Le storie di Joyce Carol Oates, che scrive senza timori ciò che ci rende umani

Tra le scrittrici più prolifiche, talentuose e importanti del panorama contemporaneo, Joyce Carol Oates non teme di affrontare, nella sua vasta produzione letteraria, anche i temi più scomodi, come la violenza e le declinazioni dell'abisso umano. Merito della sua penna, ipnotica, mimetica e coinvolgente.

Se non la si conosce, si potrebbe quasi scambiare per uno dei personaggi delle pellicole di Tim Burton. E l’accostamento non stupirebbe, dal momento che Joyce Carol Oates rappresenta, senza dubbio, una delle esponenti di spicco della cosiddetta letteratura “gotica contemporanea” – come si legge su Il Libraio –, per la sua affilata capacità di delineare situazioni inquietanti, ambigue e spiazzanti.

Incasellare la scrittrice americana in perenne corsa al Premio Nobel – e da sempre una delle sue favorite –, non è, però, un’impresa semplice. Nel suo roster letterario, infatti, si contano oltre cento opere, suddivise in: una quarantina di romanzi (di cui undici pubblicati con gli pseudonimi di Rosamond Smith e Lauren Kelly), una trentina di raccolte di racconti, una decina di testi teatrali e poetici, alcuni libri per bambini e quasi una ventina di saggi tematici.

La penna di Joyce Carol Oates è, quindi, estremamente versatile e prolifica, e, nonostante il suo profilo Twitter sia letteralmente invaso da immagini di gattini (di cui è un’appassionata estimatrice), non disdegna di addentrarsi nelle pieghe più recondite dell’animo umano.

Il suo obiettivo primario è, infatti, non voltare lo sguardo di fronte alla violenza e alle sue derive più aberranti. Mettendo in mostra tutto ciò che, solitamente, non si ritiene opportuno leggere.

Joyce Carol Oates: vita e letteratura

Joyce Carol Oates
Fonte: The New Yorker

Joyce Carol Oates è nata il 16 giugno 1938 nella zona rurale di Lockport, nello Stato di New York. Poco distante dal lago Ontario e immersa nella natura, Oates cresce nella fattoria di famiglia e segue l’educazione cattolica impartitele dalla madre Carolina, di origini ungheresi.

In quegli anni stringe, inoltre, un legame particolare con la nonna Blanche Woodside, al cui padre – suicidatosi dopo essere venuto a conoscenza delle sue radici ebraiche – decide di dedicare il volume La figlia dello straniero, uscito nel 2007.

Joyce Carol Oates si è laureata nel 1960 alla Syracuse University, per poi specializzarsi alla University of Wisconsin, dove ha conosciuto il primo marito Raymond Smith. Dopo i trasferimenti a Detroit e nell’Ontario, in Canada, Oates si stabilisce a Princeton nel 1978, dove vive attualmente e presso la cui Università ha insegnato “Creative Writing” dal 1977 al 2014.

La passione per la scrittura, però, caratterizza la vita di Joyce Carol Oates fin dai suoi studi, quando, appena 29enne, pubblica il romanzo che le regalerà la fama, divenendo uno degli emblemi del suo percorso letterario: il primo volume della tetralogia della cosiddetta “Epopea americana”, Il giardino delle delizie.

Emergono qui i vagiti iniziali della sua poetica, improntata alla disamina delle tensioni e delle contraddizioni della società americana contemporanea e alla decostruzione di quegli stereotipi e di quei valori propri del “sogno americano” che imperavano soprattutto negli anni Sessanta.

Proprio ne Il giardino delle delizie – ripubblicato da poco, in Italia, da Il Saggiatore, in seguito alla revisione della stessa autrice – incontriamo la prima figura femminile di Oates, Clara, figlia di due contadini dell’America maschilista, violenta e rurale del secondo dopoguerra, che tenta di fuggire al provincialismo che la tiene in gabbia mediante un amore disturbante e complesso.

