“Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. A chi le chiedeva quali fossero i suoi romanzi preferiti Inge Feltrinelli rispondeva sempre citando Il Gattopardo e in particolare questa frase. Lo aveva ripetuto anche qualche anno prima della sua morte in un intervista per il magazine 032C, una rivista di fotografia, il suo primo grande amore.

La regina dell’editoria italiana, come la chiamavano in molti, aveva iniziato a scattare da giovanissima e nel corso della sua vita aveva ritratto Ernest Hemingway, Allen Ginsberg, Pablo Picasso, Greta Garbo, Simone de Beauvoir e John F. Kennedy, solo per citare alcuni dei personaggi immortalati dal suo obiettivo.

Dopo la fine del suo matrimonio, negli anni Sessanta, fu proprio lei a prendere le redini della casa editrice fondata dal marito Giangiacomo Feltrinelli e a trasformarla in un vero colosso. Un cambiamento di rotta che forse lei stessa non avrebbe potuto prevedere, abituata com’era all’avventura e al viaggio, fin dalla giovinezza.

Ero una di quelle ragazze tedesche del dopoguerra che avevano fame di vedere il mondo. Ecco perché nel 1950 mi sono trasferita da Gottinga ad Amburgo. Ho trovato alloggio nel seminterrato della fotografa Rosemarie Pierer. Il mio materasso era nel vestibolo che portava alla sua camera oscura. Ho imparato l’ABC della fotografia […]. Una volta stavo andando in bicicletta attraverso Pöseldorf ad Amburgo e un’elegante macchina bianca si è fermata accanto a me. L’uomo al volante ha indicato la mia macchina fotografica e mi ha chiesto se ero una fotografa. Era Hans Huffzky, il fondatore della rivista femminile Constanze. Quando ha visto le mie foto, ha detto: “Terribile! Una catastrofe! Smetti di scattare foto delle navi nel porto. Devi fotografare le persone”. Pochi mesi dopo mi ha mandato in Spagna a fotografare donne giovani e moderne. […] A quel tempo era facile raggiungere le stelle e conquistare il mondo.

“Una brava ragazza tedesca”

Nata a Gottinga il 24 novembre 1930 da padre ebreo e madre protestante, Inge Schönthal Feltrinelli si salvò dalla dittatura nazista solo grazie al patrigno. Raccontò l’episodio in una lunga conversazione con Aldo Cazzullo per il Corriere.

Mio padre, Siegfrid Schönthal, era ebreo. Dovette fuggire in America. Per fortuna fui protetta dal nuovo compagno di mia madre, Otto, un ufficiale di cavalleria che rischiò la carriera per salvarmi.

Abbandonata la città natale, distrutta dai bombardamenti, e con una nuova carriera da fotografa ad Amburgo, dopo il primo reportage nella penisola iberica accettò con grande entusiasmo di partire per gli Stati Uniti. E fu proprio lì che la sua esistenza prese una piega diversa.

Hemingway e gli amori che non furono

 

L’incontro con Ernest Hemingway, in Florida, è solo l’apice di un periodo entusiasmante della sua giovinezza. Celebre è una sua foto in particolare, proprio con l’autore de Il vecchio e il mare, incontrato dopo un viaggio rocambolesco con mezzi di fortuna.

Fu un viaggio avventuroso: non avevo un soldo. Partii da New York per Miami in autostop. Ma il volo per l’Avana costava 30 dollari: troppo. Un tassista ubriaco mi portò a Key West, guidando a zig-zag tra gli isolotti e l’oceano. Con 7 dollari atterrai a Cuba. I bambini morivano per strada, come a Calcutta. Un giorno Hemingway gettò per terra le monete dell’elemosina: lo rimproverai, litigammo.

Forse lui si invaghì di quella giovane tedesca arrivata solo con la sua macchina fotografica, ma lei preferì diventare amica della moglie.

