Novembre 1781: l’equipaggio inglese della nave Zong uccide 142 schiavi, gettandoli vivi in mare: ne avevano imbarcati troppi dall’Africa, oltre 400, rischiando di affondare.

Non era sicuramente la prima volta che accadeva, ma il massacro divenne un simbolo. Mai, prima di quel momento, si era affrontato seriamente il discorso abolizionista sul territorio britannico: cittadini, politici e artisti iniziarono ad alzare la voce. Tra di loro c’era anche una donna, la scrittrice Hannah More, autrice di uno dei componimenti più significativi del tempo contro la schiavitù, Slavery, a poem.

La lunga poesia, pubblicata nel 1788, accompagnò l’ascesa politica dell’amico William Wilberforce, in prima fila per la lunga battaglia a favore dei diritti degli africani, culminata con l’abolizione formale del commercio di schiavi nel 1808. Ecco alcuni estratti dal testo originale, con la nostra parafrasi, dato che non esiste una versione tradotta professionalmente e pubblicata.

IF heaven has into being deign’d to call
Thy light, O LIBERTY! to shine on all;
Bright intellectual Sun! why does thy ray
To earth distribute only partial day?
Since no resisting cause from spirit flows
Thy penetrating essence to opose;
No obstacles by Nature’s hand imprest,
Thy subtle and ethereal beams arrest;
Nor motion’s laws can speed thy active course,
Nor strong repulsion’s pow’rs obstruct thy force;
Since there is no convexity in MIND,
Why are thy genial beams to parts confin’d?
While the chill North with thy bright ray is blest,
Why should fell darkness half the South invest?
Was it decreed, fair Freedom! at thy birth,
That thou shou’d’st ne’er irradiate all the earth?
While Britain basks in thy full blaze of light,
Why lies sad Afric quench’d in total night?

Hannah More inizia invocando che la luce della libertà splenda su tutti e si domanda perché i suoi raggi non possano irradiare tutti. Dato che la Natura non oppone limiti e non ci sono leggi fisiche che consentano di fermare o limitare il potere della sua luce solare, per quale motivo qualcuno non può beneficiarne? Perché il freddo Nord è libero, mentre il Sud è nell’oscurità? Proseguendo con la sua metafora sulla libertà, la poetessa descrive la Gran Bretagna come un paese pieno di luce e l’Africa avvolta nel buio.

Whene’er to Afric’s shores I turn my eyes,
Horrors of deepest, deadliest guilt arise;
I see, by more than Fancy’s mirror shewn,
The burning village, and the blazing town:
See the dire victim torn from social life,
The shrieking babe, the agonizing wife!

Hannah More tratteggia una visione apocalittica dell’Africa, tra orrore, villaggi in fiamme, bambini in lacrime e madri agonizzanti: è un’immagine che fa nascere in lei un senso di colpa e che verrà poi utilizzata come simbolo nella campagna abolizionista portata avanti insieme al gruppo femminile di cui faceva parte, la Blue Stocking Society, nato originariamente per promuovere l’educazione femminile e cancellare la disparità di genere. Ironicamente, per riuscire a far sentire le loro idee abolizioniste, More e le altre dovettero far ricorso alle loro conoscenze maschili. Del resto, come scrisse Mary Wollstonecraft nel 1792 in Sui diritti delle donne, il primo testo femminista della storia, anche le donne erano schiave in un mondo in cui erano gli uomini a decidere.

Ma da dove veniva Hannah More? Nata nel 1745 vicino a Bristol, era figlia di un insegnante che aveva fondato due scuole, una femminile e una maschile. A vent’anni si fidanzò con William Turner, un ricco proprietario terriero: all’inizio furono tempi felici e la giovane passò lunghe giornate nella tenuta del fidanzato, lasciandosi ispirare dalla bellezza del paesaggio naturale. Poi qualcosa si incrinò e lui rimandò per tre volte le nozze, fino ad annullare il fidanzamento.

Per farsi perdonare, William le concesse una generosa rendita annuale: sulle prime Hannah rifiutò, ma poi decise di accettare. Riuscì così a essere più libera e a dedicarsi alla carriera letteraria, grazie anche ai ripetuti soggiorni a Londra, dove frequentava intellettuali di ogni genere. I primi passi nella scrittura, in ambito teatrale, si rivelarono un fallimento, costringendola lentamente a evitare il milieu di cui era stata protagonista.

A partire dal 1780 entrò in una fase più profonda e riflessiva della sua vita, avvicinandosi a questioni sociali e dedicandosi prevalentemente alla scrittura di trattati etici o saggi religiosi. Pur dimostrando la sua attenzione per la tematica abolizionista, si dimostrò però una ferrea conservatrice su altri ambiti, opponendosi alle idee illuministe francesi e persino alla nuova corrente femminista della Wollstonecraft. “Essere instabile e capricciosa è una caratteristica del nostro sesso”, affermò, rifiutandosi di leggere Sui diritti delle donne e sostenendo come la politica non fosse una cosa femminile. Morì nel 1833, dopo anni passati a ricevere visite illustri nella sua casa di campagna. Oggi viene ricordata, tra luci e ombre, come filantropa e attivista.

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