Il giardino delle delizie

Il giardino delle delizie

Primo romanzo della tetralogia dedicata alla cosiddetta "Epopea americana", racconta la storia di Clara, figlia di due contadini dell'Arkansas che, attraverso due uomini, un figlio e diversi tentativi di scalata sociale, cercherà di affrancarsi dalla violenza del mondo provinciale alla ricerca di un futuro migliore.
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Un circolo vizioso che torna spesso nei romanzi e nei racconti della scrittrice statunitense, attenta osservatrice delle dinamiche che muovono gli ambienti proletari e, in particolare, quelli borghesi, dominati da violenza, oppressione e segreti. Come si evince nel secondo capitolo della tetralogia, I ricchi, intriso della falsità e della mera apparenza che, dalla sua prospettiva, connotano spesso le famiglie bianche e agiate.

Anche in questo caso, tornano i rapporti disfunzionali tra i membri della famiglia e i loro legami opprimenti, le aspettative deluse e l’innocenza. Tema, quest’ultimo, che troverà la sua consacrazione in Loro, terzo tassello della serie e lente di ingrandimento sulla violenza, razziale e sociale, e sull’amore, inteso, come si legge su La Balena Bianca, alla stregua di un contratto anaffettivo basato solo sulla valutazione egoistica dei propri vantaggi.

Proprio per la sua scrittura densa, ipnotica e mimetica, il romanzo valse a Oates il “National Book Award for Fiction” nel 1970, cui seguì, un anno dopo, l’ultimo capitolo dell’epopea americana, Il paese delle meraviglie, culmine letterario dell’interpretazione di una società violenta e aggressiva da parte della scrittrice statunitense.

Jack deve morire

Jack deve morire

In questo romanzo si percepisce tutta l'influenza della letteratura gotica di cui Joyce Carol Oates è metaforicamente figlia. Andrew J. Rush è un marito devoto e un uomo perbene, ma sente la necessità di dare sfogo agli spettri del suo passato dando vita a un alter ego, grazie al quale inizia a scrivere racconti viscerali e sanguigni. Il risultato è un mostro incontrollabile, ossia Jack of Spades: un "fantasma" che si muove tra le pagine e non può essere fermato.
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Per le sue scene vivide e irruenti, le opere di Joyce Carol Oates sono state spesso paragonate, come riporta il sito dell’Università di Georgetown, a quelle di Eudora Welty, William Faulkner, John Steinbeck, Theodore Dreiser e, soprattutto, Flannery O’Connor, di cui Oates è stata un’estrema ammiratrice. Come per la sua musa, anche per Oates il male è imminente e reale, ma, a differenza di O’Connor, non è un’illusione, bensì l’aspetto di un mondo assolutamente concreto.

A chi le chiede perché la violenza sia uno dei capisaldi della sua letteratura, infatti, Joyce Carol Oates risponde, come si legge in un’intervista rilasciata a La Stampa, che:

La domanda giusta è un’altra: perché la violenza ricorre sempre nella nostra esistenza? Perché combattiamo le guerre? Perché gli Stati Uniti sono uno dei Paesi più violenti al mondo? Io di mestiere faccio la scrittrice. Capisco che molti si aspetterebbero ancora che una donna stesse a casa a badare ai figli, ma se io voglio raccontare bene l’animo umano, non posso prescindere dalla sua violenza.

Della serie: perché nessuno si stupisce se a scrivere di violenza è un uomo, ma se lo fa una donna l’interesse sulle motivazioni di tale scelta si accentua esponenzialmente?

Ho fatto la spia

Ho fatto la spia

South Niagara, Stato di New York. Violet Rue Kerrigan ha 12 anni e, una sera, scopre che i due fratelli più grandi hanno investito un diciassettenne afroamericano e lo hanno colpito con una mazza da baseball, lasciandolo agonizzante sulla strada. Violet racconterà tutto, ma sarà esiliata dalla sua stessa famiglia, divenendo, così, vittima di una violenza emotiva inaudita e ingiustificata.
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I personaggi femminili di Joyce Carol Oates

Joyce Carol Oates
Fonte: L’indiependente

La produzione di Joyce Carol Oates, come abbiamo visto, non ha coordinate precise, ma spazia tra generi, forme e linguaggi dissimili. A unire, metaforicamente, tutte le sue opere, però, vi è, come riporta un’intervista di Repubblica, un comune denominatore:

Dar voce a chi non ce l’ha: scrivo per impegnare i miei lettori, uomini e donne, in un dialogo sulla condizione umana, su cosa vuol dire essere umani.