Ogni giorno uscivamo in barca con un esule delle Baleari, Gregorio Fuentes, il pescatore del Vecchio e il Mare. Ma non pescavamo quasi mai niente: il marlin che si vede nel nostro celebre autoscatto era vecchio di tre giorni. Poi andavamo alla Floridita, dove in onore di Hemingway facevano il Daiquiri doble a la Papa: praticamente un’insalatiera. A tavola però beveva solo Valpolicella, l’aveva scoperto sul fronte italiano della Grande Guerra.

Inge Feltrinelli rimase molto colpita da Chagall, un “angelo” che “pareva un violinista dei suoi quadri”, mentre Picasso con lei fu “galante”, ma restava comunque il “piccolo diavolo affascinante e misterioso, un toro dagli occhi magnetici”. Kennedy era un “uomo straordinariamente sexy”, che lei immortalò durante una raccolta fondi in cui “tentava di spennare Elizabeth Arden, coperta da un chilo di diamanti”. Poi, nel 1958, l’incontro con l’uomo che cambiò tutto.

Il matrimonio con Feltrinelli

Giangiacomo e Inge Feltrinelli si videro per la prima volta ad Amburgo, d’estate. Lui era solo e annoiato, oltre che alla fine del suo secondo matrimonio, ma qualcosa tra di loro scattò subito.

Parlammo per tutta la notte su una panchina davanti al lago. Era diretto al Polo Nord, avrebbe dormito in tenda. Lo presi in giro perché si mangiava le unghie. Giorni dopo ricevetti una sua cartolina dalla Scandinavia. Diceva, in tedesco: “Ho le unghie lunghe come Pierino Porcospino”.

Due anni dopo si sposarono e lei lo seguì a Milano, diventata poi la sua città d’adozione per il resto della sua vita, e lì nacque il loro unico figlio, Carlo Feltrinelli. Conobbe gli intellettuali e scrittori più in vista, come Eugenio Montale ed Elio Vittorini: più lei si immergeva nel mondo letterario, più lui se ne allontanava per avvicinarsi alla politica radicalizzata.

La mia frivola impertinenza si abbinava bene, ero la donna perfetta per lui. Il nostro comune denominatore era che entrambi vivevamo all’ultimo respiro. Ci bastavano circa cinque minuti per fare le valigie e andare a trovare scrittori come Henry Miller o Karen Blixen. La vita con lui era così intensa e faticosa, nel migliore dei modi possibili, che rinunciai alla fotografia. Diventò irrilevante per me. Da quel momento in poi mi interessai agli autori e ai libri.

Nel 1969, dopo la strage di Piazza Fontana, Giangiacomo Feltrinelli iniziò a temere per la sua vita e si ritirò in clandestinità, lasciando all’ormai ex moglie la gestione della casa editrice Feltrinelli. Lo trovarono morto in circostanze misteriose due anni dopo, nella periferia milanese. In quel periodo si era sposato per la quarta volta e aveva avuto un altro figlio.

Aveva capito che non avrebbe cambiato il mondo con i libri, o l’avrebbe cambiato troppo lentamente. Tentai di fermarlo. Lui mi lasciò. Nel mio diario scrissi: “He’s lost”, è perduto.

Più volte, nel corso degli anni, Inge Feltrinelli disse di non credere alla tesi ufficiale dell’incidente. Per lei era uno dei tanti personaggi scomodi in Italia, come Pierpaolo Pasolini. Da quel momento dedicò tutte le sue energie al lavoro nella casa editrice, fino alla morte nel 2018. E intanto la sua vita scorreva anche nei suoi diari segreti, testimoni silenziosi di tanti eventi importanti del Novecento.

Sarebbe troppo patetico pretendere che vengano bruciati nel mio testamento. Non sono Kafka. Forse i miei due nipoti penseranno che sia divertente leggerli tra 30 anni, pensando a che nonna pazza avevano.

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