaginabili, se si pensa alla leggerezza con cui le avventure dei personaggi delle fiabe e dei libri che amiamo così tanto sono descritti e animati dalla penna dei loro autori.
Abbiamo conosciuto l’origine di una fiaba adorata dai bambini di tutto il mondo come Peter Pan, raccontata, in una versione sicuramente romanzata sul grande schermo, dal film Neverland, in cui Johnny Depp ha prestato il volto a J.M. Barrie, “papà” del bambino che non voleva crescere; eppure, pochi sanno la drammatica storia che si nasconde dietro un altro grande eroe dell’infanzia, Winnie The Pooh, l’orsetto che, dalla sua comparsa, nel 1926, ha fatto innamorare generazioni di bambini, riuscendo ad avere un successo straordinario ancora oggi, a distanza di più di novant’anni dall’uscita del romanzo omonimo.
A scrivere dell’orso e dei suoi amici abitanti del Bosco dei Cento Acri è stato Alan Alexander Milne, un londinese nato nel 1882, appassionato di scrittura nonostante la sua laurea in matematica conseguita brillantemente al Trinity College di Cambridge.
Nella vita giovanile di Milne c’è una ferita profonda, indimenticabile: quella della prima guerra mondiale, conflitto a cui l’allora non ancora scrittore partecipò, dopo essersi arruolato nel 1915.
Partecipando alla Grande Guerra, Milne rimase ferito il 7 luglio 1916, e venne rimandato nel Regno Unito, prima di essere congedato nel 1919. Nella sua autobiografia It’s Too Late Now, uscita nel 1939, Milne scrisse che pensare “all’incubo del degrado psichico e morale della guerra mi ha reso quasi fisicamente malato“.
Un film ispirato alla sua biografia lo definisce Disturbo Post Traumatico da Stress, tuttavia dagli elementi veri in possesso non si può definire con certezza la patologia che lo afflisse di ritorno dal conflitto; quel che è certo, però, è che dopo la prima esperienza l’uomo divenne un forte critico della guerra, evidenziando le sue posizioni in un saggio, Peace with Honour, pubblicato nel 1934 ma che, notando l’ascesa al potere di Hitler, allo scoppio del secondo conflitto mondiale scrisse una lettera (oggi conservata all’Imperial War Museum di Londra) in cui dichiarava, confermando anche il proprio ri-arruolamento, “Ritengo che la guerra sia un male minore dell’hitlerismo, credo che l’hitlerismo debba essere ucciso prima che la guerra possa essere eliminata“.
A proposito del film: quello che racconta la vita di Milne si chiama Goodbye Christopher Robin, tradotto in italiano come Addio Christopher Robin, ed è uscito nel 2017.
Archiviata definitivamente l’esperienza di guerra, nel 1920 la moglie Dorothy “Daphne” de Sélincour diede alla luce un figlio, Christopher Robin, e cinque anni più tardi Milne comprò una casa di campagna, Cotchford Farm, a Hartfield, nell’East Sussex; proprio questi luoghi diventarono lo scenario in cui furono ambientate le avventure dei personaggi immaginati da Christopher Robin, Winnie the Pooh e i suoi amici, che erano tutti i pupazzi di pezza posseduti dal bambino (i pupazzi originali che hanno ispirato la storia sono esposti oggi alla New York Public Library). Il quale, non a caso, dà il nome al protagonista, amico umano, dell’orsacchiotto.
Il primo racconto su Winnie the Pooh pubblicato da Milne raccontava il volo dell’orsetto attaccato a un palloncino, e venne pubblicato nell’edizione natalizia del London Evening News; la storia piacque talmente al pubblico che Milne ideò il romanzo vero e proprio, pubblicato nel ’26, capace di raccogliere ampi consensi anche dalla critica. Nel ’29 Milne vendette i diritti sui personaggi a Stephen Slesinger, che a sua volta li vendette alla Walt Disney nel 1961. Il resto è storia nota, con la Disney che ne fece una serie di cartoni animati, inizialmente adattando le storie originali di Milne, poi creandone di nuove.
Un successo mondiale che, tuttavia, non ebbe effetti benefici su Christopher: bullizzato dai compagni di scuola, il bambino soffrì sempre per l’enorme successo riportato dalle storie ispirate a lui, e disprezzò con tutto se stesso Winnie the Pooh, nonostante il padre sembrasse non accorgersi del suo disagio, e continuasse a ricavare successi e fama dall’orsetto amante del miele. Da adulto Christopher Robin ebbe un rapporto tormentato con il padre, tanto da scrivere, nella sua autobiografia, che quest’ultimo gli “aveva tolto il nome e mi aveva lasciato con la fama vuota di essere suo figlio”. Negli ultimi anni di vita di Milne, dopo che nel 1952 ebbe un ictus che lo costrinse alla sedia a rotelle, e fino alla morte, avvenuta nel 1956, Christopher Robin lo vide raramente. La visibilità e la pubblicità a cui Christopher fu esposto per tutta la vita tormentarono il rapporto con il suo alter-ego letterario.
Suppongo che ciascuno di noi speri segretamente nell’immortalità.
Scriveva Milne nel 1926, forse lui stesso ignaro del successo che il suo romanzo avrebbe potuto avere; certo l’immortalità è arrivata per tutti, anche per suo figlio, ma davvero a caro prezzo.
Giornalista, rockettara, animalista, book addicted, vivo il "qui e ora" come il Wing Chun mi insegna, scrivo da quando ho memoria, amo Barcellona e la Union Jack.
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