Ma che cosa vuol dire “essere umani”? Il terreno su cui si muove questa ricerca è costellato di dolore, ingenuità e inganni, i quali sfociano spesso in conseguenze alienanti o tentativi di redenzione. Tra situazioni borderline ed enigmatiche, i personaggi di Oates si ritrovano spesso a fare i conti con se stessi, prendendo una maggiore coscienza di sé e districandosi, come detto, in un mondo dominato da violenza cieca e impersonale.

Un itinerario che concerne soprattutto i personaggi femminili, inseriti, nella maggior parte dei casi, in contesti maschilisti, aggressivi e improntati alla sopraffazione e al denaro, e soggiogati a condizioni da cui tentano affannosamente di affrancarsi. Motivo per il quale il lavoro di Oates si concentra perlopiù sul potere individuale e sulla lotta per la conquista dell’autonomia, sostrato di quello che lei ama definire, come si legge su Literary Theory and Criticism, il suo “umanesimo”.

Acqua nera

Acqua nera

In questo romanzo, Joyce Carol Oates mette in scena un'allegoria inquietante della politica e del potere, dando voce a Elizabeth Kelleher: l'assistente 26enne di Ted Kennedy, che morì annegata a causa di un incidente provocato proprio dall'uomo che più ammirava. Oates ci conduce negli abissi dell'animo umano, svelandoci i sogni di una ragazza idealista e costretta a fronteggiare la realtà in tutta la sua crudeltà.
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Joyce Carol Oates, infatti, ama descriversi come una “donna che scrive”, andando oltre gli ambiti tradizionalmente “femminili” e concentrando il suo interesse non solo sulle questioni femministe, ma anche, e soprattutto, su tutte quelle storie normalmente precluse alle donne, dalla politica alle rivolte urbane, dalla migrazione all’etica medica e legale, fino alla boxe e, appunto, alle storie di violenza.

Toccando, in questo modo, anche tutte le principali correnti letterarie esistenti: naturalismo, esistenzialismo, racconti polizieschi, romanticismo, epica e realismo sociale. Una vera e propria propensione eclettica, dunque, in cui Oates non rinuncia mai a introdurre la sua personale interpretazione dei fatti, osservati con lucidità e precisione chirurgica.

Blonde

Blonde

Storia e finzione si incontrano nella biografia di Marilyn Monroe, qui narrata ripercorrendo tutti volti di quest'ultima: non solo playmate e sex symbol, ma anche donna insicura e bambina, attrice osannata, adolescente solitaria e adulta dai numerosi amanti, ma con poco amore. Joyce Carol Oates fa rivivere una delle maggiori dive del secolo scorso, grazie alla sua prosa incisiva e precisa.
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Anche quando parla di amore, come ne L’occhio del male, svelando la passione e i segreti violenti dei legami, o di rapporti manipolatori, come nel celeberrimo racconto Dove stai andando, dove sei stato?, nel quale l’emancipazione di una donna è ostacolata dalle mire di un uomo animato da bieche intenzioni. Senza dimenticare, poi, il tema della mercificazione delle donne, affrontato a più riprese e risultato di una società vincolata al denaro e al potere: la stessa verso cui, fin dagli albori della sua carriera, Oates dirige con forza la sua invettiva.

La scrittura “sperimentale” di Joyce Carol Oates, quindi, si profila come un itinerario sempre in bilico tra realtà e finzione, surrealismo e razionalità, forze oscure e aspettative convenzionali, in cui i confini tra i mondi descritti risultano labili e spesso poco riconoscibili. La scrittura di Oates disturba e ci introduce nei nostri abissi interiori, ma ci invita a riflettere sulle idiosincrasie, i disagi e le incoerenze del mondo che ci circonda, aiutandoci a orientarci in scenari violenti, gotici e non così distanti da ciò che viviamo quotidianamente.

Divenendo, così, una bussola letteraria del nostro presente.

Pericoli di un viaggio nel tempo

Pericoli di un viaggio nel tempo

Edito in Italia da La Nave di Teseo e pubblicato il 28 gennaio 2021, l'ultimo romanzo di Joyce Carol Oates è una distopia ambientata negli Stati del Nord America Rifondati, retti da un governo onnipresente e oppressivo. La cui protagonista, la 17enne Adriane, viene arrestata dalla Sicurezza Interna per aver osato porre troppe domande a scuola. La sua punizione sarà, quindi, tornare indietro nel tempo di 80 anni, per studiare presso l'Università di Wainscotia Fall, nel Wisconsin.
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