Licia Troisi è una di quelle donne che hanno raggiunto i propri obiettivi e, per riuscirci, si sono dovute scontrare spesso con pregiudizi e con gli sguardi critici di non crede in loro solo in quanto “donne”; quelli, per dire, che pensano che il posto di una donna non possa essere mai su una navicella spaziale, a studiare le stelle o, come nel caso di Licia, fra i grandi nomi del fantasy.

Già, perché per qualcuno persino libri e generi letterari hanno un sesso, e il reparto dedicato al fantasy non è, secondo i loro criteri, “roba da donne”.

Licia ha stravolto lo stereotipo con caparbietà e con un’immensa dose di talento, le qualità che l’hanno portata ad affermarsi, nel nostro Paese, come regina indiscussa del genere. E pazienza se qualche maschietto si sentirà offeso per essere stato spodestato dal trono e destituito dal ruolo di “signore del fantasy”, la Troisi ha classe e grinta da vendere. Perché non solo vanta alcuni tra i titoli più importanti del panorama letterario del suo genere, ma anche una laurea in fisica e un dottorato in astronomia. Mica roba da ridere.

Licia Troisi può essere considerata a pieno diritto la Samantha Cristoforetti o la Margherita Hack della letteratura, e non solo per l’affinità degli interessi e per avere la testa “piena di stelle”, ma perché, come loro, ha sovvertito tabù e cliché mostrando di avere un gran cervello, dote che prescinde dal sesso di appartenenza, casomai a qualcuno non fosse ancora chiaro.

Le sue saghe, ambientate nel Mondo Emerso, sono amatissime da milioni di fan appassionati che, a differenza di critici e addetti al mestiere, che dagli inizi la guardano con aria scettica (il critico e giornalista Silvio Sosio, in particolare, agli esordi le contestò l’immaturità e la mancanza di gavetta), la seguono con amore e la apprezzano per la sua scrittura travolgente.

Eppure, Licia Troisi è, ad oggi, una perla rara nel panorama fantasy italiano; sono davvero poche, infatti, le donne che si avventurano in questo genere, molte volte proprio perché frenate dai tanti stereotipi esistenti su di loro.

Così come poche sono le eroine, le protagoniste dei libri, generalmente popolati da aitanti eroi e da uomini prestanti; per questo, abbiamo raggiunto Lisa, per farci spiegare il perché di questa importante “latitanza” femminile nel fantasy di casa nostra, in una situazione che è estremamente diversa, ad esempio, da quella americana, dove le donne protagoniste di saghe diventate anche molto famose a livello mondiale non sono più un’eccezione; basti pensare alla Katniss di The Hunger Games, che oggi incarna a pieno titolo quel che un tempo era rappresentato dal guerriero con armatura ed elmetto cui le donne si aggrappavano disperatamente in cerca di aiuto.

Dunque questa diversità di vedute rispetto al ruolo femminile nel fantasy, non solo per quel che riguarda le autrici ma anche per ciò che concerne le eroine, da cosa dipende? Questioni culturali, di apertura mentale o il pensiero che il fantasy sia ancora roba da maschi? In realtà, la risposta di Licia è molto più conciliante e tutt’altro che tesa a scatenare una “guerra fra sessi”.

Credo che il problema stia nel fatto che il fantastico italiano è una realtà piccola, e quindi noi che lo pratichiamo non facciamo massa critica. Così, sembra che si scrivano poche eroine forti, per il semplice fatto che si scrive proprio poco fantastico in Italia.

In un articolo per Il Libraio Licia scrive a un certo punto:

Ormai è diventato quasi un cliché, ma dopo tanti anni passati nell’ombra, va bene anche così. Perché se il cinema e la letteratura si sono svegliati, e hanno prodotto personaggi femminili indimenticabili, che non hanno bisogno di uomini per compiere un proprio personale cammino di autoaffermazione, il mondo in cui ci troviamo a vivere continua a non essere un posto per donne. Ce lo hanno dimostrato i recenti scandali sessuali, che dimostrano ancora una volta quanto poco le donne siano padrone del proprio corpo, e gli assalti periodici a praticamente tutte le conquiste storiche del femminismo, sia in termini culturali (il ritorno della santificazione della figura della Madre, per dirne una…), che più concreti (i continui attacchi al diritto di aborto). E allora ben venga anche il cliché. Abbiamo bisogno di modelli di donne per le quali il genere non sia un limite ma un’opportunità, per poter sognare ancora: un mondo diverso, soprattutto, popolato finalmente da donne consapevoli e libere

Cosa significa quindi “ben venga il cliché”, in questo caso quello della donna forte, indipendente, che si salva da sola?

Che in questo specifico momento storico, in cui stiamo ancora combattendo per imporre modelli molteplici e alternativi di femminilità, va anche bene che quello della donna padrona di se stessa e della sua vita sia proposto perché “va di moda”. Le mode sono comunque utili a cambiare la percezione delle cose.

Ma non c’è il rischio che anche questo stereotipo, a lungo andare, diventi deleterio per le donne?

I modelli proposti diventano un problema quando sono l’unica narrazione possibile. Quindi, questo specifico modello lo sarebbe se non ne venissero proposti altri alternativi. Ma la donna indipendente resta magari buona per una storia, ma un modello non particolarmente vincente nella società, nella quale la femminilità viene declinata ancora soprattutto in termini di cura, dolcezza e remissività. Comunque, il messaggio che vorrei passasse non è che si debba essere forti, ma libere: di scegliere la propria strada, di seguire le proprie passioni, in una parola di fare ciò che si ama e desidera.

In fin dei conti, quindi, la donna “amazzone” esiste ancora molto di più sulla carta che nella vita di tutti i giorni; e lei, da autrice di fantasy, invece, si sente un po’ amazzone? Cosa significa scrivere fantasy in Italia? Dover sgomitare di più per affermarsi, che gli altri dubitino della nostra credibilità, che si debba sempre compiere un passo in più rispetto agli uomini per essere accettate?

Anche in questo caso, Licia non ne fa una questione di sesso, ma di “ghettizzazione” della categoria intera.

Credo che il grado di rispetto di cui uno scrittore di fantastico gode presso il mondo culturale italiano sia basso a prescindere dal genere. Il fantastico continua a essere percepito come letteratura solo per l’infanzia, quando va bene, di basso intrattenimento, e quindi vile, quando va male. Nella mia esperienza personale, il mio essere donna non mi sembra abbia mai influito sulla considerazione di cui godo presso il pubblico o le persone con cui lavoro.

Quindi nessuno le ha mai chiesto di scrivere sotto pseudonimo maschile, un po’ come Vernon Lee?

No, credo anzi che il mio essere donna, che praticava per di più un genere considerato in Italia all’epoca maschile, fosse un valore aggiunto per la casa editrice, a quei tempi.

Se glielo avessero proposto, avrebbe accettato?

Se avrei accettato, non saprei: adesso sicuramente no, ma quando si è esordienti e con poca esperienza è più difficile dire di no a una casa editrice.

Abbiamo raccolto tutte le sue saghe e i suoi più grandi successi in gallery.

Licia Troisi: chi ha detto che il fantasy è solo roba da uomini?
Fonte: web
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